Ormai sembra che siamo alle ultime battute: scissione.
L’ho già detto in una trasmissione: le scissioni sono come i
fidanzamenti, bisogna essere in due per farle, perché c’è sempre uno che
se ne va e l’altro che lo accompagna alla porta. In questo caso, a
volere la rottura con più decisione non è quello che esce, ma il padrone
di casa, Renzi.
La cosa era evidente dall’inizio,
quando pure Renzi ha dovuto fare qualche cedimento (primarie prima,
congresso dopo) perché circondato da Napolitano, Mattarella,
Franceschini, Orlando, ma ha sempre avuto la riserva mentale di far
saltare tutto alla prima occasione.
E questo per diverse ragioni: in primo luogo ha
bisogno di essere segretario quando si faranno le liste, ma il 4
dicembre l’ha indebolito ed ha liberato un’area centrista che si
distacca dal correntone con il quale vinse il congresso del 2013. In
questa situazione lui è troppo a destra rispetto al ventaglio delle
correnti di partito e non ha più la maggioranza assoluta da solo, per
cui Franceschini ed i suoi diventano l’ago della bilancia, mentre, se la
sinistra esce, lui torna padrone della situazione, avendo più truppe
dei centristi.
Poi lui ha bisogno di votare a giugno (e non ci ha
mai rinunciato, nonostante tutto) e la scissione diventa un argomento
formidabile per tagliare corto potendo dire a Napolitano “ma se non ce
la facevo prima a fare una nuova legge elettorale, con il partito unito,
come pretendere che possa farcela ora che il partito si è spezzato?”.
Inoltre è un ottimo argomento per determinare la crisi di governo e
mettere il Quirinale con le spalle al muro.
Peraltro, prima si vota e meglio è per lui, perché, se è vero che va
alle elezioni con la sconfitta referendaria e la scissione alle spalle,
però è anche vero che evita l’imbarazzante referendum della Cgil e le
amministrative che non promettono niente di buono.
Inoltre, prima si vota e meno tempo hanno gli altri per organizzarsi
e far conoscere un nuovo simbolo. Quanto ai 5 stelle, li si può tenere a
bada con le solite grane della giunta Raggi (non penserete che sia
finita qui, vero?!).
E, se ce ne fosse stato bisogno, a dargli ancora più fretta è arrivato l’avviso di garanzia al papà: come dire che la bomba è caduta di fianco e la prossima potrebbe essere più centrata. Meglio sbrigarsi.
In questa condizione si può anche azzardare un voto a fine aprile – primi maggio se non fosse per l’appuntamento internazionale che crea qualche imbarazzo.
Tutto ciò premesso è evidente perché Renzi ha chiuso ogni strada,
pur stracciandosi le vesti per l’orrenda scissione, (“Bersani ritorna,
sta casa aspetta a te”), ed in questo ha avuto l’appoggio di sponda
opposta di D’Alema. Le scissioni sono sempre il prodotto dell’alleanza degli opposti falchi.
Certo, in questa condizione, Renzi affronta elezioni difficili nelle
quali faticherà molto a tenere quota 26-7% (altro che 40%!), ma dopo può
sempre riaprire i giochi da segretario del partito che, se non più di
maggioranza relativa, resterebbe il partito più consistente di una
possibile coalizione. E, se non ci fossero i voti sufficienti, potrebbe
sempre puntare su nuove elezioni, magari dopo aver schiacciato gli
scissionisti.
Al contrario, i suoi oppositori non sanno bene che fare: Bersani e
Speranza, di solito indecisi a tutto, questa volta sembrano determinati
al passo, ma ormai hanno poche truppe alle spalle e l’unica speranza che
hanno è di recuperare la loro gente uscita dal partito in questi anni,
ed hanno poco tempo per farlo.
A proposito, un consiglio agli scissionisti: hanno
pochissimo tempo per far conoscere un nuovo simbolo ed una nuova sigla,
per cui devono giocare sul riconoscimento di simbolo e sigla già
conosciuti. Io punterei su una cosa del tipo Movimento dei Democratici
di Sinistra ed un simbolo con un albero o un ramoscello di ulivo. E’
vero che sa di vecchio e crea mal di pancia ad alcuni, ma con i tempi
stretti che hanno ogni cosa troppo nuova è un rischio enorme (e
ricordiamoci della lista Arcobaleno e, prima ancora, di Nuova Sinistra
Unita o di Democrazia Nazionale a proposito di liste più o meno
improvvisate), tanto poi c’è tempo per cambiare nome e simbolo dopo le
elezioni.
Tornando agli scissionisti: Emiliano e Rossi hanno basi
essenzialmente locali e di non eccessiva consistenza. Emiliano è più
uomo della comunicazione e può giocare su una maggiore presa mediatica,
ma Rossi è destinato ad essere una piccola corrente di un piccolo
partito.
Piccolo per piccolo, all’ultimo potrebbe essere tentato di restare,
magari per unirsi ai franceschiniani. Dunque, ondeggiamenti e defezioni
potrebbero essercene sino all’ultimo secondo, tuttavia ci
penseranno Renzi e D’Alema a troncarli: Renzi spingendo fuori i suoi
avversari, D’Alema iniziando una scissione che potrebbe calamitare molti
seguaci di Bersani-Emiliano, così da spingere questi a muoversi per non
farsi tagliare la strada.
Una perfetta alleanza fra falchi. E’ andata.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento