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17/02/2017

Lama non l’ama ancora nessuno

17 febbraio 1977 – 40 anni fa la cacciata di Lama dall'Università La Sapienza di Roma

« Il padrone disperato / ha chiamato il sindacato: / “Lama mio salvami tu, / così non se ne può più” / E con gran pubblicità / va nell’università. / Di preciso il diciassette / del febbraio ’77 / sopra un palco da cantante / il progetto delirante: / “Il lavoro benedici / viva viva i sacrifici”. » (Murale all’università di Bologna, 1977. Oggi patrimonio di Wikipedia)

A quarant’anni di distanza dalla meritata cacciata di Luciano Lama dall’università di Roma, l’episodio va riletto con il linguaggio di allora. L’immaginario da indiani (metropolitani) del ’77, l’idea, riportata anche in una canzone di De Andrè, che la cacciata di Lama potesse ricordare la sconfitta del generale Custer a Little Big Horn, oggi sembra più corretta che provocatoria. Il ’77 ha infatti fatto la fine degli indiani: la cacciata di Lama ricorda una grande sconfitta dei partiti della ristrutturazione capitalistica, perché era quella che simbolicamente voleva imporre la Cgil di Lama, prima che questa travolgesse il movimento del ’77 in quegli anni e successivamente e l’intero paese. Movimento che, in questo modo, si legge come una sorta di ultima, coraggiosa, persino poetica, resistenza alla valanga neoliberista. Come accadde, fatte salve le differenze storiche, per le jacquerie contadine o i luddisti inglesi. Movimenti, specie i primi, ampiamente citati nel bagaglio culturale del ’77 mentre, visti gli slogan dell’epoca (“tutto il potere all’automazione” per uscire dalla società del lavoro) con il luddismo c’era sicuramente feeling in materia di sabotaggio ma l’incedere della innovazione tecnologica era visto, soprattutto, come liberatorio. Certo, oggi, ad una società impaurita la cacciata di Lama non ha molto da dire. Inoltre tutti i decennali, della cacciata di Lama e del ’77, hanno detto cose diverse alla società italiana. Il primo, nel 1987, fu sostanzialmente la voce del vincitore che concesse, nei media dell’epoca, qualche spazio agli sconfitti. Negli anni ’90 si imposero produzioni indipendenti che riuscirono un po' a mordere il solito contesto revisionistico del media mainstream sull’argomento. Nel 2007, sul filone della storiografia emersa con gli anni dei movimenti noglobal, i testi, e le voci, in grado di incalzare il mainstream furono di maggior spessore.

Già, si dirà, mai i fatti? Si possono sintetizzare in questo modo: all’inizio del ’77 si sviluppò un forte movimento di contestazione alla tentata riforma dell’università (la cosiddetta circolare Malfatti). La contestazione non si limitò al solo aspetto universitario. Entrò direttamente in rotta di collisione con la politica dell’austerità voluta dal Pci, con la stessa idea di società dell’allora compromesso storico per arrivare ad aggredire il linguaggio e le idee-forza della cultura italiana, senza risparmiare gli stessi gruppi della sinistra extraparlamentare italiana del periodo. Luciano Lama, “mal consigliato” secondo un po' di memorialistica della sinistra italiana, decise, assieme ai vertici del Pci, che era il caso che il sindacato, che si era fatto carico di far passare la linea dura dei sacrifici e della moderazione salariale tra i lavoratori, facesse un atto politico forte di presenza all’Università la Sapienza.

Quest’atto forte fu un comizio, difeso dal servizio d’ordine del sindacato e del PCI, davanti al piazzale dell’università dove si dovevano ribadire sia la linea del sindacato che la presenza della sinistra istituzionale di fronte agli studenti che occupavano le facoltà. Gli argomenti di Lama erano un classico della retorica di sinistra che nasconde contenuti di destra: partire dai classici della mitologia progressista per poi cercare di imporre una linea politica di svendita dei diritti. Per il movimento del ’77 era abbastanza per essere contestati. In più, nel modo scenico di presentarsi (dal servizio d’ordine, all’amplificazione alle urla nel microfono) Lama ci mise quel surplus di arroganza che gli garantì la cacciata, assieme al suo servizio d’ordine in rotta. Fu una grave sconfitta per la Cgil e per il Pci che dimostrò che entrambi non avevano né il polso del mondo giovanile né, in significativi settori della società italiana, l’egemomonia a sinistra. Certo, vista oggi, si tratta di mondi lontani. Ma in politica il passato, la necessità di leggerlo per capire il presente, torna sempre. E quando sarà nessuno Lama l’amerà, anzi lamerà come nel ’77.

Terry McDermott

articolo tratto dall’edizione cartacea di Senza Soste del mese di febbraio n° 123

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