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13/06/2017

Un fine settimana surreale nell'ex Stalingrado d'Italia


C'è dell'ironia nel trovarsi quasi per caso a Sesto San Giovanni, in uno spazio denominato "carroponte" ad ascoltare in concerto i Descendents, formazione capostipite – o giù di li – di quell'hardcore fatto da kids (californiani) per kids (californiani) quindi cronaca urlata dei passaggi adolescenziali che hanno condotto tutti, seppur con sfumature diverse, all'età adulta.

Inizialmente pensavo di scrivere una normale recensione della serata, ma l'esplosivo incrociarsi di tante contraddizioni in un solo luogo, ha completamente traviato le mie intenzioni.

Mi risulta molto difficile rappresentare la sensazione di sospensione e straniamento vissuta durante quelle ore. L'unica similitudine che riesco a identificare è quella con la poetica surreale delle pellicole dei fratelli Coen.

A partire dalla mia discesa a Milano Lambrate, con Piazza Bottini attraversata da una cittadinanza che fin da primo impatto ho avvertito come forzatamente normalizzata nel cosmopolitismo, passando per la stanza all'undicesimo piano della Torre appesa con vista sugli ex uffici Alitalia, i cui trascorsi erano testimoniati dal logo della fu compagnia di bandiera accatastato sul tetto dello stabile, ogni cosa gonfiava l'attesa per l'apparizione di qualche personaggio sopra le righe, magari interpretato da John Goodman o dall'altro John, Turturro.

Invece nulla, nessun set, niente "motore e azione" ma una distopia fastidiosamente reale, in cui l'unico personaggio sopra le righe sono stato io, così abile a sembrare uno che non c'entrava nulla da attirare solo di sponda l'interesse di polizia e finanza che perquisivano meticolosamente ogni ingresso in un ambiente che, teoricamente, per gli ACAB ci si aspetterebbe essere fuori giurisdizione.

L'aria che tira e il senso di quella militarizzazione normalizzata, tuttavia, si chiarificano appena varcate le transenne d'ingresso: sotto e intorno al carroponte pochissimi punk o skin, ma hipster e "alternativi" a profusione; zero disagio o rabbia esistenziale pronte a esplodere in musica, ma tante barbe ben curate e lenzuolate di tatuaggi esposti, a volte con ostentazione, su fisicità più o meno toniche.

(Si dirà a suonare sono i Descendents non i Dead Kennedys... touché!...).

Mancava soltanto "The Dude" in pantofole, occhiali da sole e un mozzicone di spinello tra le dita, per completare una scena ai limiti della perfezione, capace d'immortalare lo stato di precaria sospensione che attraversa gli ambienti in cui viviamo e di conseguenza noi stessi.

La medesima sospensione che pervade Sesto, inghiottita da una riconversione al terziario che ha cancellato la storia operaia di quei territori, la cui testimonianza è affidata a un mesto monumento in memoria dei caduti per mano dello sfruttamento capitalista edificato lungo via Carducci – nello spiazzo antistante le sedi di due multinazionali tedesche, una francese e quel che resta di Breda... – e a quel carroponte, costretto nei confini dell'archeologia industriale, tra spazi commerciali e museali la cui costante è il dubbio gusto architettonico.

Osservare quello scheletro d'acciaio nudo stagliarsi nella notte mi ha riempito di malinconia, perché nelle officine meccaniche in cui i carriponte sono la norma, ho dato avvio alla mia maturazione di classe e constatare di aver avuto il privilegio di "vedere l'ultima frontiera prima che scompaia" e senza che qualcuno o qualcosa abbia posto oltre i confini, è stato triste.

E non è sufficiente un'ottima esibizione dei Descendents a riconciliarmi con il modernismo senza prospettive che luccica sulle poche rovine rimaste della fu Stalingrado d'Italia, non è sufficiente verificare che l'attempato quartetto tiene il palco come innumerevoli (tutti?) gruppi di ventenni non avrebbero mai l'energia di fare, perché "Everything sucks today" suona comunque fuori tempo massimo in un mondo che necessita di ben altri inni per celebrarsi e soprattutto inseguire nuovi orizzonti.

Ps: devo fare un ringraziamento a chi mi ha voluto con se in quei luoghi. Senza la sua spinta non avrei vissuto quei momenti di annebbiata lucidità, a dimostrazione che spesso, l'importanza di una persona sta nel condurti dove tu mai avresti immaginato di poterti trovare.

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