di Chiara Cruciati - il Manifesto
Nessun accordo ad Astana: il
nuovo round negoziale sulla Siria si è chiuso ieri con un nulla di
fatto. Russia, Turchia e Iran avrebbero dovuto definire i dettagli sul
funzionamento delle zone di de-escalation su cui le tre potenze si erano
accordate all’inizio di maggio.
L’accordo «va finalizzato», ha detto il capo negoziatore russo Lavrentiev. Ovvero l’intesa non è definitiva.
Non lo è perché Teheran, Mosca e Ankara non riescono a decidere quali
forze dovranno garantire la sicurezza e il coprifuoco nelle «zone di
sicurezza» e in quelle «a bassa tensione» (o di de-escalation), una
doppia separazione che tenga lontano le parti in conflitto – opposizioni
e governo – e garantisca maggiore sicurezza ai civili e alla consegna
degli aiuti umanitari.
Le quattro zone individuate dall’accordo di Astana del 4 maggio comprendono la provincia di Idlib (quasi del tutto controllata dai qaedisti dell’ex al-Nusra e da gruppi islamisti satellite); parti
delle province di Homs, Hama, Aleppo e Latakia; Ghouta est alla
periferia di Damasco e porzioni delle province di Daraa e Quneitra, al
confine con la Giordania.
Tutte zone strategiche soprattutto alla luce dell’avanzata lenta ma
continua delle forze governative e delle milizie sciite alleate che
mettono in serio pericolo le mire del fronte anti-Assad: la creazione di
zone cuscinetto ai confini nord e sud da affidare alle opposizioni
affiliate alle potenze avversarie del cosiddetto asse sciita.
Tra queste c’è la Turchia a cui ieri la delegazione di
Damasco presente in Kazakistan ha attribuito la responsabilità del
fallimento del vertice a tre: «Il risultato è molto modesto –
ha commentato Bashar al Jaafari, capo delegazione siriano – A differenza
della visione positiva condivisa da tutte le parti», l’atteggiamento
di Ankara è «negativo».
Mentre ad Astana si discuteva, a Raqqa infuriavano gli scontri:
la «capitale» dell’autoproclamato califfato è quasi per metà in mano
alle Forze Democratiche Siriane (Sdf), federazione di kurdi, arabi,
assiri, turkmeni sostenuti da cielo e terra dalla coalizione a guida
Usa.
Coperti dai jet statunitensi i combattenti sono riusciti a portarsi in città vecchia, oltre le linee Isis, e a strappare ai jihadisti il 40% dell’intera città: le Sdf hanno aperto due brecce nelle mura di Rafiqa, vecchie di tredici secoli.
Con la battaglia di Mosul agli sgoccioli, è Raqqa la prossima preda. Ma, a differenza della città irachena, in quella siriana gli islamisti rimasti (Washington ne stima 2.500) sono circondati.
Unica via di fuga è quella meridionale dove però scorre il fiume
Eufrate, rendendo quasi impossibile una ritirata verso zone più sicure
come Deir Ezzor. Gli scontri avvengono ormai casa per casa, una
battaglia durissima per i circa 100mila civili ancora intrappolati,
esattamente come lo è quella di Mosul.
Sullo sfondo resta la Turchia che alla battaglia di Raqqa ha
apparentemente rinunciato per proseguire nella sua personale guerra alle
Ypg kurde nella parte occidentale di Rojava.
Dove si segnalano le prime faide: un gruppo di opposizione affiliato
ad Ankara (i kurdi anti-Pkk dei Liwa Ahfad Salahaddin, membri
dell’Esercito Libero Siriano) ha denunciato la confisca delle armi
consegnate in precedenza da parte delle truppe turche.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento