Si sa, ogni protesta “incolore” somma molteplici e contraddittorie ragioni. Nel corso degli anni il Medioriente è stato terreno di sperimentazione di varie forme di proxy wars, conflitti a intensità variabile dove a contendersi il bottino erano per lo più referenti internazionali in lotta per mezzo di agenti locali. Se c’è un dato che emerge dal ventennio di proteste e rivolte che hanno caratterizzato il mondo arabo, questo è il loro carattere dipendente: ogni movimento è finito col servire interessi esterni alle stesse popolazioni mobilitate. La mancata autonomia della protesta popolare araba è un fatto che impone di volta in volta una sua valutazione.
Districarsi nell’interpretazione dei fenomeni di protesta mediorientali è per questo decisamente impervio. Il rischio è di scadere nel complottismo come lente attraverso la quale guardare ogni fenomeno sociale non apertamente antimperialista o, al contrario, rimanere affascinati dalla piazza senza coglierne le sfumature politiche (sfumature che però appaiono fondamentali per il futuro di quelle stesse popolazioni).
Fanno ad ogni modo riflettere le parole di Jamileh Kadivar, ex deputata del parlamento iraniano e protagonista del “movimento” di protesta del 2009 (definito “Onda verde”), intervistata ieri dal Corriere della Sera. Alla domanda se «queste proteste siano fomentate da agenti stranieri», la risposta fornita appare fin troppo esplicita: «Inizialmente i manifestanti urlavano contro Rouhani. Ma già il secondo giorni gli slogan erano cambiati. L’impressione è che altri, forse dall’estero, abbiano provocato le proteste in altre città. Dopotutto le autorità saudite avevano preannunciato un intervento in Iran».
Che una protesta cambi forma e significato nel giro di due giorni, appare irrealistico. Impossibile, al momento, valutare anche la veridicità o meno delle parole dell’ex parlamentare iraniana. Quello che però fa pensare è che una dinamica simile, cioè l’evidente interferenza esterna, venga data per acclamata da una rappresentante non certo tenera verso il governo iraniano. Per meglio dire, la critica antimperialista fondata esattamente sulla funzione delle proxy war nella gestione geopolitica del Medioriente, viene utilizzata anche da chi si batte in nome dell’imperialismo stesso (la tipa è residente a Londra, immaginiamo la durezza del suo esilio).
Quando conviene, insomma, quello che, quando serve, viene derubricato come complottismo, altre volte torna a spiegare la realtà anche per le classi dominanti. In attesa di capire l’evoluzione della protesta iraniana, sapere che l’intervento esterno negli affari iraniani è un dato di fatto aiuta (dovrebbe aiutare) anche chi si farà puntualmente abbagliare da piazze in subbuglio.
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