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06/06/2018

L’assassinio di Soumayla Sacko. C’è un indagato e un contesto che va chiarito


C’è un indagato per l’assassinio di Soumayla Sacko ucciso a colpi di fucile sabato sera. Si tratta di un quarantenne italiano, residente a San Calogero. I carabinieri però gli hanno notificato solo un “avviso della persona indagata” e contestuale “notifica di accertamenti tecnici non ripetibili” emesso dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia. Sulla sua identità viene mantenuto uno stretto riserbo. Da fonti vicine alle indagini si afferma che allo stato non risulterebbe un movente razzista o legato alla ‘ndrangheta, ma su quest’ultimo aspetto, come scriviamo più avanti, alcuni elementi ci portano a dire di non condividere la versione finora fornita dagli investigatori.

Nel frattempo è stato conferito l’incarico per l’autopsia sul corpo di Soumayla, proprio per consentire all’indagato di nominare i propri periti è stato emesso l’avviso. L’uomo, secondo quanto si è appreso, dovrebbe essere sottoposto allo stub, l’esame per accertare la presenza di residui di polvere da sparo su mani e vestiti. Anche in questa vicenda emergono alcuni e pertinenti interrogativi. Per il reato di omicidio, è la prima volta che vediamo procedere con tutta questa prudenza. Come noto, l’entità del reato prevede non l’avviso ma quantomeno il fermo giudiziario obbligatorio, soprattutto in presenza di testimoni del delitto, in particolare per evitare l’inquinamento delle prove o la fuga. Una procedura attuata anche nel caso di omicidio stradale ma che questa volta invece non è stata adottata.

Si tratta di un italiano di 43 anni. All’indagato gli investigatori sono risaliti già nell’immediatezza del fatto. All’uomo sono stati sequestrati l’auto Fiat Panda bianca ed i vestiti e sarebbe anche già stato sottoposto alla prova dello stub i cui risultati saranno noti agli inquirenti nei prossimi giorni.

L’uomo sarebbe il nipote di uno dei soci della società proprietaria della ex Fornace Tranquilla in cui è avvenuto il delitto. Un impianto abbandonato dopo essere stato sequestrato una decina di anni fa nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza sullo smaltimento e lo stoccaggio di rifiuti industriali tossici e pericolosi. Secondo l’accusa, infatti, nei terreni della società “Fornace Tranquilla”, nel corso degli anni sarebbero state stoccate oltre 135 mila tonnellate di rifiuti pericolosi e tossici.


Attorno alla Fornace abbandonata, riferiva il quotidiano locale Mediacalabria.it, aleggiano le inquietanti ipotesi riguardanti le pesanti ingerenze della ndrangheta sulla “Fornace Tranquilla srl” di San Calogero. Un sito da anni sotto sequestro ad opera della Guardia di Finanza e sul quale sarebbe stata realizzata una vera e propria discarica di veleni al cui interno sarebbero finiti fanghi ritenuti fortemente inquinanti e pericolosi perché di derivazione industriale. Si stima, infatti, che dentro la vecchia fornace di laterizi siano stati “sepolti” all’incirca 130 mila tonnellate di rifiuti provenienti soprattutto dalle centrali termoelettriche a carbone Enel di Brindisi, Priolo Gargano (Siracusa) e Termini Imerese (Palermo).

Una vicenda dietro la quale ancora oggi aleggia la morte di Antonio Romeo, di Taurianova, fino a quel momento alla guida della fornace di laterizi. L’uomo nel 2017 era stato rinvenuto cadavere in circostanze a dir poco “misteriose” all’interno della propria autovettura. Secondo ipotesi investigative il mezzo sarebbe stato fatto precipitare volutamente dal costone della provinciale per Nicotera nella zona di Coccorino (frazione di Joppolo). Un omicidio a tutti gli effetti sul quale le indagini non hanno portato a nulla. Tant’è che i reati e gli imputati nell’inchiesta sui rifiuti tossici nella Fornace Tranquilla sono finiti in prescrizione.

L’anno scorso era stata anche presentata una interrogazione parlamentare da parte del M5S indirizzata ai ministri dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e della Salute. Il deputato pentastellato Paolo Parentela ricordava, in premessa all’interrogazione, che “il reato contestato e prescritto a carico di quattordici imputati nel processo sui rifiuti pericolosi è quello di “disastro ambientale colposo”; che “dopo cinque anni di rinvii, tra scioperi degli avvocati e mancanza di giudici, non è stato possibile nemmeno dichiarare l’intervenuta prescrizione per mancanza del giudice titolare; in località “Tranquilla” non è mai stata avviata la bonifica”. Insomma un posto a cui non avvicinarsi troppo, neanche per motivi del tutto avulsi dalla curiosità o da una inchiesta giornalistica, come quello di trovare qualche lamiera per fare un tetto alle baracche in cui sono costretti a vivere i braccianti nelle campagne del vibonese.

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