Vladimir Putin conferma il graduale rientro in
patria di uomini e mezzi russi dalla Siria – 13 aerei, 14 elicotteri e
1.140 soldati negli ultimi giorni – ma, più di tutto, si
preparerebbe a discutere anche del ritiro dei reparti iraniani in Siria
durante il vertice che avrà con Donald Trump e che dovrebbe tenersi il
15 luglio. Questo è almeno ciò che riferisce Al Hayat, quotidiano panarabo con sede a Londra, citando una non meglio precisata fonte diplomatica. Gli
Stati Uniti, secondo il quotidiano, vogliono il completo ritiro
dell’Iran dalla Siria, in accordo con quanto chiede con forza Israele
che negli ultimi mesi ha attaccato più volte con la sua aviazione
presunte postazioni militari iraniane in Siria e convogli di armi
inviate, afferma Tel Aviv, da Tehran al movimento sciita libanese
Hezbollah. Al Hayat sostiene che anche la Giordania sarebbe contraria alla presenza di forze dell’Iran e che gli Usa continueranno a dare luce verde ad attacchi israeliani contro installazioni militari iraniane in Siria.
Non è facile accertare l’affidabilità delle indiscrezioni
riferite da al Hayat, giornale legato alle monarchie sunnite del Golfo
e, quindi, schierato contro Tehran e Damasco. Tuttavia da tempo
qualcosa bolle in pentola e da più parti si sostiene che Mosca si
sarebbe convinta, dietro le forti pressioni di Israele e Usa, ad
intimare all’alleato Iran di ritirare le sue forze in Siria. E
in Iran qualcuno sostiene che proprio il presidente siriano Bashar
Assad, che grazie all’aiuto iraniano ha rafforzato la sua posizione e
sconfitto i jihadisti ribelli, sarebbe ora orientato a rinunciare
all’assistenza iraniana per compiacere la Russia. Il deputato Behrooz Bonyadi ha accusato senza mezzi termini la Siria e la Russia di voler “sacrificare” l’Iran e ha rivolto un attacco frontale ad Assad, storico alleato di Tehran.
“Oggi vediamo Assad migliorare enormemente il suo rapporto con il
presidente russo Vladimir Putin”, ha detto Bonyadi, che ha accusato il
presidente siriano di sottovalutare il significato dei “martiri dei
santuari”, termine usato dall’Iran per riferirsi ai suoi combattenti
caduti in Siria.
Certo è che le grandi potenze continuano a giocare la loro
partita e la Turchia sembra aver il pieno sostegno di Washington alle
sue strategie diplomatiche e militari in Siria. Ieri durante una sua audizione al Senato degli Stati Uniti, il segretario di Stato degli Usa, Mike Pompeo,
ha assicurato che la Turchia sarà “parte importante” della soluzione al
conflitto siriano. “Alla fine, la Turchia sarà parte della soluzione in
Siria, una parte importante, dobbiamo riconoscerlo e fare del nostro
meglio per collaborare”. Pompeo ha aggiunto che dopo il voto del
24 giugno in Turchia, che ha visto la rielezione a presidente di Recep
Tayyip Erdogan, Washington e Ankara possono dare avvio a “un dialogo più
costruttivo”. Il segretario di stato si è poi espresso sul cosiddetto piano per Manbij,
città nel Rojava curdo a nord della Siria, che ha concordato con il
ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu, incontrato a Washington
il 4 giugno. Secondo Pompeo, l’iniziativa vedrà gli Stati Uniti e la
Turchia “collaborare per risolvere questioni molto complicate tra i
diversi gruppi etnici di Manbij”.
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