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18/06/2018

Back to Damaged Justice (2018 - 1989)


Traguardati i tre lustri di passione musicale, posso vantarmi di non essermi mai pentito di alcun acquisto fatto, nemmeno di quelli che, nel corso degli anni, ho poi rivenduto.

Perché comunque, nei momenti in cui li facevo miei alleggerendo il già magro borsello, quei dischi rappresentavano qualcosa della mia esistenza che è rimasto.

Alcuni sono ovviamente rimasti più di altri, è il caso, forse unico, di Live Shit: Binge & Purge primo disco dal vivo dei Metallica, acquistato nell'ottobre del 2005 dopo averne scoperto settimane prima alcuni spezzoni su un YouTube non ancora inserito nell'orbita Google.

Ricordo in particolare di essere rimasto folgorato da Master of puppets eseguita nella data di Seattle del Damaged Justice Tour, datato 1989, e dall'apertura del Nowhere Else to Roam Tour, un evento titanico che nella capitale messicana mise a segno ben cinque date.

Si trattava di uno dei tanti, in quegli anni, giochi al massacro che certamente contribuirono a prosciugare il quartetto di Frisco al punto da condurli a pubblicare materiale di dubbia qualità come quello che si ascoltò dal 1996 in avanti.

Primi approcci a parte è indubbio che la serata di Seattle costituisca testimonianza del punto più alto raggiunto dal gruppo statunitense. Un'acme che all'implacabilità esecutiva e attitudinale, coniugava il riconoscimento popolare oceanico.

Una fortunata sintesi che condusse, credo per la prima volta, il metal a divenire fenomeno di massa, sociale, quasi politico, come negli Stati Uniti soltanto Spingsteen era stato in grado di identificarsi e prima di lui forse solo Elvis.

Premesso questo, le registrazioni di quella serata sono una 2 ore da cardiopalma nel vero senso della parola. Abituati ad ascoltare i Metallica degli ultimi 20 anni, fa spavento ritrovarli su quei nastri in tale stato di grazia, una condizione che li rendeva capaci di spazzare via qualsiasi concorrenza, tanto quella dei massimi alfieri della NWOBHM - gli Iron Maiden - quanto quella di soggetti poi impostisi come pietre angolari del metal estremo - gli Slayer - e non solo.

Il pubblico presente in quell'occasione ne è palesemente consapevole, scaricando addosso ai quattro californiani una quantità di energia uguale per intensità e opposta per verso a quella che deflagrava dagli amplificatori sul palco; ciò che ne deriva è un'esperienza che riesce a risultare catartica anche stando comodamente seduti sulla poltrona della nonna.

A parere di chi scrive, soltanto la breve parentesi dell'epopea della scena - guarda caso - di Seattle fu capace di replicare su scala anche maggiore l'epifenomeno generato a fine anni '80 dai Metallica.

Dopo e a tutt'oggi, il vuoto.

Infatti, seppur i gruppi talentuosi siano andati diminuendo ma non siano mancati, è tuttavia venuto meno, da parte delle nuove leve, quella specie di "populismo sonoro" che consentiva alla formazione di turno di radunare e guidare come un direttore d'orchestra folle oceaniche di decine, a volte centinaia di migliaia di persone.

Chi scrive è sufficientemente convinto che quanto descritto affondi le proprie radici in quella presunta "fine della storia" che, attraverso il pensiero unico, ha ridotto in coma farmacologico anche e forse per prima la produzione artistica.

L'antidoto a questo stato larvale può essere soltanto uno: per dirla con un Gaber incendiario il recupero del "furore antico", per esempio quello condensato in 1 minuto e 55 secondi di cover dei Misfits, in cui non è difficile identificare il senso e l'anima di 30 anni di musica che sembrano molto più lontani data la sterilità che ci attanaglia.


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