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17/06/2018

Amman si piega a Riyadh e ritira l'ambasciatore da Teheran

di Michele Giorgio

Il principe Mohammed bin Salman con i suoi miliardi non può garantirsi vittorie ai Mondiali in Russia ma senza dubbio può comprare la politica estera degli altri paesi arabi. Hanno avuto un riflesso immediato i 2,5 miliardi di dollari che, lo scorso 10 giugno, assieme ad Emirati e Kuwait, l’Arabia Saudita ha messo disposizione della Giordania attraversata nei giorni scorsi da proteste e manifestazioni contro il Fmi e la politica economica dell’ex premier Hani al Malqi.

Ieri la Giordania ha annunciato di aver ‎«trasferito», ossia richiamato in patria, il suo ambasciatore in Iran, Abdullah Abu Rumman. La notizia, non a caso, è stata data subito dalla tv satellitare al Arabiya, megafono della monarchia saudita. Una decisione che il governo di Amman ha spiegato con una presunta ‎«interferenza dell’Iran negli affari regionali‎» e con la preoccupazione della Giordania per ‎«la sicurezza della regione ed in particolare dell’Arabia Saudita e dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg)‎».

Il passo giordano segue quello, altrettanto immotivato, mosso qualche settimana fa dal Marocco, sempre su pressione saudita, per accrescere l’isolamento di Teheran. Termina perciò la politica prudente mantenuta in questi ultimi anni da re Abdallah di Giordania che pur dichiarandosi vicino all’Arabia Saudita e alle altre petromonarchie ha comunque tenuto aperto canali di comunicazione con l’Iran e adottato una posizione più defilata nei confronti della crisi siriana. Linea che era costata ad Amman il mancato rinnovo nel 2016 del pacchetto quinquennale di aiuti dal Ccg. La Giordania peraltro è rimasta dietro le quinte nella campagna militare lanciata da Mohammed bin Salman contro i ribelli sciiti in Yemen. Ora, si sussurra, re Abdallah potrebbe dare, contro le sue intenzioni e l’opposizione dei palestinesi, appoggio all'”Accordo del secolo” di Donald Trump per la “soluzione” della questione israelo-palestinese, che piace a Riyadh.

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