Agli studenti che chiedono perché bisogna studiare anche la Storia bisognerebbe rispondere sempre: “perché altrimenti vi vendono roba marcita da tempo come se fosse l’ultima novità”.
Ad ascoltare le parole dei vari membri del governo questa raccomandazione trova subito esempi in quantità sovrabbondante.
Lasciamo perdere per un giorno il re della truffa, il boss leghista che sta per finire gli argomenti (è già arrivato al “no vax”...), e ascoltiamo il prode Luigi Di Maio cambiare versione, per l’ennesima volta, sul famoso “reddito di cittadinanza” (che nelle stesse ore è stato definito impossibile dal ministro dell’economia, Prof. Tria, davanti ai colleghi dell’Eurogruppo).
Ora è diventato: «non è dare soldi a qualcuno per starsene sul divano, ma è dire con franchezza: hai perso il lavoro, ora ti è richiesto un percorso per riqualificarti e essere reinserito. Ma mentre ti formi e lo Stato investe su di te, ti do un reddito e in cambio dai al tuo sindaco ogni settimana otto ore lavorative gratuite di pubblica utilità». Gli anglofoni lo chiamerebbero workfare, lavoro obbligatorio in cambio di un sussidio temporaneo. Ma quando si parla inglese lo si fa per nascondere qualcos’altro.
A un disoccupato, necessariamente “di bocca buona” di fronte all’assenza di un reddito, può comunque sembrare anche una buona cosa, lì per lì. Un disoccupato di lungo corso meridionale riconosce facilmente i connotati del “lavoro socialmente utile”, una forma di sussidio-contro-lavoro dei decenni passati che ha effettivamente aiutato un po’ di gente a sopravvivere in cambio di attività che “il mercato” non riesce a coprire perché non “vendibili”: cura del territorio, verde pubblico, ecc. L’unica differenza è che gli Lsu erano figure di lavoratori riconosciuti in quanto tali (con contributi previdenziali, diritti, ferie, malattia, ecc), a lungo protagonisti di vertenze ogni qual volta un nuovo governo provava a cancellare questo istituto per “ragioni di bilancio”. A nessuno, in questo governo, viene insomma in testa neanche per sbaglio di creare occupazione vera.
A chi ricorda qualche nozione di storia, però, la formula usata da Di Maio (“ti do un reddito e in cambio dai al tuo sindaco ogni settimana otto ore lavorative gratuite di pubblica utilità”) suona decisamente nota. E altrettanto datata. E’ infatti perfettamente identica all’antica corvée, che il vocabolario Treccani così ricorda: “corvée ‹korvé› s. f., fr. [lat. tardo corrogata (opera) «(opera) richiesta»] (italianizz. in corvata nel sign. 1 e corvè negli altri). – 1. Nel diritto feudale, serie di prestazioni personali dovute al signore, generalmente consistenti in alcune giornate di lavoro; s’è conservata fino alla fine del sec. 18° e, in alcuni stati italiani, fino all’inizio del 19°.”
Negli ultimi anni ci è capitato spesso di riconoscere in qualche provvedimento sul lavoro – scritto dai governi di centro-destra-sinistra, ma suggeriti da Confindustria e raccomandati dall’Unione Europea – i segni di un ritorno al lontano passato, addirittura alle “origini” dell’era capitalistica. In qualche caso abbaimo trovato somiglianze con rapporti di lavoro medioevali, ma sotto vesti – almeno – ipertecnologiche.
Il “governo del cambiamento” fa un deciso passo avanti – o indietro – e torna al medioevo puro e semplice. Con la corvée, naturalmente obbligatoria, come ai tempi di Pipino il Breve.
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