“Oltre alla dimensione unidimensionale del piombo
attraverso cui li si inquadra generalmente, gli anni Settanta sono stati
anche un sacco di altre cose”: tra queste, sottolinea Mario Bonanno,
possono essere inclusa a buon diritto la musica dei cantautori italiani,
a cui l’autore dedica un’agile e preziosa guida che racconta la storia
musicale del decennio nel contesto di quelli che il fotografo Tano
D’Amico ha sempre definito come “gli anni ribelli”.
33 Giri. Guida ai cantautori italiani. Gli anni Settanta
ha la capacità di attraversare un decennio di storia italiana
mantenendo come sottofondo il cantautorato di quegli anni. Dal 1970 al
1979 Bonanno sceglie, a suo giudizio, fatti, nomi e dischi indicativi
del clima social-musicale di allora, spesso mettendo in rilievo anche
curiosità e aspetti particolari legati a quella determinata canzone.
Ogni capitolo del libro riporta, in apertura, alcune strofe della canzone più rappresentativa dell’anno, dalla Primavera di Praga Guccini (1970) al proclama di Eugenio Finardi, Legalizzatela
(1979), ma soprattutto, accanto ad ogni autore ed ogni disco, Bonanno
alterna considerazioni musicali a riflessioni sulla carriera intrapresa
da alcuni cantautori di allora che poi hanno preferito le canzonette
alla militanza e ai testi impegnati. Si pensi, ad esempio, alla svolta
ideologica di Antonello Venditti, che si adegua alla leggerezza degli
anni Ottanta e passa da A Cristo? (1974), per la quale fu accusato di vilipendio alla religione, al disimpegnato album Buona domenica, frutto di un lavoro definito da Bonanno del “contestatario pentito”.
In un decennio come quello dei Settanta, quando la
protesta ed il rifiuto dell’ordine costituito portano nelle piazze
migliaia e migliaia di persone, gran parte dei cantautori risente del
clima di quegli anni, ed un ruolo di primo piano lo assumono Claudio
Lolli, con Borghesia (1972), che potrebbe essere benissimo
ambientata ai giorni nostri, l’Edoardo Bennato allora vicino alla Nuova
Compagnia di Canto Popolare e il Paolo Pietrangeli che a quei tempi era
divenuto il simbolo di una generazione in lotta e della sinistra
extraparlamentare.
La lettura del libro scorre in maniera gradevole anche per
la capacità di Bonanno di segnalare una serie di particolarità che
almeno a me, amante della musica, ma non conoscitore e tantomeno
esperto, sono servite ad illuminarmi. Ad esempio, il Fiume Sand Creek
di De André, che ha per tema un massacro di indiani pellerossa avvenuto
nel 1864, fa sottintendere anche alcuni riferimenti al movimento degli
indiani metropolitani che caratterizzò il periodo contestatario degli
anni Settanta. Inoltre, ho avuto modo di conoscere testi e canzoni a me sconosciuti, a partire dall’antimilitarista Quando stai per cominciare (1975) di Eugenio Finardi.
Un altro merito dell’autore risiede nella capacità di
associare i fatti più rilevanti di ciascun anno alle canzoni. La Milano
sotto assedio del 1975, descritta da Bonanno come uno “scenario di
guerra”, si identifica nel Caramba di Finardi, che invita a
tirare fuori dalle prigioni “i compagni incarcerati”, così come il clima
di contestazione a tutte le gerarchie, comprese quelle religiose, si
riflette nell’Affacciati affacciati (1975) di Bennato che ha come bersaglio Paolo VI.
Sfogliando le pagine del libro è impossibile non
canticchiare quelle canzoni che hanno caratterizzato gli anni Settanta,
addirittura si ha l’impressione di immergersi dentro a quel decennio, di
toccarlo, di immaginarlo, anche per chi non lo ha vissuto e poi molti
testi raccontano storie che potrebbero essere benissimo adattate ai
giorni nostri, si pensi al Rino Gaetano che parlava degli emigranti in E cantava le canzoni o a Capofortuna (1978), il cui protagonista è un arrampicatore sociale. Prima del cosiddetto riflusso degli anni Ottanta c’è tempo per Eskimo
(1978) di Guccini in un’Italia dove ancora si continua a scontrarsi e a
sparare, ma che, a livello musicale, aveva assistito per quasi dieci
anni, ad una vera e propria rivoluzione.
Mario Bonanno nota che, fino almeno a tutti gli anni
Sessanta, “la canzone italiana suonava sulla scorta della tripartizione
lirica amore/cuore/dolore e dell’enfatico pedagogismo sentimentale
(mamma sempre santa, moglie sempre devota, idem per fidanzate, figli e o
mariti lontani, questi ultimi nostalgici e ultrafedeli)”. Per fortuna,
gli anni Settanta ci hanno regalato posizioni e una presa di coscienza
espressa a livello musicale che si è tramandata fino ai giorni nostri,
non a caso, ad ogni manifestazione, non è difficile ascoltare chi
intona, ancora oggi, Contessa o La locomotiva.
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