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26/06/2018

Siria - Missili israeliani su Damasco

Altra notte di tensione sulla capitale siriana: secondo la tv di Stato due missili israeliani sono caduti vicino all’aeroporto internazionale di Damasco. Nessun dettaglio in più è stato fornito, mentre da Tel Aviv – come al solito – non giungono né conferme né smentite.

La notizia è confermata anche dall’Osservatorio Siriano per i diritti umani, controversa ong di stanza a Londra, con un solo membro dello staff, fin dal 2011 schierata contro il governo del presidente Assad. Il direttore, Rami Abdel Rahman, all’Afp ha parlato di “missili israeliani contro un deposito di armi di Hezbollah vicino l’aeroporto”.

La contraerea siriana non sarebbe riuscita a intercettare i missili, che però non hanno causato danni. Nel contesto della guerra regionale diventa quasi un dettaglio: ormai gli attacchi israeliani sulla Siria si svolgono con cadenza regolare, sempre più frequenti a partire dal primo attacco statunitense contro il territorio siriano, nell’aprile 2017 quando 57 missili Tomahawk lanciati dall’aviazione Usa colpirono la base siriana di Shayrat, lungo la costa mediterranea.

Da allora il ruolo israeliano è ulteriormente cresciuto, prendendo di mira non più soltanto postazioni del movimento libanese Hezbollah, ma presunti siti militari iraniani, vero obiettivo della guerra a distanza di Israele contro l’asse sciita. Il 9 aprile scorso missili israeliani provocarono la morte di sette soldati iraniani di stanza nel centro della Siria, a maggio Tel Aviv lanciò una pioggia di missili su decine di siti militari siriani in tutto il paese dopo il lancio di alcuni razzi verso il Golan siriano occupato. Un attacco che il ministro della Difesa israeliano Lieberman rivendicò affermando che Tel Aviv aveva così distrutto buona parte delle infrastrutture iraniane in Siria.

Fino alla scorsa settimana quando si è assistito all’ennesimo “salto di qualità”: raid israeliani hanno colpito nella provincia di Deir Ezzor la base militare di al-Hari, al confine con l’Iraq uccidendo 52 combattenti filogovernativi tra cui 22 iracheni. Non era mai accaduto prima che Israele uccidesse dei miliziani iracheni né che spostasse il proprio raggio d’azione così lontano dalle solite aree di “intervento”. Un luogo non scelto a caso: è da lì che transitano armi e uomini a sostegno di Bashar al-Assad, punto nodale di quel corridoio sciita a cui l’Iran lavora da tempo per consolidare la propria influenza sui paesi vicini, dall’Iraq al Libano.

L’obiettivo è condiviso con l’amministrazione Trump e con l’alleato de facto saudita: ridurre al minimo la presenza iraniana nella regione, manu militari e attraverso la via diplomatica, se così si può definire, minando lo storico accordo sul nucleare iraniano siglato dal 5+1 nel luglio 2015 e ora sotto attacco da parte di Washington.

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