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20/06/2018

Un bavarese di traverso et voilà, la Ue sposa l’estrema destra

Sembrava un dispositivo così perfetto, l’Unione Europea... Un bel numero di trattati economici, che assumono come “ottimali” alcuni parametri estrapolati da una teoria fasulla (“l’austerità espansiva”, come dire “ingrassare non mangiando”), con un contorno di vincoli e sanzioni affidate a un pool di tecnocrati nominati dai singoli Stati ma rapidamente convertiti al verbo comunitario.

Sembrava perfino funzionare, visto che ogni crisi veniva risolta con nuovi trattati più vincolanti, nuovi poteri di governance centrali, rigorosamente sottratti a qualsiasi verifica democratica e a qualsiasi cambio di governo nazionale (l’esperimento dal vivo, decisamente sanguinolento, l’hanno fatto con la Grecia). “I mercati” al centro delle preoccupazioni, “gli investitori” l’unica categoria da tutelare, il lavoro la principale fonte da depauperare.

Poi, improvvisamente, la crisi su come gestire i flussi migratori, paradossalmente nel momento in cui sono in calo. La libera circolazione delle merci e dei capitali – dovrebbero saperlo anche gli asini di Bruxelles – trascina con sé quella delle persone. Soltanto che a Bruxelles si erano convinti che “persone” fossero soltanto i cittadini comunitari, quelli nati e cresciuti nei 28 paesi Ue (da cui l’accordo di Schengen).

E invece no, le persone reali sono un po’ di più, vengono da altre parti del mondo, proprio come le merci e i capitali. Ma, al contrario di questi ultimi due, “si vedono”. Hanno altri colori di pelle, altre lingue, altre religioni e tradizioni. Il melting pot, l’integrazione di masse rilevanti di popolazione, richiede tempi lunghi – al contrario di merci e capitali – e l’attivazione di politiche specifiche. Che presuppongono delle voci di spesa comuni per politiche comuni. Che non sono state neanche pensate.

Il regolamento di Dublino era un pastrocchio che affidava sostanzialmente ai paesi di primo ingresso degli immigrati (dunque a Grecia, Spagna, Italia e Malta) il compito di registrarli e gestirli. Ma le persone si muovono anche senza spedizioniere, e sono tracimate in tutta Europa, con scene bibliche come la lunga marcia attraverso i Balcani, in direzione del paradiso Germania.

La quale si pensava al sicuro da ogni pericolo, non avendo frontiere a rischio e potendo contare su potenti strumenti di persuasione (i trattati) e filiere produttive altamente selettive, in grado di individuare la manodopera utile per sé (laureati e tecnici, ecc.) e quella da lasciare altrove (nei campi, a raccogliere frutta e pomodori).

Proprio la Germania, pilastro portante dell’Unione Europea fatta a sua immagine e somiglianza (e interessi), è ora l’epicentro della crisi. Disturbati dal vociare salviniano, amplificato stolidamente dalla “sinistra liberal-liberista, qui in Italia non si nota troppo quel che avvenendo ai piani alti della costruzione comunitaria.

In sintesi. Per la fine di questo mese è previsto da tempo un vertice di capi di stato e di governo che avrebbe dovuto – secondo le intenzioni di Macron e Merkel – segnare un passaggio deciso verso una maggiore integrazione continentale, con trattati più stringenti, anche a costo di istituire due aree diverse, una “doppia velocità”.

E invece no. La tradizionale “prudenza tedesca” – così viene chiamato sui media il rifiuto di condividere i rischi finanziari con gli altri paesi – si era già incaricata di derubricare l’atteso “passaggio storico” a semplice messa a punto di alcuni “ritocchi” all’architettura europea. Il precipitare della crisi all’interno del governo tedesco sta ora rimettendo tutto in discussione.

Il ministro dell’interno e leader della Csu bavarese – Horst Seehofer, inferocito per la perdita di voti del suo partito a favore dei razzisti dell’Afd – ha dato “15 giorni di tempo” ad Angela Merkel per raggiungere un accordo con gli altri partner europei... sui migranti. Altrimenti apre una crisi di governo, dopo che ci sono voluti oltre sei mesi per formarlo. Cosa vuole? Vuole rispedire nei paesi di primo ingresso quei migranti che si sono spostati poi in Germania; ossia in Italia, Spagna, Greca, ecc.

Sorvoliamo per un attimo sulla stolidità del razzista italico che plaude a una posizione tedesca che per lui – per lui! – sarebbe un problema piuttosto serio.

La questione fondamentale è infatti la tenuta o meno del governo tedesco, sotto la guida di frau Merkel. Una Germania ancora più “severa” e nazionalistica, infatti, destabilizzerebbe l’attuale Unione molto di più degli strilli salviniani, aprendo scenari decisamente imprevedibili nei dettagli, ma sicuramente densi di problemi rilevanti.

L’incontro di ieri tra Macron e Merkel, a Meseberg, è stato di fatto un mettere a punto misure e retorica con cui provare a disinnescare la bomba a orologeria posta da Seenhofer. Sul piano economico verrà proposto un compromesso al ribasso: “Siamo a favore di un budget dell’eurozona e della trasformazione del Meccanismo di solidarietà europeo Esm in un fondo monetario europeo”, ha spiegato al Merkel a fine incontro. Ma niente ministro dell’economia continentale (come voleva Macron) e niente garanzia europea sui conti correnti in caso di dissesto bancario.

Ma è sul controllo dell’immigrazione che i due hanno fissato paletti ampiamente soddisfacenti per le destre “populiste” di tutti i paesi. “La migrazione la concepiamo come sfida comune” e “il nostro obiettivo resta una risposta europea. Vogliamo evitare che l’Europa si divida. Noi sosteniamo le proposte della Commissione e il rafforzamento di Frontex”.

Per essere ancora più esplicita, Merkel ha aggiunto che “Accoglieremo le valutazioni dell’Italia sulla migrazione”. E quindi, rivolta indirettamente al suo ministro Seenhofer, “Concordiamo sul fatto che quei migranti che vengono registrati in un Paese e vanno in un altro devono essere rimandati indietro al più presto.”

Il bavarese che si è messo di traverso, alla fine, dovrebbe poter raggiungere il suo obbiettivo senza far crollare il governo di cui fa parte e con esso l’architrave della “stabilità europea”.

Il compromesso tra i vari paesi, insomma, verrà raggiunto in direzione della trasformazione dell’Europa in fortezza militare, controllata da truppe comuni, incaricate di respingere i migranti verso i paesi del Nord Africa, sui cui territori la Ue costruirà hotspot dove selezionare i richiedenti asilo (in calo) dai “migranti economici”. E’ il modello degli accordi con Turchia e Libia, ma più in grande: vi diamo un po’ di soldi, ma teneteveli e fatene ciò che volete. Razzismo violento, ma lontano dagli occhi (e dai testimoni).

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