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08/12/2018

“La disobbedienza alle “ingiuste” leggi dello Stato entri nell’agenda politica”

Due giorni fa a Roma si è svolta una partecipatissima assemblea di solidarietà con Nunzio D’Erme, un compagno e un attivista storico romano che gode della stima e dell’affetto di molti, recentemente condannato per una iniziativa antifascista che ha coinvolto alcuni agenti della Digos in borghese. Lo dimostrano le centinaia di adesioni ricevute dall’appello di solidarietà “Io sto con Nunzio” e la folta partecipazione all’iniziativa.

In questo senso occorre ringraziare Nunzio che ha messo esplicitamente a disposizione la sua vicenda per consentire una discussione più ampia e non limitata al suo caso specifico. “Dobbiamo ricostruire un campo di coloro che sostengono la democrazia conflittuale” ha detto Nunzio nel suo intervento.

Dopo l’introduzione di Italo Di Sabato dell’Osservatorio Repressione, ci sono stati numerosissimi interventi (dalla partigiana Tina Costa a nome dell’Anpi a Giorgio Cremaschi, da Francesco Raparelli a Guido Lutrario, da Nicoletta Dosio a Riccardo venuto addirittura da Milano, da un giovanissimo studente delle scuole alle compagne di “Non una di meno”), sia come manifestazione di sostegno a Nunzio, sia con riflessioni sul come affrontare un contesto in cui molti attivisti e attiviste vengono colpiti dalla repressione.

In questa discussione siamo ovviamente intervenuti portando il nostro contributo, evitando come al solito ogni inutile retorica e cercando di ragionare e far ragionare la “compagneria” sul che cosa dobbiamo affrontare. Un approccio che, tirando le conclusioni, l’avvocato Marco Lucentini alla luce della molta esperienza sul campo, ha invitato a seguire.

Qui sotto la sintesi del contributo che abbiamo portato all’assemblea di solidarietà con Nunzio:

“La riuscita di questa assemblea di solidarietà con Nunzio e anche l’altissimo e ampio numero di adesioni all’appello di sostegno dopo la sua condanna, sono per paradosso il punto di forza ma anche il problema con cui fare i conti.

Va ricordato che nell’ordinanza di arresto per Nunzio, il magistrato indicava come aggravante proprio la sua “popolarità” e la capacità di influenzare altre persone. Ragione per cui, se la fattispecie di reato contestata è esercitata da una persona popolare e stimata come Nunzio, questa diventa aggravante perché dà il cattivo esempio. La conseguenza è una pena spropositata ed esemplare per un episodio smentito dalle perizie ma sul quale relazionerà meglio l’avvocato difensore.

Alcuni interventi sentiti prima hanno “suonato la carica”. Diversamente riteniamo che occorra invece ragionare sulla vicenda di Nunzio e sul contesto nel quale ci troviamo ad agire.

Da qualche giorno, alcune misure repressive contro le lotte sociali, oltre che contro i migranti, sono diventate leggi dello Stato. E il contesto in cui il decreto Salvini è diventato legge dello Stato è quello che conforma e conformerà anche le sentenze della magistratura. Solo tre o quattro anni fa, non ci sarebbe stata una sentenza come quella che ha condannato Nunzio.

La magistratura di adesso infatti agisce e agirà sulla base delle leggi esistenti e in base al contesto in cui avvengono concretamente i fatti.

La nuova leva di magistrati, ha aspirato a pieni polmoni il nuovo contesto storico. Ragione per cui, se qualche anno fa l’occupazione di case o un blocco stradale tenevano conto delle attenuanti “sociali” in cui avveniva quella violazione della legge, oggi prevale una priorità completamente diversa che esclude ogni attenuante: l’occupazione di case lede i diritti della proprietà privata, un blocco stradale lede la libertà di circolazione delle persone e delle merci e un blocco dei cancelli lede la libertà e gli interessi economici di una impresa. Questo hanno sentito nelle aule universitarie che li hanno formati, questo hanno sentito nella comunicazione dominante.

Quando diciamo che la legalità oggi si contrappone alla giustizia sociale o a livelli minimi di buonsenso nella soluzione delle emergenze sociali, evidenziamo una contraddizione decisiva che adesso abbiamo tutti di fronte e che condizionerà l’azione politica, sindacale, sociale del prossimo periodo.

In questo senso però non appaiono convincenti gli allarmi sul fascismo che pure sono echeggiati in questa assemblea o vengono agitati strumentalmente in questi mesi da chi vuole rifarsi una verginità politica. Piuttosto ci troviamo di fronte ad uno Stato autoritario di tipo ottocentesco, anche perché il livello delle disuguaglianze e dei rapporti sociali sta tornando a quello dell’Ottocento.

Abbiamo definito questo modello di Stato autoritario come “Sabaudo”, ma calza anche la categoria di bonapartismo richiamata in un altro intervento. E’ cosa diversa dal fascismo che è nato per fronteggiare l’onda lunga della Rivoluzione d’Ottobre e fiancheggiare la modernizzazione del sistema economico dell’Italia nel primo trentennio del Novecento. Oggi le classi dominanti devono gestire in modo coercitivo le conseguenze sociali del declino economico del loro modello, incluso il fatto che invece di liberare il lavoro attraverso l’automazione, dovranno liberarsi dei lavoratori e di interi settori di popolazione in quanto “capacità produttiva in eccesso”. Per fargli tenere la testa bassa dovranno dotarsi di un apparato legislativo, coercitivo, ideologico e repressivo adeguato allo scopo.

In conclusione. Se le cose peggiori e più ostative ad un elementare senso della giustizia sociali sono diventate leggi dello Stato, dobbiamo misurarci con il problema di come organizzare la disobbedienza di massa alle ingiuste leggi dello Stato.

Alcune proposte. La prima è rivolta agli avvocati. Qui occorre fare squadra e metterli in condizioni di lavorare in team, in modo coordinato, scambiandosi informazioni e attrezzando un fronte giuridico di risposta. L’immaginario ci riporta al lavoro del Soccorso Rosso. Il problema ovviamente non è la forma ma la funzione di uno strumento come questo.

La seconda è la costruzione di una giornata nazionale della disobbedienza civile alle leggi ingiuste dello Stato, magari per primavera. Una giornata che va costruita su tutto il territorio nazionale anche con tappe di avvicinamento e forme di protesta inclusive e abbordabili a tutti. Non si può chiedere superficialmente a qualcuno di rischiare la galera per disobbedienza alle leggi dello Stato.

Infine sulle relazioni tra le varie esperienze. In molti interventi ci sono stati richiami all’unità e alla ricomposizione. Su questo terreno specifico della lotta contro la repressione questo appello va preso in esame con rigore e lealtà reciproca. In questi anni ci si è provato in molte occasioni ma non ci si è riusciti. Dobbiamo individuarne seriamente la ragione e vedere se è possibile un approccio diverso per provare a riuscirci.

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