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11/03/2019

Algeria - Bouteflika torna nel paese paralizzato dallo sciopero generale

Lo sciopero generale è iniziato ieri, mentre il presidente Abdel Aziz Bouteflika rientrava nel paese dopo il ricovero, l’ennesimo, a Ginevra. Continuerà per almeno cinque giorni, fa sapere la piazza. Scuole e università chiuse, negozi con la saracinesca abbassata, uffici pubblici e mezzi di trasporto funzionanti a singhiozzo, mentre studenti e docenti occupavano gli atenei, chiusi per ordine del governo che sabato aveva deciso di anticipare le vacanze primaverili per smorzare la protesta: era questa ieri Algeri e lo sarà per i prossimi giorni, in lotta contro il quinto mandato presidenziale di Bouteflika.

Non solo Algeri: la protesta è a macchia d’olio, sciopero anche nei porti di Beraja, nelle zone industriali a Rouiba e Bordj Bou Arreridj. Incrociano le braccia anche gli operai della Sonatrach, la compagnia petrolifera algerina. La mobilitazione, spontanea e senza partiti a fare da leader, non cessa dopo oltre due settimane dal suo inizio, totalmente inatteso dal governo quanto dalle opposizioni.

In questo clima Bouteflika ritorna dopo due settimane all’estero, per quelli che sono stati definiti dal suo entourage “controlli di routine”, ma che molti sanno essere una copertura per l’incapacità del presidente di governare il paese. Bouteflika, ininterrotto presidente dal 1999, non guida più il paese, almeno dal 2013, tanto che venerdì un avvocato algerino ha presentato ricorso in una corte svizzera chiedendo che il presidente fosse messo sotto il controllo di un tutore per la sua stessa protezione, per impedire che la sua vulnerabilità fosse sfruttata dal suo circolo.

A gestire il paese è il suo “clan”, gruppo di potere che gli è germogliato intorno in questi due decenni e che non intende mollare la presa, consapevole di quanto potrebbe perdere: un potere tentacolare, che intreccia politica ed economica, corrotto e impune, contro cui oggi il popolo algerino – guidato dai giovani – si schiera.

Di nuovo venerdì, in occasione dell’8 marzo, il terzo venerdì di proteste ha visto centinaia di migliaia di persone in piazza ad Algeri, milioni in tutto il paese: la più grande mobilitazione degli ultimi 28 anni. In testa le donne che hanno rivendicato non solo la propria battaglia al clan Bouteflika ma che, come accaduto negli anni precedenti, ha scelto la strada per combattere contro le discriminazioni di genere, ufficiali e ufficiose. Colorate, con in mano fiori e bandiere algerine, donne di tutte le età hanno invaso Algeri e ribadito la natura della mobilitazione, silmiya, pacifica.

Ieri in preda al panico il Fronte di liberazione nazionale, Fln, il partito di Bouteflika, ha fatto appello alla riconciliazione nazionale. Ma sul tavolo mette ben poco. Indiscrezioni parlano dell’idea di un rinvio delle elezioni del 18 aprile al prossimo anno, ma non sembra ci sia l’intenzione di affidare la guida dell’Algeria a un governo tecnico di transizione.

Per impedire il collasso definitivo, da giorni il governo e l’Fln sventolano lo spauracchio degli anni '90, gli anni di piombo algerini, terrorismo e guerra civile che ha visto decine di migliaia di morti. Ma la piazza di oggi è ben altro. Lo sanno anche dentro il clan Bouteflika, tanto che le defezioni di parlamentari e membri del partito aumentano, insieme all’uscita di molti sindacalisti dall’ombrello del potente Ugta, l’unione generale algerina.

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