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03/03/2019

La manifestazione di Milano. Tanta gente in piazza, e poi?


La manifestazione di ieri a Milano era stata promossa da una trentina di associazioni, dall’Arci a Cgil Cisl Uil sullo slogan “People: prima le persone”. Nella coreografia spiccava un carro a forma di barcone – a ricordare i molti migranti morti in mare o respinti – e un altro contro la legge Pillon che indica una complessiva regressione civile del paese.

Il deus ex machina della manifestazione, nata come una sfida al decreto sicurezza di Matteo Salvini, era stato a gennaio l’assessore comunale al Welfare, il piddino Pierfrancesco Majorino che, pare, intende candidarsi alle prossime elezioni europee. L’associazionismo democratico e solidale milanese ha subito prontamente risposto all’appello, sia perché la realtà consegna quotidianamente episodi di razzismo e de-solidarizzazione che gridano vendetta, sia perché – ed è difficile negarlo – con il possibile ritorno della “Ditta” (ex Pci/Pds/Ds) alla guida del Pd, l’associazionismo collaterale spera di poter tornare a contare dopo la parentesi renziana che aveva sminuito o liquidato i cosiddetti ”corpi intermedi”.

Al corteo, come prevedibile, non mancava nessuno, neanche “il consiglio di fabbrica della Rizla” (come ironizzava una canzone del cantautore milanese Gianfranco Manfredi) ed hanno partecipato esponenti della politica e mondo dello spettacolo milanese, dal sindaco di Milano Giuseppe Sala a Ornella Vanoni, ma soprattutto i candidati alla segreteria del Pd Maurizio Martina e Nicola Zingaretti immortalati in una foto “segnante”. Quest’ultimo, nel corso della manifestazione, ha dichiarato che: “Questa maggioranza vive sulla propaganda ed è motivata solo dalla cultura dell’odio, l’odio non produce crescita, lavoro e serenità, per questo serve un’altra idea di Paese e il centrosinistra deve rifondare la sua identità”.

Il sindaco Sala, dal canto suo, ha provato a fare la quadratura del cerchio sul piano economico ed etico: “Costa fatica, ma mi sento di dire che i milanesi hanno bisogno di sentirsi solidali e sono passati i tempi in cui solo l’idea di successo, soldi e crescita dei consumi è attrattiva per le città”. Insomma la società civile produttiva e competitiva per eccellenza avrebbe dentro di sé anche uno spazio per la solidarietà. E’ l’esegesi del liberismo. Prima si fanno morti e feriti con le misure economiche antipopolari, poi si usano gli interstizi per non perdere completamente l’anima. Non solo. A Milano il Comune avalla i “pattuglioni” della polizia nelle zone degli immigrati in nome della sicurezza ma critica Salvini per il suo Decreto.

Nasce forse da questa sintesi del sindaco Sala l’eterno ritorno alla “catarsi” con cui i dirigenti del centro-sinistra ambiscono a recuperare immagine e verginità politica dopo i danni sociali provocati dalle scelte strategiche dei loro governi. Era accaduto con Berlusconi, sta accadendo di nuovo con Salvini, anche se l’obiettivo dichiarato sembrano essere più i Cinque Stelle dove è visibile una crisi della base elettorale. E’ leggibile nitidamente nell’editoriale di oggi di Eugenio Scalfari e nelle parole di Prodi su La Repubblica.

Ma fin qui la radiografia della manifestazione di Milano è facile, seppur parziale.

Le rogne si presentano quando nei “movimenti” e nella sinistra radicale o antagonista si apre la lacerante – e ripetuta – discussione su come rapportarsi ad eventi politici che hanno le caratteristiche sopra indicate ma che, richiamando in piazza tanta gente, mettono a dura prova le tesi di chi prova a indicarne le contraddizioni a venire piuttosto che quelle visibili oggi.

A Milano e dintorni le realtà di movimento e della sinistra radicale si sono in larga parte convinte ad essere nella manifestazione proprio perché la quantità (i manifestanti) ne era il punto di qualità. Lo hanno fatto con ragionamenti semplici ma non del tutto nuovi: alla manifestazione c’è tanta gente, attraversiamo questo momento di massa con i nostri contenuti e contrastiamo così l’egemonia del Pd sulle aspettative della gente in buona fede la quale afferma giustamente che vengono “prima le persone”. A memoria occorre ammettere che nei decenni ci si è riusciti solo una volta, quando nel 1992 volarono i bulloni ad una manifestazione di Cgil Cisl Uil di fronte all’ennesima svendita delle conquiste dei lavoratori. In tutte le altre innumerevoli occasioni simili, l’affermazione di contenuti diversi o più avanzati di quelli della gestione ufficiale non è mai riuscita. E per onestà occorre dirselo e ammetterlo.

Sulla questione, da sempre, ci sono interminabili discussioni tra i sostenitori di questa tesi e quella che non intende fare sconti ai responsabili (il Pd e i suoi ambiti collaterali) di una situazione pesante e regressiva sul piano politico, sociale e civile del paese, incarnata dall’egemonia della destra sul governo e in crescenti ambiti della società. Indubbiamente il richiamo all’unità, al sentirsi meglio in tanti che in pochi, ha una sua forza narrativa. Ma anche qui occorre assumersi la responsabilità – impopolare – di non accettare la sistematica catarsi con cui il Pd cerca di far dimenticare nelle piazze, quando è all’opposizione, quello che fa concretamente quando governa.

Il problema dunque non è dividersi su una manifestazione. Le manifestazioni sono diventati eventi di massa che vengono consumati in un giorno. Il problema è capire quale funzione si vuole esercitare dentro questa società e tra la nostra gente che “per rabbia e per rancore” ha affidato le sue aspettative a forze spurie (il M5S) e o reazionarie (la Lega).

Ripresentarsi come un terminale di quella “sinistra di governo” ormai invisa ai settori popolari, agli operai delle fabbriche che chiudono, alla gente delle periferie come ai ceti medi impoveriti (e quindi meno civili e “riflessivi” di quelli che guardano al Pd e alla sinistra), è un terreno impraticabile. O almeno lo è sicuramente per un movimento antagonista sul piano degli interessi sociali e alternativo sul piano delle ipotesi di governo del paese.

Continuare a lacerarsi se “attraversare” o no manifestazioni come quella di Milano (o quella di Cgil Cisl Uil di alcune settimane fa) è una perdita di tempo, di identità e di progettualità. Di manifestazioni come questa ce ne sono state tante e ce ne saranno ancora. Nella migliore delle ipotesi ci costringono su un terreno subordinato che riduce il nostro spazio politico e la nostra autonomia di intervento sulle contraddizioni sociali e civili del paese. Da qui si ricomincia.

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