di Chiara Cruciati – il Manifesto
Non poteva che essere
Mike Pompeo il prescelto dall’amministrazione Trump per commentare la
decisione della capo procuratrice della Corte penale internazionale di indagare Israele per crimini di guerra.
Lui, il segretario di Stato Usa che appena un mese fa dichiarava che
per la Washington trumpiana le colonie israeliane nei Territori occupati
palestinesi sono legali.
L’altro ieri, a poche ore dall’annuncio di Fatou Bensouda, Pompeo
riproponeva l’identica posizione israeliana, espressa venerdì dal
premier Netanyahu: la Palestina non è uno Stato, per cui non può
rivolgersi all’Aia. Lo dice il ministro degli esteri della
nazione che, insieme a Israele, non è nemmeno membro della Cpi. Troppo
pericoloso, farsi giudicare.
«Ci opponiamo fermamente a questa e a ogni altra azione che mira a
trattare Israele ingiustamente – ha detto Pompeo – Non crediamo che i
palestinesi possano qualificarsi come Stato sovrano».
Chissà che ne pensa Khalida Jarrar,
parlamentare del Fronte popolare per la Liberazione della Palestina,
ri-arrestata per l’ennesima volta un mese fa come punizione per il suo
lungo lavoro a favore dell’apertura di un’inchiesta dell’Aia sui crimini
israeliani.
I palestinesi raccolgono prove dal 2015, quando lo Stato di
Palestina ha aderito alla Corte: confische di terre, costruzione del
muro (che già nel 2005 la stessa Corte sentenziò essere illegittimo, ordinandone la demolizione), espansione coloniale illegale, centinaia di prigionieri politici in detenzione amministrativa senza processo. E poi le offensive contro Gaza e lo stillicidio di vittime civili dei cecchini israeliani nei venerdì di Marcia del Ritorno.
Dalla Striscia è Hamas a dirsi soddisfatto della decisione di
Bensouda, dopo il plauso dell’Autorità nazionale di Ramallah espresso
già venerdì: «Hamas accoglie la decisione della procuratrice
della Corte penale internazionale – ha commentato il portavoce del
movimento Hazem Qassem – Tutte le prove confermano l’esistenza di
crimini di guerra commessi dall’occupazione contro il nostro popolo».
Ora resterà da vedere come i giudici dell’Aia vorranno muoversi.
Come ha spiegato la capo procuratrice, «convinta che ci siano basi
ragionevoli per procedere», manca un territorio di giurisdizione.
Spetta, cioè, al tribunale internazionale individuarne uno vista
l’assenza di Israele dalla lista dei paesi membri della Corte.
Bensouda chiede di fare in fretta e ci tiene a precisare che
andranno investigati anche i crimini commessi da Hamas e da altri gruppi
armati.
Manca il “territorio”, ma il territorio in realtà c’è. Lo dice la stessa Bensouda che alla Cpi chiede di riconoscere la giurisdizione a Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza.
E lo ribadiscono le ong palestinesi, quelle che da decenni lavorano
sul fronte del diritto internazionale: Israele occupa illegalmente i
Territori dal 1967 per cui nessuna sovranità gli può essere
riconosciuta.
«Israele, in qualità di potere occupante, esercita
giurisdizione extraterritoriale nei Territori occupati – scrivono Al
Haq, Al Mezan e il Palestinian Centre for Human Rights – Questo
non gli dà in alcun modo diritto di sovranità. Per questo la questione
della giurisdizione territoriale è fine a se stessa e comporta un
ritardo inutile nell’avanzamento dell’inchiesta».
Fretta, invece, i palestinesi ne hanno: a quattro anni dall’apertura
delle indagini preliminari, l’Aia ora potrebbe concretizzare l’azione
finora compiuta e ridare credibilità alle norme del diritto
internazionale, da anni vittima di una delegittimazione globale.
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