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20/12/2019

I ricchi ci odiano, vanno contraccambiati. Un rapporto di Mediobanca spiega perchè

La retribuzione media lorda di un amministratore delegato di una società quotata in Borsa con sede in Italia nel 2018 è stata di 849.300 euro nel 2018. Inferiore del 10,8% rispetto a quella del 2017 (952.400 euro), dove però si era registrato un aumento medio del 14,5% rispetto al 2016 (831.700 euro).

I valori sono stati calcolati dall’Area Studi di Mediobanca, ed equivalgono a 14,4 volte il costo medio del lavoro delle imprese quotate (erano 18,5 volte nel 2017). Ma il rapporto aumenta a 24,4 volte (32,8 nel 2017) nel caso di società con una capitalizzazione superiore a un miliardo.

Lo studio di Mediobanca ha analizzato la campagna compensi dell’anno 2017 di 230 imprese con sede in Italia quotate all’Mta (Mercato telematico azionario), il listino principale della Borsa.

C’è poi un dettaglio. Il rapporto curato da Mediobanca rileva le retribuzioni pagate per ogni carica, ma senza fare il cumulo per le cariche eventualmente ricoperte dalla stessa persona (ci sono casi di amministratori delegati che sono anche direttori generali).

Il rapporto non fa i nomi dei manager superpagati, ma qualcosa in più si riesce a sapere. Secondo Mediobanca l'amministratore delegato più pagato per la singola carica ha guadagnato 5,986 milioni lordi (9,132 milioni lordi nel 2017): è Philippe Donnet delle Generali. Tra i presidenti il compenso più alto è 7,006 milioni (4,068 milioni nel 2017) ed è quello di Massimo Della Porta, della Saes Getters.

Se invece si fa il cumulo di tutte le cariche manageriali, il più pagato risulta essere Carlo Cimbri, (che è appunto amministratore delegato e direttore generale del gruppo Unipol) con 7,917 milioni lordi nel 2018. Il secondo è Giovanni Tamburi, anche lui presidente e amministratore delegato di Tip, con 7,7 milioni. Il terzo è il già citato Della Porta, il quarto è Remo Ruffini, presidente e a.d. di Moncler, con 6,515 milioni. Il quinto è Claudio Descalzi, presidente e a.d. dell’Eni, con 6,456 milioni. Il sesto è Donnet. Il settimo è Pierroberto Folgiero, a.d. e d.g. di Maire Tecnimont, con 5,952 milioni. L’ottavo è Giovanni Castellucci, ex a.d. e d.g. di Atlantia, con 5,688 milioni. Il nono Carlo Messina, a.d. e d.g. di Intesa Sanpaolo, con 5,658 milioni. Il decimo è Pietro Salini, a.d. di Salini Impregilo, con 5,608 milioni.

La ricerca di Mediobanca esclude però le società “italiane” che hanno trasferito la sede legale all’estero, come Fca, Ferrari, Cnh Industrial, Exor (domiciliate in Olanda), o quotate su mercati esteri (Prada a Hong Kong, Luxottica quotata a Parigi dopo la fusione con Essilor). Altra differenza rilevante è che questo studio non considera le somme percepite per inizio o cessazione carica, mentre include i benefici non monetari (i cosiddetti benefit). Nello studio di Mediobanca non appaiono i guadagni dello scomparso Sergio Marchionne, ex numero uno di Fca, Ferrari, Cnh, che secondo il bilancio di Exor ha percepito 28,27 milioni lordi nel 2018. Non viene rilevato neanche il presidente e a.d. di Exor e presidente di Fca, John Elkann, con 8,95 milioni nel 2018. Tra i presidenti, considerando anche la somma erogata per la risoluzione del rapporto di lavoro, si segnala Fedele Confalonieri (Mediaset) che nel 2018 ha totalizzato 9,55 milioni, più di Della Porta.

Il Sole 24 Ore precisa poi che ci sono i compensi variabili basati su strumenti finanziari, come azioni gratuite o stock option, i «compensi equity». Per questi ultimi, fa notare Mediobanca, «la logica di computo» delle Relazioni sulla remunerazione «non segue un criterio di cassa ma uno basato sulla competenza contabile delle componenti equity anche relative a esercizi precedenti e valorizzate in base al fair value. Quest’ultimo non rappresenta il valore effettivamente pagato o ottenuto dai beneficiari dei piani basati su strumenti finanziari, quanto invece il costo contabilizzato dalla società secondo un criterio di competenza durante il periodo di maturazione».

Inutile sottolineare come il settore con il compenso medio più elevato per l’amministratore delegato sia quello finanziario (assicurazioni) con 4,34 milioni, rispetto a 1,97 milioni per le banche e a 1,05 milioni per l’industria.

La ricerca ha raccolto informazioni su 3.543 amministratori, direttori generali e sindaci. Il 66% sono uomini, il 34% donne. Il totale generale dei compensi è pari a 605,5 milioni, inferiore al monte compensi di 666,9 milioni del 2017. I compensi medi sono calcolati sulle cariche ricoperte per 12 mesi (2.371 posizioni). La ricerca evidenzia una «discriminazione dei compensi per genere». Le donne sono pagate meno degli uomini, perché hanno accesso inferiore alle cariche esecutive. Il compenso medio di un a.d. per un uomo è 874mila euro, per una donna 474.400. Il divario salariale tra uomini e donne è diminuito (-31,1% per l’a.d.), ma rimane elevato.

E sul versante delle retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori, invece, com’è la situazione?

Secondo il Sole 24 Ore, la retribuzione media annua lorda dei dipendenti pubblici è di 34.491, euro ma il valore cambia a seconda dei comparti passando dai 28.440 euro della scuola (in calo di circa 800 euro rispetto al 2008) ai 137.294 medi della magistratura (in aumento di 11.000 euro sul 2008). Insieme alla scuola risultano al di sotto dei 30mila euro i dipendenti di regioni ed autonomie locali (28.632) e di poco superiori a 30mila sono quelli dei dipendenti dei ministeri.

Lo stipendio medio di un operaio è invece di 1.300 euro netti al mese (circa 23.300 € lordi all’anno), inferiore di 250 euro (-16%) rispetto alla retribuzione mensile media in Italia. Ma è appunto una retribuzione media tra quella di un operaio con meno di 3 anni di esperienza lavorativa che può aspettarsi uno stipendio medio complessivo di circa 980 euro netti al mese. Un operaio con 4-9 anni di esperienza, può avere uno stipendio medio di circa 1.230 euro, mentre un operaio esperto con 10-20 anni di esperienza guadagna in media 1.600 €.

Sulle retribuzioni dei lavoratori pesano poi le disuguaglianze territoriali. La Lombardia è in cima alla classifica delle regioni italiane in cui si percepisce lo stipendio più alto. La media è di 31.692 € all’anno (lieve calo rispetto al 2017 quando la retribuzione media era di 31.711 € annui). Seguono Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna. In Emilia Romagna siamo a 30.455 euro lordi all’anno. A Messina la retribuzione media è 23.668, a Palermo di 27.646 euro lordi all’anno. Inoltre nelle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si stima in quasi 3.000 euro lordi annui il differenziale tra le buste paga di maschi (30.521 euro di ral) e femmine (26.634).

Questa ridda di numeri dice molto e spiega ancora meglio la “contraddizione” di classe sulla quale insistiamo. Un mese fa insieme a Potere al Popolo abbiamo dato vita ad una giornata nazionale di lotta per la redistribuzione della ricchezza. Provocatoriamente abbiamo sostenuto di “non essere in debito ma in credito”. Ai 32mila euro a testa di debito pubblico con cui ci minacciano e ricattano ogni giorno, abbiamo rivendicato il credito di 141mila euro di ricchezza privata esistente nel nostro paese.

Di fronte alle argomentazioni messe in campo la gente ha smesso di guardarci come marziani. Probabilmente non ha letto lo studio di Mediobanca sulle altissime retribuzioni dei manager ma sa farsi con molta precisione i conti in tasca e valutare la situazione, un po’ come la Cuoca di Lenin.

L’odio di classe non è affatto disdicevole, è salutare.

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