Una storia sbagliata, fin dall’inizio e oggi più che mai: Nicoletta Dosio, 73 anni, condotta in carcere per una condanna definitiva ad un anno di reclusione per una delle manifestazioni “No Tav” più comprensibile a tutti — del 2012! — dopo che un altro attivista (Luca Abbà) era rimasto folgorato nel corso di una pacifica protesta su di un traliccio, manifestazione assolutamente non violenta.
Dall’altra parte, un cantiere infinito di un’opera mastodontica, inutile per i più e dannosa secondo molti, la linea per il Treno ad Alta Velocità che un giorno (forse) collegherà un po’ più velocemente Torino a Lione, dopo che tutti i decisori (da cui, in origine, sono stati escluse legislativamente, con la legge grandi opere, le comunità interessate) avranno completato la militarizzazione dell’area del mega cantiere, diventata, con le disposizioni introdotte furtivamente nella legge “antifemminicidio” del 2013, “sito sensibile” la cui violazione comporta pene aggravate e dopo la conclusione dei lavori (oggi difficilmente immaginabile) a opera delle aziende incaricate, di cui buona parte fallite in corso d’opera e/o in odor di mafia.
La critica ad una simile opera appare del tutto legittima e la repressione di eventuali reati dovrebbe avvenire con lo stesso metro di valutazione utilizzato per altri settori.
Questa mega opera, contestatissima, costosissima e che, se e quando sarà mai ultimata sarà già superata, è costata al territorio su cui insiste decine e decine di processi (più o meno “maxi” e conosciuti, ma comunque pesantemente incidenti sulla libertà delle persone e sulla possibilità di prosecuzione pacifica della protesta) contro chi vi si oppone, misure cautelari, condanne pesanti in procedimenti “simbolici”, su cui la Cassazione è intervenuta ripetutamente negandone, in alcuni casi, la legittimità.
Anni di attività giudiziaria dedicata quasi esclusivamente a punire con condanne esemplari ogni singolo comportamento ostativo a una scelta giustamente criticata da più parti, incluse forze oggi al governo del paese. Una giustizia orientata, “forte con i deboli e debole con i forti”, indifferente alle legittime ragioni di una protesta con caratteri larghi e popolari. Un uso della giustizia in cui non ci riconosciamo.
In questa lotta, Nicoletta ha fatto la sua parte con coerenza e dignità e intende dimostrare, con il suo rifiuto di misure alternative al carcere, l’ingiustizia di una repressione contro il movimento No Tav a un livello che non si riscontra in altri settori.
Chiediamo con forza che le sia riconosciuto, come segnale di cambiamento nei rapporti con il conflitto sociale, un provvedimento d’ufficio di concessione della grazia.
I Giuristi Democratici confermano il loro impegno a difesa del sacrosanto diritto alla protesta contro la regina delle grande opere inutili, chiedendo un radicale cambio di rotta nella gestione dei conflitti sociali e ambientali, quale è certamente quello relativo al progetto Tav, che dovrebbe tornare a essere materia di un serio, civile, realistico e produttivo confronto tra comunità e governi locali e centrali, anziché materia di giudizi penali e ostentazione di potere militare e di ordine pubblico.
31 dicembre 2019
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