Giuseppina Marcinnò il 24 dicembre avrebbe compiuto 66 anni. Con il marito e le due figlie, parenti e amici, avrebbe unito la sua festa, quella del Natale e una ricorrenza particolare: questo sarebbe stato il suo ultimo compleanno al lavoro. Nel 2020, con i 67 anni, anche le catene della legge Fornero per lei si sarebbero infrante.
Ma al compleanno Giuseppina non è arrivata. Sabato 22 dicembre nel pomeriggio era al suo posto di lavoro, lo stabilimento in provincia di Piacenza della Copap, cooperativa industriale per l’aglio bianco e le cipolle. Giuseppina è salita sul nastro trasportatore delle cipolle per qualche intervento, ma ha perso l’equilibrio ed è stata trascinata sotto una pressa che l’ha schiacciata.
Giuseppina è morta così, prima di tutte le sue feste, per un concorso di colpe che tutte assieme l’hanno assassinata. Prima di tutto le norme di sicurezza non rispettate. Sotto una pressa che abbia tutti i requisiti non si può morire nemmeno per suicidio. Foto cellule e meccanismi di blocco automatici lo dovrebbero impedire.
Se non succede vuol dire che i meccanismi di sicurezza o sono assenti o non sono attivi. Sì perché a volte essi vengono disattivati per far lavorare la pressa senza intoppi, anche se poi l’intoppo può essere il corpo di un essere umano. Ci sono precise norme da rispettare anche per gli interventi sui nastri trasportatori, che dovrebbero avvenire a nastro fermo. A meno che anche qui si sia deciso di non rispettare le norme per velocizzare la produzione.
Deciderà la magistratura, come si dice sempre, ma io sono sicuro che le norme di sicurezza alla Copap di Piacenza non sono state rispettate, altrimenti Giuseppina sarebbe viva.
Giuseppina aveva 66 anni, era un’operaia esperta, ma doveva lavorare ancora per andare in pensione. Ecco l’altra colpevole: la legge Fornero. Non si possono fare i turni del sabato pomeriggio – per quante ore a quali condizioni? – più faticosi degli altri dopo una settimana di duro lavoro, all’età in cui si avrebbe il diritto di stare a casa e di darsi da fare per sé e per la famiglia, non per un tirato salario.
Invece bisogna lavorare fino a 67 anni e guai a perdere il ritmo della produzione. Anche se magari nell’azienda di Giuseppina nessuno era sotto ricatto, sappiamo che tutto il lavoro oggi lo è. O mangi questa minestra o salti dalla finestra è la traduzione sintetica in italiano di jobsact e di tutte le leggi che hanno distrutto diritti e sicurezza del lavoro, nel nome dì flessibilità e produttività. E il massacro sempre più vasto di operaie ed operai di ogni età è il risultato diretto di queste leggi di sfruttamento.
Giuseppina Marcinnò era nata a Caltagirone, in Sicilia, e nella ricca e produttiva Emilia Romagna, come tanti nati nel Sud, da anni aveva trovato lavoro, reddito e messo su casa e famiglia. Ora nella ricca regione ai vertici dello sviluppo, Giuseppina è stata uccisa sul lavoro come venivano ammazzati gli operai sessant’anni fa. Perché Giuseppina non è morta per disgrazia, come hanno scritto subito i giornali, ma per colpa di leggi criminali che hanno divelto ogni freno, ogni limite allo sfruttamento.
Se non ci fosse la legge Fornero, Giuseppina oggi sarebbe in pensione e il 24 dicembre farebbe la sua solita doppia festa, invece il suo sangue, come quello di migliaia di operai uccisi per profitto, ricade su coloro che queste leggi le hanno fatte, votate e ancora le sostengono.
L’uccisione di Giuseppina Marcinnò è l’ultima dolorosa prova del fatto che se non si ferma la macchina assassina che oggi sottomette il lavoro, non solo diritti e dignità sono compromessi, ma anche la vita, ad ogni età. Questo hanno compreso i lavoratori che in Francia scioperano perché rifiutano la loro legge Fornero. Noi qui dobbiamo imparare a fare come loro, perché questa è la sola vera risposta al dolore e alla rabbia immensi per questo infame delitto.
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