In un anno il film incassò 160 milioni di dollari di allora, più o meno un miliardo di dollari di oggi. E vinse sette premi Oscar.
Penso che saprete tutti di che parla. In ogni caso non vi racconto nulla per non rovinarvi lo spettacolo. Dico solo che ci sono due piccoli truffatori a Chicago negli anni 30 che tentano di fare una truffa grandiosa e... I due sono interpretati da attori carismatici: Paul Newman e Robert Redford. Il primo è semplicemente fantastico: il secondo gli fa da spalla in modo esemplare. Ma anche gli altri sono all’altezza del compito, a cominciare da un eccezionale Charles Durning, che fa il poliziotto corrotto e da un bravissimo “cattivo”, l’inglese Robert Shaw, che fa il gangster irlandese (!) e che raggiunge i vertici di cattiveria della figura del malvagio Enrico VIII che aveva interpretato nel film «Un uomo per tutte le stagioni» di Fred Zinnemann. E poi la ciliegina sulla torta: la musica di Scott Joplin, il Ragtime che i pianisti suonavano nei bordelli, recuperato dal dimenticatoio e rimesso a nuovo con un’orchestrazione originale da un grande muscista, Marvin Hamlisch, che ha vinto premi su premi e ha avuto ogni sorta di riconoscimento per le colonne sonore e per gli spettacoli a Broadway.
Fermiamoci qui. E chiediamoci se dietro a questo incredibile successo ci sia solo il caso. Penso di no. Anche se la fortuna ha avuto il suo peso, come hanno avuto la loro parte attori e musicisti, dietro a questo meraviglioso regalo di Natale c’è qualcosa di più: un miracolo possibile solo a Natale. L’ha capito bene Matthew Spektor, che ha scritto un libro acuto e struggente su questo film, affermando che i suoi protagonisti: «sono soli come in un quadro di Hopper1». È proprio vero. Non a caso il regista, George Roy Hill, disse di avere girato molte scene senza comparse, perché nei film di gangster degli anni 30 – quelli con James Cagney – il protagonista era sempre solo. La chiave di volta di questa pellicola che sembra così spensierata, allegra è la solitudine, la malinconia degli eroi solitari come James Cagney negli anni 30 e come Newman e Redford negli anni 70 . «Questi poveri Zero – ha scritto ancora Spektor – non hanno un granchè da cui cominciare ed è fin troppo chiaro che alla fine del gioco non racimoleranno nulla. E come Hooker (Robert Redford) sono tutti destinati a buttare al vento perfino questo nulla. Eppure… 2». Eppure avranno il loro momento di gloria. È questo il segreto del film. Raccontare la storia di tanti piccoli Zero che resteranno sempre e solo Zero, ma osano sfidare il Destino e i prepotenti che sono solo i servi del Destino.
Un simile stato d’animo corrispondeva perfettamente allo stato d’animo dei Figli dei Fiori nel loro autunno: negli anni Settanta – anni di piombo – in cui il sogno di un mondo migliore cominciò a naufragare, tutti coloro che erano stati giovani e ribelli (ormai grandi e ragionevoli) sentivano che il peggio non era ancora arrivato ma sarebbe venuto presto. Ed ebbero un’improvvisa, acuta, lancinante nostalgia per un mondo diverso: in cui chi aveva cuore e intelligenza aveva anche una possibilità, come ci avevano raccontato i flm dell’America di Roosevelt, anche quando parlavano di gangster come Scarface o Piccolo Cesare. Per questo si riconobbero nel sottomondo della Chicago di «La stangata»: un mondo magico, inesistente, una specie di “Isola che non c’è” in cui pur essendo negli anni Trenta magicamente risuonava il Ragtime degli anni Dieci e si aggiravano esseri smarriti che avevano il volto degli eroi degli anni Sessanta. Questo collage di pezzi di Storia – che si regge in piedi solo perché è il vestito di Arlecchino di chi vive, anzi sopravvive di espedienti – diventa per miracolo una specie di caleidoscopio in cui si generano di continuo forme nuove, che all’inizio sembrano forme di mostri e poi per incanto divantano le immagini di un sogno. Fratelli di Rico nel «Cowboy da marciapiede» e dei tanti poveri mentecatti ed eroi per caso che popolano i film degli anni Settanta e Ottanta, i due truffatori che si arrabbattano nella «Stangata» non si arrendono e sperano solo di sparire con dignità, come la capra di Monsieur Seguin3 che lotta tutta la notte con il lupo che la ucciderà solo per darle una lezione.
Il pubblico capì al volo il segreto del film. Perché si ricordò immediatamente che Newman e Redford erano stati «Butch Cassidy e Sundance Kid» nel film che aveva degnamente concluso il 68, diretto dallo stesso regista della «Stangata». Come in quel film, che celebrò i funerali dell’età dei Figli di Fiori, questo celebrava i funerali dell’America rooseveltiana degli anni Trenta, in cui era possibile sperare, arrangiarsi, arrancare, andare avanti. Come nei funerali di New Orleans, le esequie erano accompagnate da una fanfara, che in questo caso suonava il Ragtime rimodellato come fosse jazz. Questo suono era uguale a quello della risata franca, ribalda, spudorata di Newman: una specie di smorfia beffarda che vuol dire: “Me ne infischio! Prendimi se ci riesci”.
Con questa franca risata nelle orecchie, ognuno tornò a casa sorridendo. Ciascuno aveva avuto quello che voleva, quello che si meritava. Un altro Natale era finito. Un altro anno era passato. L’anno nuovo… si vedrà.
Anche Babbo Natale tirò un sospiro di sollievo e si appisolò sulla slitta che lo riportava al Polo Nord, sognando di essere ai Tropici.
Note:
1 M. Specktor, The Sting, Berkeley, 2011, p. 43.
2 Ibid., p, 45
3 A. Daudet, La capra di Monsieur Seguin, in Lettere dal mio mulino, Milano, Garzanti, 1995.
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