Il presidente libanese Michel Aoun ha dato ieri il compito di
formare un nuovo governo all’ex ministro dell’istruzione Hassan Diab
dopo il sostegno che quest’ultimo ha ricevuto dal blocco politico che fa
capo al partito sciita Hezbollah. Diab prende quindi il posto
di Hariri il quale, dimessosi lo scorso 29 ottobre a cause delle
proteste di piazza, negli ultimi giorni sembrava potesse ritornare a
ricoprire il ruolo di primo ministro. Una possibilità che però proprio
lo stesso leader del partito al-Mustaqbal aveva escluso mercoledì dopo
aver incassato il no dagli altri partiti alla formazione di un governo
tecnocratico.
Diab ha ricevuto ieri 69 voti dagli sciiti Hezbollah e Amal, dai
cristiani del Movimento dei Patrioti Liberi, da un gruppo di 5
parlamentari sunniti (ma vicini ad Hezbollah) e da altri parlamentari
alleati al Partito di Dio. Gli astenuti invece sono stati 42: tra
questi, il partito dell’ex premier Hariri, i cristiani delle Forze
Libanesi, gli ex premier Tammam Salam e Najib Mikati e alcuni
indipendenti.
La sua nomina ha fatto infuriare i dimostranti che da ottobre
protestano contro l’intera classe politica locale: ieri in centinaia
hanno manifestato in strada a Tripoli e Beirut.
Nella capitale, nella centralissima Piazza Nejmah, sulle note della
famosa Jingle Bells i manifestanti hanno promesso che lo faranno cadere
proprio come hanno già fatto con Hariri.
La scelta di Diab conferma quanto il mondo politico libanese
sia completamente sordo alle richieste che da due mesi ripetono migliaia
di libanesi. Diab è stato ministro d’istruzione tra il 2011 e
il 2014 in un governo formato da Hezbollah e i suoi alleati. Laureato in
ingegneria informatica nel Regno Unito, è tornato a Beirut nel 1985
dove ha ricoperto il ruolo di assistente universitario presso la
prestigiosa American University della capitale. Piaccia o meno, è un
uomo del “sistema”. Proprio quel “sistema” che i manifestanti vogliono
far crollare una volta e per sempre.
Nel suo discorso di ieri, l’ex ministro ha provato a tendere
una mano ai dimostranti quando ha promesso che “non si ritornerà
indietro al 17 ottobre”, cioè al giorno in cui sono iniziate le
proteste di massa contro l’intera classe dirigente. “Sento che quello
che voi avete detto rappresenta me e tutti coloro che vogliono creare
uno stato di legge e giustizia in Libano – ha poi aggiunto – I
nostri sforzi si concentreranno interamente su come fermare il collasso
[economico e finanziario] e su come riportare la fiducia”. Nel
corso del suo discorso, Diab ha detto che già domani avvierà le
consultazioni con gli altri partiti, passo necessario per formare il
nuovo governo. Ha infine chiesto ai dimostranti di dargli “una
possibilità” invitandoli ad essere “partner nel lavoro di riforme”.
La scelta da parte di Hezbollah e alleati di Diab è giunta lo
stesso giorno in cui il parlamento tedesco votava per mettere al bando il movimento sciita
e il sottosegretario Usa per gli Affari politici, David Hale, atterrava
a Beirut per incontrare importanti ufficiali locali. Una
tempistica, quella di mandare Hale proprio ora, che non è affatto
casuale: gli Usa, infatti, considerano Hezbollah una “organizzazione
terroristica” e hanno intensificato le sanzioni contro alcuni suoi
membri e contro chi sostiene il suo finanziamento. Le pressioni
esercitate da Washington contro il “Partito di Dio” libanese rientrano
nella più ampia campagna statunitense contro l’Iran e i suoi alleati
regionali, uno dei cardini della politica estera dell’Amministrazione di
Donald Trump.
Secondo alcuni analisti, un esecutivo guidato da Diab, uomo ritenuto
vicino a Hezbollah, potrà avere immediate conseguenze politiche. “Un
governo del genere – ha spiegato ad al-Jazeera l’analista Sami Nader –
sarà percepito dall’intera comunità internazionale come un governo
Hezbollah. Il Libano sarà perciò isolato dai donatori internazionali e
andrà incontro a sanzioni”. Uno scenario drammatico, sostiene Nader, per
un Paese già vicino al collasso. Nell’aprile del 2018 alcuni
donatori avevano promesso al Libano 11 miliardi di dollari in cambio di
“riforme”. Ma il denaro, tuttavia, non è mai arrivato e la situazione di
paralisi in cui vive il Paese di certo non aiuta.
A Diab ora spetta il compito di formare il governo. E sarà a questo
punto un governo a trazione Hezbollah dato che ieri il Movimento
al-Mustaqbal di Hariri, le Forze Libanesi e il Partito socialista
progressista del druso Jumblatt hanno già detto che non entreranno nel
prossimo esecutivo.
Da sottolineare c’è poi un altro importante aspetto in un Paese che
ha fatto del settarismo religioso il suo marchio di fabbrica politico e
sociale: Diab rappresenterà davvero la comunità sunnita locale?
Diab è sì un sunnita (e non poteva essere altrimenti per legge dato che
la carica di premier spetta ad un sunnita), ma ha incassato il voto di
fiducia di soli pochi parlamentari della sua stessa comunità religiosa.
Resta poi l'incognita su come gestirà la questione proteste.
Intervistata dal portale Middle East Eye, la dimostrante Lena, 49 anni,
è chiara a riguardo: “Siamo al punto di o noi o loro. Perciò non
lasceremo le strade. Abbiamo bisogno di democrazia e di un governo
davvero funzionante. Abbiamo raggiunto il punto dove non riusciamo più a
vedere la fine del tunnel”.
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