di Michele Giorgio
Gli Usa non la passeranno liscia e devono aspettarsi «una dura risposta». A minacciare, dai microfoni della tv irachena al Sumaria, una reazione senza precedenti contro gli interessi di Washington nella regione è stato ieri Abu Mahdi al Muhandis, numero due delle Hashd Shaabi (Forze di mobilitazione popolare appoggiate dall’Iran) che includono le Kataib Hezbollah
bersaglio due giorni fa di un pesante attacco aereo americano che ha
fatto almeno 25 morti e decine di feriti in tre basi in Iraq e due in
Siria. «Il sangue dei martiri e dei feriti non sarà stato versato
invano», ha avvertito Abu Mahdi al Muhandis. A dargli manforte è stata
la condanna di Tehran. «L’Iran condanna fermamente l’aggressione
militare degli Stati Uniti contro il territorio iracheno e le forze
irachene», ha protestato il portavoce del ministero degli esteri
iraniano, Abbas Mousavi, che ha descritto i bombardamenti come «chiaro
esempio di terrorismo» americano. Un punto questo sul quale batte anche
un comunicato del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato
dell’Iran, secondo il quale l’Amministrazione Usa prende di mira chi
«contrasta Daesh (lo Stato islamico, ndr) e le forze dell’estremismo e
della criminalità». Coloro che hanno effettuato «questa aggressione
criminale» mette in guardia l’organizzazione sciita «capiranno presto la
stupidità della loro decisione e le sue ripercussioni negative».
Le Kataib Hezbollah sono state fondamentali negli anni
passati per il successo delle operazioni militari irachene contro Daesh
che occupava gran parte del nord del paese. Per Washington
invece sono soltanto una milizia filo-Tehran, responsabile dell’attacco
contro una base militare a Kirkuk nel quale è rimasto ucciso un
americano. Accusa lanciata senza fornire prove. «Gli Stati Uniti», ha
proclamato perentorio il segretario di Stato, Mike Pompeo,
non permetteranno all’Iran di «compiere azioni che possano mettere a
rischio gli uomini e le donne americani». Da parte sua il segretario
alla difesa, Mark Esper, ha ammonito che
«intraprenderemo ulteriori azioni se necessario e scoraggiamo ulteriori
comportamenti malvagi da parte di milizie o dell’Iran». Washington di
fatto ha preso il posto di Israele responsabile nei mesi scorsi di
ripetuti attacchi aerei contro le milizie filo-Iran in Iraq.
Non è difficile leggere nei raid aerei anche un messaggio di
Washington per Tehran, Mosca e Pechino che si avviano a concludere le
manovre navali congiunte iniziate venerdì scorso nell’Oceano Indiano e
nel Golfo di Oman. Manovre che l’Amministrazione Trump
interpreta come un atto di deterrenza a sostegno dell’Iran minacciato di
guerra e colpito dalle pesanti sanzioni Usa. Domenica sera, per
la 28esima volta in poco più di sei anni, il ministro degli esteri Javad
Zarif è giunto a Mosca per colloqui con il collega russo Lavrov.
I due hanno discusso dei rapporti russo-iraniani – complicati dalle
posizioni divergenti delle due parti sul futuro della Siria e la
presenza iraniana in quel paese – delle prospettive di rafforzamento
del dialogo politico bilaterale e delle relazioni economiche,
commerciali e culturali. Ma al centro dei colloqui c’è stato soprattutto
il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo internazionale
sul programma nucleare iraniano firmato nel 2015, dal quale gli Usa
sono usciti nel maggio 2018 dando vita a un nuovo regime di sanzioni
contro Teheran. Mosca chiede che l’Iran non esca a sua volta dal Jcpoa –
lo fanno temere i passi che ha mosso negli ultimi mesi – e che al
contrario rispetti sino in fondo le intese per non offrire pretesti a
ulteriori sanzioni Usa o peggio a una guerra. Una posizione condivisa
dall’Ue. Tehran chiede che i paesi europei mantengano la promessa di
tenere aperti i canali economici e commerciali nonostante le sanzioni
americane.
AGGIORNAMENTO
Migliaia di manifestanti hanno assaltato l’ambasciata Usa a Baghdad
sventolando le bandiere della milizia sciita Hashd Shaabi (alleata
dell’Iran). A decine sono saliti sul muro di cinta dell’ambasciata
scandendo lo slogan «Morte all’America, morte a Israele». Almeno dieci
dimostranti sono stati feriti dalle guardie di sicurezza della sede
diplomatica che in queste ore viene evacuata.
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