di Roberto Prinzi
A un alleato che porge un «aiuto», non si può dire di no. E così ieri il Governo di Accordo nazionale libico (Gna) riconosciuto internazionalmente ha risposto "sì" all’offerta di sostegno militare turco previsto dal protocollo di sicurezza firmato da Tripoli e Ankara lo scorso 27 novembre.
Tradotto: il coinvolgimento della Turchia nel conflitto libico – già
effettivo, sebbene informalmente, con droni, consiglieri e probabilmente
armi – si fa ora inequivocabile con l’invio di soldati e mezzi
militari. Del resto, il presidente turco Erdogan per giorni è stato un
disco rotto: «Ankara sarà protagonista militarmente in Libia e appoggerà
i passi congiunti nel Mediterraneo» possibili grazie proprio ai
memorandum d’intesa.
Con l’ok incassato ieri da Tripoli, pura formalità, Erdogan
può ora «legalmente» indossare l’elmetto e imbarcarsi in una nuova
guerra dopo le tre offensive che ha scatenato in Siria negli anni
(l’ultima lo scorso ottobre). Ma se lì il pretesto era «neutralizzare i
terroristi» curdi del Rojava, qui l’intento è palesemente economico:
mettere le mani sullo Stato fallito libico e partecipare al convivio
coloniale bandito dalla Nato nel 2011. Oltre all’obiettivo geopolitico:
estendere il progetto neo-ottomano di Erdogan anche sull’altra sponda
del Mediterraneo.
Resta da capire quali ostacoli incontrerà nel suo tragitto.
Il principale potrebbe venire dalla Russia, sponsor del generale Haftar,
nemico giurato del Gna, che – sostenuto militarmente da Emirati Arabi Uniti, Giordania, Egitto, Francia e (più recentemente) centinaia di
mercenari russi del gruppo Wagner – da aprile prova invano a sfondare le
difese tripoline.
Mosca scenderà in campo a fianco dell’autoproclamato capo
dell’Esercito nazionale libico (Lna) come ha fatto in Siria con Assad o
si affiderà alla diplomazia? Per ora Mosca adotta un profilo basso: ieri
il presidente Putin ha fatto sapere che vuole il cessate il fuoco prima
dell’inizio dei negoziati tra le due parti rivali libiche. Importante, a
questo punto, sarà capire cosa emergerà dall’incontro sulla Libia che
una delegazione turca, già annunciata da Erdogan, terrà nei prossimi
giorni in Russia.
Se l’Europa non prende una chiara posizione comune e se gli
USA di Trump, in pieno stile siriano, si pongono al momento ai margini, i
veri protagonisti della questione Libia vanno ricercati a Mosca e
Ankara. Pertanto, fanno quanto meno sorridere le parole ieri del ministro degli Esteri Di Maio in cui ribadiva come in Libia «l’Italia ha perso un ruolo»
a causa della crisi di governo della scorsa estate e che perciò
«dobbiamo recuperare» il terreno perché Roma «può giocare un ruolo
importante».
Andrebbe ricordato al ministro che i libici – soprattutto Haftar – ci
hanno deriso in questi anni (anche quando avevamo un governo in carica)
e hanno preferito rivolgersi ad altri interlocutori. Del resto, e
Tripoli lo sa bene, gli italiani l’unica guerra che possono affrontare è
quella contro i migranti, non di certo uno scenario di conflitto vero
come quello che si vive a Tripoli.
A ogni modo l’agenda del capo della Farnesina è fitta di impegni per i prossimi giorni: incontrerà Haftar («Un ruolo ce l’ha, non sono io a riconoscerlo ma i fatti e questo non si può ignorare») e avrà colloqui telefonici con i ministri degli Esteri dei paesi che «hanno influenza in Libia».
«Noi riconosciamo e supportiamo il lavoro delle Nazioni unite e il processo di Berlino»,
ha poi aggiunto spiegando che l’intenzione del governo Conte è quella
di promuovere una missione dell’Unione europea guidata dal nuovo Alto
rappresentante della politica estera dell’UE Josep Borrell.
Sul terreno, intanto, la situazione si fa sempre più difficile: ieri
il portavoce dell’Lna, Ahmed Mismari, ha affermato che gli uomini di
Haftar continuano ad avanzare verso il centro di Tripoli e ha annunciato
«sorprese nelle prossime ore».
In contemporanea, il braccio politico che fa capo al generale, il
parlamento di Tobruk, chiedeva alla Lega araba e all’Unione africana di
ritirare il riconoscimento del Consiglio di Presidenza di Tripoli come
legittimo governo della Libia.
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