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23/12/2019

La strage del Rapido 904, era il 23 dicembre 1984

Era il 23 dicembre 1984. Sul treno 904, partito da Napoli e diretto a Milano esplode una bomba. Nella strage morirono 17 persone (i più piccoli avevano 9 e 4 anni, si chiamavano Anna e Giovanni De Simone), 267 rimasero ferite. Il treno 904 esplode non lontano da dove dieci anni prima era esplosa una bomba su un altro treno: l’Italicus. La zona è quella di San Benedetto Val di Sambro, tra Toscana ed Emilia Romagna. Appena quattro anni prima c’era stata la strage alla stazione di Bologna.

Nel 1992 la Cassazione ha definito quell’attentato come di matrice terroristico-mafiosa. Tra i condannati all’ergastolo figura il boss di Cosa Nostra Pippo Calò ma tra gli imputati risultava anche un deputato fascista dell’allora Movimento Sociale, Massimo Abbatangelo, che fu condannato a 6 anni per aver consegnato l’esplosivo a Giuseppe Misso, un capoclan di camorra ma con note simpatie neofasciste, che però fu assolto per la strage. Per mancanza di prove, nel 2015, fu assolto il boss mafioso Totò Riina, una pista che per la verità non ci aveva mai convinto.

Alcuni uomini di governo dell’epoca come Rino Formica (ministro del PSI), avendo a disposizione “altre informazioni”, diedero una chiave di lettura molto diversa da quella un po’ raffazzonata della strage mafiosa. All’epoca non c’era neanche una trattativa Stato-Mafia da condizionare con le stragi.

Fonte

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Confessiamo che le conclusioni alle quali la Procura di Napoli è arrivata ventisette anni dopo la strage del Treno di Natale (23 dicembre 1984, 17 morti) non ci convincono. Secondo i magistrati con quell’attentato la mafia di Totò Riina inaugurava la stagione delle stragi di Cosa Nostra culminate poi con quelle del 1992 (Falcone e Borsellino) e del 1993 (Roma, Firenze, Milano) nel tentativo di costringere lo Stato alla trattative con le famiglie mafiose.

Ma il contesto storico non coincide affatto con questa chiave di lettura. Nel 1984 infatti lo Stato non aveva affatto avviato l’offensiva contro la mafia (che nel frattempo aveva colpito duramente magistrati e poliziotti, nel 1984 era stato ucciso anche il giornalista Peppe Fava). Al contrario i primi anni '80 sono stati il “periodo d’oro” per le cosche mafiose.

Diversamente, lo scenario internazionale e il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo erano al centro di tensioni fortissime. C’era stato l’attentato dei palestinesi all’aereoporto di Fiumicino e l’attentato israeliano all’aereo Argo 16 (con a bordo uomini dei servizi segreti italiani), c’erano stati tre dirigenti palestinesi uccisi dal Mossad a Roma tra il 1981 e il 1982, c’era stato l’abbattimento del DC9 a Ustica e la strage alla stazione di Bologna, la missione militare italiana in Libano, c’era stato un protagonismo dell’Italia nel Mediterraneo abbastanza indipendente e inviso agli Stati Uniti e a Israele che sfociò poi nella emblematica vicenda di Sigonella nel 1985. A questo scenario fa riferimento una storica intervista dell’allora capogruppo dei deputati del PSI, Rino Formica, al quotidiano La Repubblica che riproponiamo perchè ci sembra molto, ma molto più convincente delle conclusioni a cui sono giunti i magistrati napoletani. Riina è seppellito in carcere e non può dare più fastidio a nessuno. E’ uno straccio che può volare senza disturbare seriamente i manovratori e i mandanti della strage del treno 904.

“Col sangue l’Italia è stata avvertita”

Da La Repubblica del 29 dicembre 1984

L’intervista di Mino Fuccillo all’allora dirigente del PSI Rino Formica (governo Craxi)

ROMA – “Ci hanno avvertito, ci hanno mandato a dire con la strage che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale. Un posto di comparsa, di aiutante. Ci hanno fatto sapere col sangue che il nostro Paese non può pensare di muoversi da solo nel Mediterraneo. Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni. E noi non abbiamo un sistema di sicurezza nazionale capace di opporsi a questi avvertimenti. I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perchè così li hanno voluti gli accordi internazionali. Non difendono l’Italia perchè non debbono difenderla. Sono funzionali alla nostra condizione di inferiorità. Altro che strage fascista: è accaduto qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che pone il problema della nostra autonomia internazionale”.

Rino Formica è capogruppo dei deputati del Psi, il partito del presidente del Consiglio. È stato commissario nell’indagine parlamentare sulla P2. Sa quello che il Parlamento conosce dell’attività dei nostri servizi segreti. Sa quello che il governo davvero temeva prima della strage e soprattutto quello che il governo teme oggi. Ragiona sul macello del treno 904 e arriva a una conclusione che gli appare ferrea: “La strage è un avvertimento venuto da fuori ma questo non assolve nessuno. Anzi, evidenzia drammaticamente la debolezza del nostro Stato, la precarietà della nostra democrazia, la pigrizia mentale delle nostre forze politiche. Ci hanno avvertito e facciamo finta di non capire”.

Un momento, onorevole, chi ci ha avvertito?

“Da due anni abbiamo una presenza internazionale più autonoma. Con un atto di guerra ci hanno detto di smetterla”.

È solo una mezza risposta la sua. Le chiedo: anche lei parla di pista internazionale. Si riferisce alle minacce di vendetta degli estremisti islamici, a Paesi spesso tirati in ballo per atti di terrorismo come la Libia?

“Per carità, le vendette internazionali si consumano in modo mirato. Se qualcuno vuole che l’Italia liberi i libanesi che ha messo in carcere sequestra degli italiani. Se qualcuno volesse punirci per fatti specifici fa presto a far fuori tecnici o diplomatici italiani. La pista internazionale di cui parlo io non è il folklore sui cattivi nel mondo. È purtroppo una cosa più seria”.

E allora ci dica dove porta questa pista.

“Voglio partire da quanto ho visto l’altro giorno in Parlamento, mentre si discuteva della strage: uno spettacolo desolante, un’assemblea stordita. Tutti contenti nel dire fascismo contro antifascismo, rifacciamo l’unità e stiamo a posto. Che pochezza emiliana. E allora io provo a ragionare. Abbiamo avuto due fenomeni terroristici: uno rosso che nasce dalla costola dell’estremismo marxista e cattolico e che è stato qualcosa di carattere sostanzialmente nazionale, un terrorismo che mirava ai simboli, un terrorismo logico. L’altro crea paura di massa. Ma ci domandiamo cosa vuol dire: significa che non dobbiamo compiere passi azzardati, non dobbiamo andare oltre certi confini. Questo è il senso delle stragi. La strage è una decimazione indiscriminata. Può venire dall’interno se si è in presenza di una guerra civile. Altrimenti appartiene a una logica esterna, anche se può trovare pali, manovalanza e supporti in sede locale”.

Questa, onorevole, è la premessa di un ragionamento. Dove sta la conclusione?

“Ci arrivo, ci arrivo. Ma ancora qualche considerazione: la strage di Natale è così perfettamente copiata su quella dell’Italicus da avere dentro di sé le caratteristiche del depistaggio. Ce la prendiamo col fascista assassino così come abbiamo fatto per le altre stragi. E non a caso non abbiamo mai trovato nessun colpevole. Tranne in un caso: il 17 maggio del 1973 in via Fatebenefratelli Gianfranco Bertoli, ex informatore del Sifar, lancia una bomba contro il presidente del Consiglio Rumor. Quattro morti, decine di feriti. Sedicente anarchico veniva da un kibbutz israeliano. Se lo sono dimenticato tutti, eppure è l’ unico filo, l’unico nome che abbiamo in materia di stragi”.

E allora?

“Allora vuol dire che non sappiamo o non vogliamo indagare e ragionare sulle stragi. Le voglio ricordare un’altra cosa: il 5 novembre del 1972 Forlani, il cauto Forlani, parlava della Rosa dei venti come del tentativo più pericoloso della destra italiana dal dopoguerra e aggiungeva: un tentativo ancora in corso. Un tentativo con collegamenti internazionali. Da allora Forlani non ne ha parlato più. Di Bertoli nessuno ha parlato più”.

E quale sarebbe la verità che nessuno in fondo vuol conoscere?

“Quella per cui le stragi servono per introdurre avvertimenti a fini interni e quella per cui il nostro Paese è troppo debole per difendersi”.

Torniamo alla domanda originaria. Difendersi da chi?

“Non puoi crescere in democrazia, non puoi accettare sfide mondiali, stare al centro di un’area di guerra come il Mediterraneo e avere dei servizi di sicurezza funzionali, nati e cresciuti per la subalternità internazionale. Non puoi essere fino in fondo autonomo all’interno delle alleanze se i nostri servizi di sicurezza nemmeno hanno la parità dei flussi d’informazione con quelli alleati”.

Insomma, qualcuno ci ha avvertito, dall’estero e col sangue, che stavamo diventando troppo autonomi. E i nostri servizi di sicurezza non sono serviti a nulla. È così?

“È così e io credo che vada rinegoziata l’integrazione dei sistemi di sicurezza con i servizi analoghi dei Paesi alleati”.

Onorevole Formica, l’ avvertimento di cui lei parla, la richiesta che i nostri servizi di sicurezza siano messi su un piano di parità con quelli alleati, vogliono dire che quella bomba sul treno è stata messa per iniziativa di qualche servizio segreto straniero. Qualcosa che i nostri avrebbero potuto sapere e non hanno saputo.

“È plausibile che sia andata così”.

E quale servizio è plausibile che sia l’organizzatore dell’avvertimento?

“Forse l’uno, forse l’ altro. A certi livelli si scambiano favori. Io questo non lo so ma so che i nostri non funzionano”.

Già, se non sanno quello che fa il KGB o la CIA o altri che ci stanno a fare?

“Le racconterò tra un attimo dei servizi. Ma prima voglio spiegare meglio perchè ci mandano questi avvertimenti. A metà e alla fine degli anni '70 ci dissero che non potevamo procedere speditamente ad un’evoluzione democratica perchè questo metteva in circolo forze politiche di cui era discutibile la fedeltà internazionale”.

Si riferisce a quello che fu il tentativo di Moro?

“Anche. Quello che di Moro all’estero non potevano accettare era la sua disponibilità a stare con i comunisti. Potevano accettare dei comunisti al governo, come poi accadrà in Francia. Non potevano accettare una sorta di democrazia popolare in Occidente”.

E anche la morte di Moro fu un avvertimento?

“Questo non posso dirlo. Non posso stabilire rapporti di causa ed effetto. Posso dire che quel tentativo in parte ambiguo di autonomia nazionale fu osteggiato. Oggi però il problema è diverso”.

Oggi per che cosa ci hanno avvertiti?

“Perché stavamo diventando un Paese che cominciava a dire la sua. In campo economico, sullo scacchiere del Mediterraneo. Perché stavamo diventando nazione all’interno delle alleanze. E invece ci ricordano che al massimo possiamo mandare qualche corvetta da qualche parte. Oggi non è problema di questa o quella forza politica al governo. Chiunque comandi in Italia deve ricordarsi di stare al suo posto”.

E deve smettere di far girare ministri degli Esteri e presidenti del Consiglio nel Mediterraneo?

“Deve ricordarsi delle nostre dipendenze internazionali. Questo è l’avvertimento. In quest’area un’Italia protagonista dà fastidio sia ad Est che ad Ovest”.

Dicevamo dei nostri servizi segreti...

“Il giorno 20 dicembre viene Scalfaro in Parlamento. Dice: l’ Italia è un Paese senza frontiere, entra ed esce chi vuole, il libanese ammazzato a Roma non sappiamo come si chiama, come è venuto. Promette: metterò ordine negli stranieri all’Università di Perugia. Gli dico: bravo, ma ricordati che perfino i finti studenti di Perugia sono stati contrattati internazionalmente. Voglio dire che nei nostri servizi la devianza è certamente rilevante ma peggio è la loro inefficienza. Inefficienza voluta al loro atto di nascita sancita negli accordi. E nel buco nero dell’inefficienza nasce la devianza: non potendo, non dovendo difendere il Paese, s’industriano a spiare i politici, a stendere dossier”.

Che vuol dire inefficienza?

“Vuol dire che quando gli americani hanno deciso tempo fa di sospendere il flusso delle informazioni in loro possesso, siamo rimasti ad aspettare che cambiassero idea. Vuol dire che i sistemi di reclutamento sono incredibili. Poiché i servizi sono segreti, una delle garanzie di riservatezza è che ognuno tira dentro un parente. Vuol dire che riciclano le informazioni delle Questure. Vuol dire, un esempio: dieci anni fa segnalano Freda in Grecia. Si discute come andarlo a prendere. Si decide: lo rapiamo. Si appalta l’operazione al camorrista Zaza in cambio di denaro e impunità. Zaza subappalta il rapimento. Il rapimento fallisce. Freda resta libero. Zaza vola via con i soldi. Ecco i nostri servizi”.

Ma non sono gli stessi servizi che avevano detto a Craxi che “signori con la valigia giravano per l’Italia”?

“Ma quelle sono soffiate che arrivano a centinaia. Col senno di poi ci si ripensa. Ma se volessimo ascoltarle i treni bisognerebbe fermarli tutti ogni giorno. Quando ero ministro dei Trasporti il direttore generale mi diceva: fermiamo solo quando la telefonata arriva ai Carabinieri perchè i Carabinieri si presentano in stazione, altrimenti potremmo chiudere tutte le linee per sempre”.

Craxi, perchè non è andato a Bologna?

“Sbaglia chi critica la sua assenza. Non ha potuto, ma sarebbe stata una risposta vecchia. Altre sono le risposte: non smettere una politica di pace nel Mediterraneo...”.

Ignorare l’ avvertimento?

“Possiamo fare solo due cose: o rientrare nei ranghi o dotare il Paese di sistemi di difesa e di sicurezza adeguati alle nostri ambizioni. Ci sarebbe una terza cosa da fare: diventare una democrazia compiuta, ma altri ci hanno messo secoli, noi ci proviamo da appena due generazioni. E purtroppo, nel dopoguerra si è scelta una democrazia del compromesso, una democrazia lenta”.

Onorevole, che vuol dire non smettere una politica di pace nel Mediterraneo?

“Vuol dire che una volta si sta con Israele e una volta no”.

E che vuol dire capire l’avvertimento senza subirlo?

“Vuol dire sofferenza per tutti i partiti. Perché significa imparare a discriminare il bene e il male sullo schieramento internazionale senza garanzie e certezze. Vuol dire diventare nazione. L’ unità antifascista, purtroppo, non basta più né per capire né per fermare le stragi. È questo il dramma della pista internazionale, quella vera”.

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