di Roberto Prinzi
L’invio di soldati turchi in Libia a sostegno del Governo d’Accordo nazionale libico (Gna), sotto assedio da aprile da parte del generale della Cirenaica Haftar, ha ora una data. A rivelarla è stata ieri il presidente turco Erdogan
durante un incontro ad Ankara con i membri del suo partito (Akp).
«Siccome ora c’è un invito , noi lo accetteremo. Presenteremo una
mozione per mandare lì le truppe non appena il Parlamento riprenderà i
lavori» ha detto il leader islamista, che poi ha aggiunto: «Se Dio vuole, la bozza passerà in Parlamento l’8 o 9 gennaio».
Per la verità, al momento Tripoli non ha confermato di aver fatto
ufficialmente richiesta di militari turchi, possibilità prevista nel
memorandum di sicurezza turco-libico siglato lo scorso 27 novembre.
Fathi Bashagha, ministro degli Interni del Gna, si è limitato infatti a
dire che «se la situazione peggiorerà, avremo il diritto di difendere
Tripoli e i suoi abitanti».
Erdogan, ad ogni modo, tira dritto per la sua strada. Due
giorni fa si è recato a sorpresa in Tunisia dove ha incontrato il suo
omologo tunisino Kais Saied per discutere della questione libica.
I due capi di stato – riferirà alla stampa lo stesso presidente turco –
hanno discusso di come giungere a un cessate-il-fuoco in Libia così da
portare al tavolo delle trattative le parti rivali, il Gna di Tripoli
guidato dal premier al-Sarraj e il governo di Tobruk situato nell’est
del Paese.
Sempre a Tunisi, al termine di una riunione avvenuta tre giorni fa
tra il presidente tunisino Saied e i rappresentanti del Consiglio
Supremo delle tribù e delle città libiche, è stata approvata la Dichiarazione di pace tunisina
che chiede a «tutti i libici di sedersi al tavolo di dialogo» perché
«la soluzione è interna alla Libia» e deve avvenire «nel rispetto della
legittimità internazionale libica che si basa sulla legittimità
popolare».
Di maggior peso geopolitico sono stati però i tre giorni
d’incontri a Mosca tra delegati russi e turchi nel corso dei quali si è
discusso di Siria e Libia. Sulla questione libica, Russia e
Turchia hanno concordato di cooperare per trovare una «rapida soluzione
alla crisi del Paese», sebbene il Cremlino non abbia nascosto la sua
opposizione al dispiegamento di militari turchi. Alle «preoccupazioni»
russe, ha risposto ieri Erdogan: «Le truppe turche in Libia possono
rappresentare un cambiamento» ha detto, prima di attaccare i sostenitori
esteri di Haftar (tra cui la Russia): «Aiutano un signore della guerra.
Noi, invece, rispondiamo all’invito del governo legittimo della Libia».
Sul terreno, intanto, si continua a combattere. Il giorno di
Natale almeno 4 civili sono stati uccisi in un’esplosione nel mercato di
Tagiura (distretto di Tripoli), area controllata dalle forze
filo al-Sarraj. Non cessano poi i raid aerei di Haftar: tre giorni fa è
stata colpita la strada che collega il centro di Tripoli all’aeroporto
internazionale a sud della capitale e sono stati presi di mira gruppi
armati affiliati al Gna nella città di Amamra, a sud-est della città di
Msallata. Tre civili sono stati uccisi invece ieri nella città di Zawiyah, nel nord ovest del Paese. Otto i feriti.
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