Un tempo non troppo lontano, trovarsi con un manualetto di questo
genere tra le mani era l’eventualità più naturale e scontata per
qualsiasi militante. Purtroppo, ad oggi, dobbiamo invece constatare che
con il progressivo affievolirsi del conflitto attraverso il paese, anche
un certo tipo di cultura militante, di sovrastruttura difensiva ad uso
dei compagni, ha seguito la medesima traiettoria discendente puntando
dritta all’estinzione.
Sono oramai un ricordo i tempi in cui la circolazione di manuali di
auto-difesa legale, semplici libretti compilati da compagni più
“accorti” o generosi manualetti di guerriglia urbana costituivano il
pane quotidiano di una certa letteratura di movimento. Eppure, a fronte
di simile inflessione, non sembra corrispondere una sostanziale
diminuzione di quell’infame operazione che garantisce lo stipendio a una
massa di lavoratori improduttivi e una pioggia di pene a una massa di
sfruttati che prende il nome di repressione.
Ovviamente, anche la repressione ha mutato forma e armamentario, e
non ci sogniamo di dire che è rimasto tutto tale e quale a vent’anni fa.
Talvolta ha scelto strade più avvedute, più subdole, come le
scorciatoie amministrative non meno dannose delle canoniche vie penali
e, diciamo così, si è messa al passo con i tempi, soprattutto quelli
tecnologici.
Ma la sostanza di quest’operazione caratterizzante, dell’atto che
forse più di ogni altro rivela la natura politica dello Stato, non
sembra aver subito flessioni di sorta.
A queste tendenze si aggiunge, come automatico corrispettivo
discorsivo, un dibattito sostanzialmente incentrato sul senso comune –
alimentato quotidianamente da una cappa mediatica in tutto e per tutto
funzionale a veicolare determinati paletti ideologici nella società –
che non riesce più a valutare l’operazione repressiva alla luce di una
distinzione di classe. Qualsiasi sia l’operazione, il caso, il fatto
repressivo in esame sembra ormai esser passata l’essenza della più
infima delle fantasie liberali ovvero la sostanziale estraneità dello
Stato di fronte alle classi, la sua, tutto sommato, posizione neutrale
rispetto alla società, alla politica, alla Storia. Insomma, quando si
parla di Stato, oggi, si ammette implicitamente come prerequisito
discorsivo che questo sia il rappresentante dell’interesse comune di
tutta la società. Dall’idealizzazione dello Stato etico all’insulsa
retorica delle “mele marce” (con un non indifferente salto qualitativo,
certo), passano gli anni e mutano i linguaggi ma la merce contrabbandata
è sempre la solita favoletta della democrazia borghese: lo Stato è al di sopra delle classi.
Inscrivendosi in un simile orizzonte, appare naturale come qualsiasi
tentativo di strappare la questione della repressione a questa retorica
sia una fatica di Sisifo, e che sia possibile assistere – dopo che la
morte di Cucchi è stata intenzionalmente provocata dal pestaggio di due
agenti e che la complessa macchina dell’arma si sia mossa all’unisono
per far si che non una verità emergesse da quella storia – a paradossi
come il “baciamano del carabiniere” ad Ilaria Cucchi senza che venga
battuto ciglio.
Certo, a sfatare questo mito e a riaffermare il principio per cui gli
Stati rappresentano il predominio di una classe, anche se non sempre
nella forma semplificata e propagandistica di un “comitato di affari” ed
eccezione fatta per determinate congiunture storiche in cui si crea un
equilibrio tra le classi, basterebbe rivolgere l’attenzione alla storia
recente e recentissima del movimento rivoluzionario italiano. Ma dato
che questo oggetto misterioso è il gran rimosso della memoria
collettiva, non resta che armarsi di buona volontà e combattere le
ricadute teoriche e pratiche di questa favola con vecchi e nuovi
strumenti.
In questo senso un manualetto come quello che abbiamo sotto gli occhi
appare come uno strumento utile, figlio di un’operazione in
controtendenza e pertanto primo passo verso una nuova accumulazione
difensiva.
Appare tanto più utile perché aggiornato a un momento in cui il
paese, soggetto a una smania giustizialista e a un potenziamento dei
poteri coercitivi, conosce una nuova accelerazione securitaria
generalizzata.
Un’accelerazione che, in modo selettivo, non ha mai smesso di essere
esercitata nel momento in cui l’annientamento delle avanguardie
politiche di questo paese è apparso necessario agli occhi del potere,
dall’omicidio di Carlo Giuliani all’infame operazione messa in moto
da Questura e Procura di Torino pochi giorni fa, ma che vive
sottotraccia nelle continue operazioni di contenimento cui sono soggette
le masse popolari e di cui i tragici casi delle morti in caserma sono
solo la punta di un iceberg.
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