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21/12/2019

Francia - Nessuna tregua a Natale?

Con il terzo “sciopero inter-categoriale” di martedì 17 dicembre è iniziata una nuova fase della mobilitazione contro la riforma pensionistica in Francia.

Dal variegato movimento sindacale che si oppone al provvedimento non verrà osservata alcuna tregua durante il periodo natalizio e il comunicato inter-sindacale pubblicato giovedì 19 ha già proposto una nuova giornata di “sciopero inter-professionale” per l’anno successivo il 9 gennaio, traguardando così le settimane a cavallo tra la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo.

Intanto diversi sindacati del personale di volo (piloti ed assistenti) – tra cui il SNPL, la principale organizzazione sindacale tra i piloti – hanno depositato un avviso di sciopero per il 3 febbraio a causa del timore che l’attuale riforma possa notevolmente peggiorare la propria condizione pensionistica, con il possibile innalzamento dell’età pensionabile e la fine della cassa pensioni complementare.

Per hostess e steward l’età limite per la pensione è 55 anni, mentre i piloti hanno la possibilità di andare in pensione a 60 anni. Il sistema pensionistico in attivo è costituito dai versamenti del personale di volo.

Se l’astensione dal lavoro venisse confermata perturberà non poco “il rientro” anche nel traffico aereo, considerato che per ora aveva scioperato solo il “personale di terra” nei tre giorni di sciopero generale.

Intanto, continua lo “sciopero ad oltranza” nell’azienda ferroviaria (la SNCF), nella metro parigina (la RAPT) e nelle raffinerie, senza che si registrino significativi cali d’adesione o un impatto decrescente nei trasporti.

La CGT delle ferrovie – il primo sindacato nel comparto, che rappresenta circa un terzo dei macchinisti e più del 40% dei controllori – ha annunciato che lo sciopero continua, così come il terzo sindacato, la combattiva SUD-Rail; il secondo invece (UNSA-Ferroviarie), che rappresenta solo 7,5% dei macchinisti e dei controllori, ha chiamato ad una “pausa” durante le feste.

Laurent Escure, segretario dell’Unsa, ha annunciato che “il bureau federale ha deciso di prendere atto di questi avanzamenti” – riferendosi alle riunioni multilaterali di giovedì riguardo alla SNCF – “alla RAPT è un’altra cosa”.

Per ciò concerne la CFDT-Cheminots, il quarto sindacato, ha annunciato che consulterà i suoi iscritti venerdì mattina per prendere una decisione in merito.

Sia alle ferrovie che nella RAPT – dove sono in corso trattative – il governo gioca con l’UNSA la carta della divisione, scambiando delle modifiche parziali alla riforma con l’impegno a defilarsi dalle proteste e depotenziare il fronte: bisognerà vedere se dopo due settimane e passa di sciopero consecutivo la propria base di iscritti accetterà di buon grado di rientrare nei ranghi.

Nel settore chimico – dove sette raffinerie su otto si sono astenute dal lavoro nei tre giorni di sciopero generale – vi è stata un innalzamento del livello di lotta, con lo spettro della penuria di carburante che sembra avvicinarsi proprio in prossimità delle feste.

Giovedì – così come previsto dalle indicazioni emerse nella riunione inter-sindacale svoltasi martedì sera tra CGT, FO, SOLIDAIRES, SNU-UNSA e le organizzazioni studentesche giovanili – si sono svolte numerose iniziative di lotta e manifestazioni locali.

In differenti località, molto prima dell’alba militanti del sindacato (CGT e SUD in particolare) spesso insieme a “gilets jaunes”, hanno effettuato blocchi della rete di trasporto locale, negli hub logistici, nei centri di smistamento postali, nelle zone d’accesso a poli industriali ed è stata interrotta l’erogazione di energia elettrica nei confronti di alcune aziende, in particolare quelle che compongono il listino delle quotate in borsa (il CAC40).

Da segnalare la manomissione, mercoledì, dei dispositivi che regolano l’erogazione di energia domestica – il contestato contatore di ultima generazione Linky – e che permettono alla società fornitrice di diminuire il carico d’energia di cui si dispone in caso di ritardo di pagamento delle utenze: una misura punitiva dagli effetti impattanti per coloro che hanno difficoltà finanziarie, tenendo conto che in Francia l’elettricità è usata per alimentare sia il riscaldamento sia i sistemi di cottura dei cibi.

Alla faccia delle fake news propinate dai media italiani che avevano parlato di tagli alle “abitazioni”, i lavoratori dell’energia che combattono affinché questa sia un bene comune e non una merce e contro la privatizzazione del settore, la restituiscono a coloro a cui è stata tolta!

“Se un utente ha delle fatture in ritardo, gli si limita la potenza, per costringere l’usufruttuario a pagare le proprie bollette. Non si ha il diritto di privare dell’energia le famiglie in stato di bisogno”, ha dichiarato il segretario della CGT Energie nei Pirenei-Orientali, Xavier Charreyron.

Questo giovedì uno dei più importanti centro di smistamento in Normandia è stato bloccato, sono stati effettuati blocchi e barriere filtranti a Tolosa, è stato fatto un blocco all’accesso di Clésud a Miramas, la piattaforma logistica a Béziers è stata bloccata, la rimessa degli autobus è stata bloccata a Dieppe, sono stati eseguiti blocchi ai porti petroliferi del Fos e di Lavera, il deposito di carburante ad Allier è stato bloccato, il deposito dei bus a Rennes è stato bloccato, è avvenuto il blocco del centro delle imposte a Tarbes, ed è stato bloccato il deposito di Décathlon a Cagny.

Sono solo alcune delle azioni “coupe de poing” della giornata, che testimoniano come attraverso i blocchi generalizzati la strategia del movimento sia passata ad uno stadio superiore.

È significativo che queste tipologie d’azione avvengano a livello “decentrato” su tutto il territorio dell’Esagono; non solo nelle maggiori aree metropolitane, ma anche in quella Francia “Periurbana” in cui si è sviluppata e consolidata la “marea gialla”, dove si sono svolte anche ieri, e nei giorni di sciopero, azioni e importanti manifestazioni con una partecipazione inedita.

Queste azioni danno la cifra di un consolidamento delle relazioni tra le giacche gialle e quelle rosse del sindacato; relazioni maturate non senza difficoltà durante quest’anno ma che ora generalizzano nella prassi una reale convergenza d’intenti.

Non bisogna dimenticare che alcune città epicentro della “marea gialla” erano state le antesignane di questa convergenza – soprattutto Tolosa, Bordeaux, Marsiglia e Lione – consolidatasi con lo sviluppo delle “assemblee generali” cittadine dei GJ, che avevo tra l’altro chiesto a gran voce la proclamazione di uno sciopero generale già all’inizio di quest’anno.

Dall’altra parte, militanti e intere porzioni di sindacato avevano colto perfettamente il potenziale di risorse che rivestiva la marea gialla ed avevano iniziato un lavoro certosino di confronto, tenendo conto che nelle rotatorie erano presenti anche proletari con la giacca gialla ma con la tessera del sindacato in tasca, oppure militanti di una organizzazione politica della “sinistra radicale”.

Queste azioni comuni messe in campo cercano di sopperire ad un deficit di protagonismo di quei settori che, per livello d’organizzazione, risultano l’anello debole delle mobilitazioni; ossia quella parte del mondo del lavoro i cui lo sfruttamento semi-schivistico è spesso associato all’analfabetismo sindacale o all’estrema difficoltà di strutturare una organizzazione sindacale adeguata, viste le dimensioni ridotte o la frammentazione imposte dalle regole del mercato del lavoro.

Il governo Macron – mercoledì della scorsa settimana – ha voluto alzare il livello dello scontro, avanzando una proposta di riforma che ha fatto storcere il naso anche ai sindacati teoricamente favorevoli a una riorganizzazione del sistema pensionistico – come la CFDT – con la fissazione dell’età “pivot” a 64 anni dai 62 attuali a regime e la pensione minima all’85% dello SMIC, cioè del Salario Minimo Inter-Categoriale.

Inoltre è stata fissata una tabella di marcia serrata che porterà la riforma al Consiglio dei Ministri a fine gennaio e alla discussione in parlamento ad inizio febbraio, con il ruolo dei “partner sociali” relegato alla consultazione, quando i tratti salienti della riforma sono già stati stabiliti, fingendo “consultazioni” del tutto improduttive.

Sono stati riaperti, mercoledì e giovedì, 4 dossier su lavori usuranti, transizioni, altre garanzie... poche cose che non cambiano l’impostazione complessiva della riforma.

“La sola cosa concreta” – ha dichiarato il segretario della CGT, Philippe Martinez, rispetto ai colloqui intercorsi con i partner sociali mercoledì e giovedì – “è che il Primo Ministro non ha ascoltato le piazze”.

Il governo ha cercato di giocare alla contrapposizione tra i lavoratori in sciopero dei trasporti e il resto dei cittadini, dipingendo i primi come dei “privilegiati” che difendono in maniera corporativa i loro interessi. Ma ha fin qui perso la battaglia d’opinione, come impietosamente rivelato dai sondaggi, nonostante le immani difficoltà procurate alla popolazione, in particolare della regione parigina.

Nonostante i disagi, “la galere”, per usare l’efficace espressione francese, il consenso nei confronti dello sciopero non è scemato.

Un cronista di BFM TV, non proprio contento, ha dovuto leggere in diretta la sera dello sciopero un sondaggio in cui alla domanda “chi è responsabile degli scioperi?” il 46% ha risposto Macron, e solo il 26% i sindacati!

Di fatto il governo ha sottostimato la capacità di mobilitazione di alcuni settori che lottano non solo contro questa riforma, ma si contrappongono alle condizioni di lavoro e allo status di due gangli vitali dell’organizzazione sociale, come la sanità e la scuola: due sistemi sull’orlo del collasso, e che hanno di fatto allargato il blocco sociale che si sta coagulando contro le politiche macroniane.

Macron ha altresì sottostimato il malessere sociale trasversale che cova da tempo, in particolare tra le giovani generazioni, che da un anno si sono mobilitate in massa prima durante il primo periodo della “marea gialla” portando la rabbia studentesca nelle strade e nelle piazze ad inizio dicembre scorso, e poi dall’inizio della scorsa primavera con gli scioperi per il clima del venerdì che in Francia e in Belgio – li dove sono iniziati – hanno preceduto il “fenomeno Greta”.

In questo senso, i settori di lavoratori che si sono mobilitati hanno catalizzato attorno a sé quella tipologia di consenso definita “sciopero per procura”, in cui le parti più deboli dei subordinati sostengono e si identificano con quelle capaci di esercitare un maggiore potere contrattuale.

All’interno di questa dinamica la maggioranza delle classi subalterne nell’Esagono percepisce ancora positivamente il mantenimento di una condizione leggermente migliore di alcuni strati della propria classe, e pensa che sia il presupposto per un innalzamento delle condizioni di tutte le altre figure. Mentre il livellamento verso il basso voluto dalla riforma è visto come la preclusione per un qualsiasi miglioramento, anche per chi ancora non gode di prestazioni similari, ed avente come unico prodotto la generalizzazione della miseria. Altro che “mal comune, mezzo gaudio”.

Un altro elemento è il rifiuto della cosiddetta “frattura generazionale”, che è la vera cifra della riforma pensionistica. Le giovani leve che si affacceranno nel mondo del lavoro vengono infatti escluse dal “patto sociale” che ha fin qui caratterizzato parti consistenti delle classi subalterne dell’Esagono, mentre una parte degli attuali lavoratori – coloro che sono nati prima del 1975 – potrebbero ancora beneficiarne in parte.

A questa “frattura generazionale”, chi si è mobilitato oppone una solidarietà inter-generazionale, segno che i valori neo-liberalistici non hanno ancora pienamente trionfato, né in alcuni “bastioni operai”, né nella società nel suo insieme.

È significativo che per la giornata di lotta di questo gennaio il sindacato parli di mobilitazione inter-categoriale e inter-generazionale.

Un altro elemento rivelatore sono le casse di resistenza, uno dei perni dell’efficacia dell’azione sindacale; insieme alla determinazione degli scioperanti e all’appoggio del sindacato e di alcune forze politiche, sono state l’arma vincente in lunghe vertenze che spesso non rientrano nel cono di luce dei media, ma che hanno creato precedenti importanti ed esempi da seguire. Uno su tutti lo sciopero dei postini della regione parigina, durato grosso modo un anno!

In questo contesto, non hanno proprio giovato al governo le dimissioni dell’architetto dell’attuale riforma pensionistica, Jean-Paul Delevoye, per cui proprio giovedì la Procura di Parigi ha aperto un indagine relativa alle varie incongruenze – usiamo un eufemismo – tra quanto dichiarato ufficialmente ad una autorità di vigilanza e la realtà di compensi percepiti e mansioni svolte.

È l’ennesimo pezzo che l’Esecutivo perde per motivi similari; una nemesi non da poco per Macron, che si è presentato inizialmente come il “moralizzatore” della vita politica, garantendo che la squadra di governo prescelta avrebbe accompagnato integralmente il suo quinquennio.

Sono già 8 i ministri che hanno dovuto lasciare per motivi simili dal giugno del 2017, quando Richard Ferrand, ministro della Coesione dei Territori si è dimesso.

Il fatto che “il padre della riforma” fosse in palese conflitto d’interessi e avesse coscientemente omesso tutta una serie di incarichi e introiti incompatibili con la sua funzione, non ha certo aumentato la fiducia in questa riforma.

La partita che si apre è piuttosto rilevante, considerato che i grandi sponsor della riforma sono l’organizzazione padronale francese e i tecnocrati di Bruxelles, e che il governo ha deciso di andare al “muro contro muro” senza che questa strategia di logoramento, per ora, abbia prodotto crepe nel fronte di lotta – a parte l’UNSA nelle ferrovie – o alienasse le simpatie della maggioranza delle persone.

La lotta di classe è apparsa proprio in uno dei paesi-cardine per il rilancio del processo d'integrazione dell’Unione Europea, accelerando la crisi dell’egemonia neo-liberale proprio dove sembrava aver trovato un suo nuovo leader.

Concludiamo con un apparente paradosso segnalato giovedì, a fine editoriale, da Laurent Joffrin, direttore del quotidiano Libération:

«Poco meno di un anno fa, le manifestazioni dei gilets jaunes, costellate di violenza, hanno fatto fare al governo un passo indietro, il cui costo stimato si aggira sui 17 miliardi. Oggi, con manifestazioni perfettamente legali, inquadrate e gestite, il governo passa il suo tempo ad elemosinare anche con le organizzazioni più moderate. Contrasto pericoloso che getta un ombra sull’avvenire delle relazioni sociali in Francia.»

Sarà per questo, forse, che si è iniziato a praticare i blocchi generalizzati ed i tagli alla corrente... Perché la ragione senza la forza è poca cosa.

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