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22/12/2019

Un comune denominatore

Il testo di Paolo è interessante, una narrazione sofferta di quello che sta succedendo in Francia, ma soprattutto al fondo c’è disperazione perché non sembra che ci sia una via d’uscita.

Innanzitutto Paolo dice che “gli Stati si trasformano in Stati Provvidenza per le multinazionali, miliardi di euro di regali senza l’ombra di una contropartita, esoneri fiscali che si aggiungono all’evasione fiscale“. E per questo drenano le risorse della popolazione.

Ma dire tutto ciò non è sufficiente per comprendere le ragioni di questa radicale trasformazione. E allora tentiamo di capire.

Lo sviluppo capitalistico richiede una crescente quantità di capitali da investire nella produzione per mantenere il profitto nonostante la caduta tendenziale del suo saggio, tanto più in una fase di trasformazione profonda del modo di produzione.

Si assiste a una guerra intercapitalistica per accaparrarsi i capitali, un nuovo colonialismo che non aggredisce più soltanto i paesi sottosviluppati, ma anche i paesi meno sviluppati. Tipico in questo senso il neocolonialismo intraeuropeo di cui l’Italia, in particolare, sta facendo le spese e che addirittura si cerca di istituzionalizzare attraverso il Mes.

L’altra faccia del problema è che questo trasferimento di capitali ai capitali da parte dello Stato viene effettuato con un rastrellamento di risorse della popolazione, con l’aumento delle imposte e delle tariffe, l'eliminazione degli sgravi e delle esenzioni, la riduzione della spesa per scuola, sanità, mobilità, territorio.

La situazione tedesca è illuminante: il più grande avanzo commerciale e drenaggio di capitali mondiale si accompagna con il degrado delle infrastrutture pubbliche.

Ma questo appunto fa parte del quadro e cioè la necessità della Francia, della Germania, dell’Olanda, dei paesi capitalistici più sviluppati del nord Europa di accaparrarsi i capitali per far fronte alla concorrenza di capitalizzazione, sia statunitense che cinese, e in parte anche russa.

Il capitale ha sostanzialmente perso e questo spiega la sua feroce avidità di risorse per mantenersi in vita. La politica del QE non serve più, anzi ingolfa il meccanismo della produzione capitalistica. La guerra annunciata dal grido di Agnelli “profitto zero“, nel 1973, oggi risuona tra i possessori di capitali col lamento dei tassi negativi, uno stato di cose letteralmente inconcepibile per il capitale, e col timore di una stagnazione secolare.

C’è uno scontro epocale in atto, lascito di una guerra di classe, iniziata dalla Borghesia, e finita in un insuccesso, che pure prosegue nei suoi nefasti effetti di divaricazione sociale.

La democrazia è incompatibile con l’attuale sviluppo del modo di produzione per cui rimane un simulacro, si comincia a parlare apertamente di Deep State, e si maneggia l’apparato statale senza più infingimenti democratici.

Paolo ricorda come nel referendum del 2005 i francesi si fossero pronunciati contro la Costituzione Europea e “Il 4 febbraio 2008 a Versailles ha luogo un vero colpo di stato soft. Le Camere riunite (Parlamento e Senato) rimettono in discussione in maniera illegale il risultato del referendum annullando cosi la volontà del popolo“.

La Politica contro il popolo non è semplicemente effetto della corruzione e del finanziamento capitalistico delle campagne elettorali. Nasce dalla convinzione maturata nei vecchi partiti comunisti e socialdemocratici che non c’è alternativa al capitale e alla civilizzazione della Borghesia.

E questa convinzione con tutti i vantaggi che comporta l’essere di sinistra nella buona società è stata con più o meno entusiasmo assunta dagli intellettuali, da sempre alla corte di qualcuno e Daniel Cohn Bendit, uno dei nomi storici del ’68, si è spinto a dire Le peuple n’a pas toujours raison!

Una forza spaventosamente poderosa, quella del capitale: lo Stato e tutti i suoi apparati, la Cultura con tutti i suoi accademici, i giornali, le tv, il cinema, la magistratura, le forze dell’ordine, gli apparati spionistici, i big data e i social network... schierata contro chi?

A difesa di cosa lo sappiamo, ma contro chi è difficile dirlo perché è invisibile, eppure c’è e deve essere altrettanto spaventosamente potente per aver suscitato contro di sé l’invincibile armada del capitale

L’insorgenza delle popolazioni è generalizzata, percorre non soltanto l’Europa, ma anche l’America Latina e gli stessi Stati Uniti e forse Cina e Russia, in Maghreb, in Egitto, in India. Ma è un insorgenza che non riesce a superare i limiti entro cui è circoscritto il dramma nazionale.

Il dramma è che ciò che abbiamo di fronte non è risolvibile attraverso o battaglie elettorali o mobilitazioni per quanto straordinarie come quelli dei Gilè Gialli; addirittura abbiamo avuto l’esempio del contro uso di queste insorgenze in Bolivia.

“Eppur si muove” l’armata dei citoyennes nel mondo, solo che pur essendo lotte sostanzialmente simili, se non uguali, manca un denominatore comune.

Un elemento comune c’è: sono essere umani che lottano per una degna vita umana e un reddito che la consenta.

Cosa succederà quando questo ciclo di lotte si esaurirà? Rivedremo il ritorno delle sinistre unite, come dopo le lotte del 1995? Nel 1997 nacque il governo Jospin con tanto di ministri comunisti. L’integrazione nell’UE fu accelerata per diventare quasi irreversibile, le privatizzazioni dei servizi pubblici hanno battuto ogni record si chiede sconsolato Paolo.

Siamo di fronte a un grave dilemma: tutto come prima o niente come prima. E quale può essere il comune denominatore per moti nazionali che inventano una nuova internazionale in nome del futuro comune?

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