Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

26/12/2019

Francia - “Avevamo dato un ultimatum al governo”

Come abbiamo scritto all’inizio di questa settimana, durante il periodo natalizio non si è realizzata “la tregua” auspicata dall’Esecutivo rispetto allo “sciopero ad oltranza,” iniziato il 5 dicembre, contro l’ipotesi di riforma pensionistica.

I lavoratori delle ferrovie, così come quelli della metro parigina e gli operai delle raffinerie, continuano la mobilitazione. Anzi, se così si può dire, alzano il livello dello scontro, mentre in tutto l’Esagono continuano le operazioni “coup de poing” effettuate dai militanti sindacali insieme a gilets jaunes, così come il taglio dell’elettricità a diverse aziende del CAC40 (le principali aziende quotate in Borsa), rivendicato orgogliosamente dai lavoratori dell’energia della CGT.

Come ha detto Therry Defresne, delegato alla Total, prima di Natale, rispetto alla mobilitazione nel settore chimico: “tutto questo accelererà nei giorni seguenti”.

Si avvicina la “soglia psicologica” dei 22 giorni consecutivi di mobilitazione, ossia la durata complessiva dello sciopero vittorioso nel settore dei trasporti contro l’ipotesi di riforma pensionistica del governo di Lionel Jospin, dell’inverno del 1995: la più lunga e vittoriosa vertenza degli ultimi 25 anni!

Mercoledì 25 dicembre il traffico ferroviario è stato ancora perturbato, con un “transilien” – che serve la regione parigina – su 6, 3 TER 10 e un TGV – treno ad alta velocità – su 3. Questo week end la direzione della SNCF vorrebbe far circolare almeno 6 TGV su 10, migliorando il traffico rispetto al fine settimana precedente ed assicurando la maggior parte degli 800.000 viaggiatori con una prenotazione dal 27 al 29 di questo mese.

Martedì il tasso degli scioperanti è stato – secondo i dati forniti dalla direzione aziendale – del 9,8%; ma quasi la metà dei macchinisti, quasi un terzo dei controllori e più del 10% degli addetti agli scambi si sono astenuti dal lavoro.

Si tratta di un dato in leggero rialzo rispetto a quello di lunedì – il più basso dall’inizio dello sciopero – di poco più del 9 % degli scioperanti.

La stima delle perdite causate dallo sciopero, secondo i calcoli del direttore della SNCF, Jean-Pierre Farandou, ammontano per ora a 400 milioni di Euro. «I conti del 2019 saranno fortemente impattati» dall’azione dei lavoratori, ha dichiarato il dirigente. Le ferrovie avevano realizzato 33,3 miliardi di Euro nel 2018, stimando a circa 900 milioni l’impatto del lungo sciopero “ad intermittenza” della primavera, prima azione di massa dei lavoratori dell’“Era Macron”.

L’Esecutivo aveva dato mandato alla direzione della SNCF, così come a quella della RAPT, di negoziare con le organizzazioni sindacali del settore delle modalità meno traumatiche di transizione al regime universale, da quello “speciale” odierno, pur di far cessare lo sciopero.

La direzione delle ferrovie aveva ricevuto una “apertura” dalla direzione dell’UNSA – il secondo sindacato nella SNCF, altamente “collaborativo” – ma questa è stata di fatto smentita dalla propria base, così come lo è stata la leadership confederale della CFDT che si era per prima espressa per una “pausa”, anch’essa rifiutata dal quarto sindacato di categoria del settore.

Nella metro parigina – nonostante le trattative – non ci sono state nemmeno queste aleatorie ipotesi di accomodamento.

Il 25 dicembre, solo le due linee “automatizzate” – la 1 e la 14 – hanno viaggiato, le altre sono rimaste chiuse. Tre bus di superficie su quattro hanno viaggiato, ed i tram sono stati praticamente regolari. Le linee RER che collegano il centro con la periferia e viceversa, sono state “molto perturbate”, con la linea A chiusa per la maggioranza del tragitto, e la B con solo un treno su tre a circolare.

Quale sarà la situazione nel 22° giorno di sciopero?

Giovedì, nella RAPT, 5 linee rimarranno completamente ferme, le altre aperte parzialmente e solo per una breve fascia temporale, mentre circolerà un treno su due nella linea A della RER e uno su tre della B nell’ora di punta, e viaggeranno due bus su tre e pressoché regolarmente i tram.

Nelle ferrovie circolerà un TGV su 2, un Transilien su 5, e 4 TER su 10, un Intercité su quattro, con il traffico internazionale “molto perturbato”.

Domenica è iniziata la procedura – che durerà alcuni giorni – per il blocco totale della raffineria Petroineos di Lavéra, nei pressi di Martigues nel sud della Francia, seguita lunedì dalla raffineria Total di Grandpuits a Seine-et-Marne, decisa nell’assemblea generale.

Il sito di Martigues, il più importante del sud della Francia, impiega 12.000 lavoratori, raffina 10 milioni di tonnellate di greggio l’anno ed alimenta anche la Spagna, l’Italia e – attraverso le pipelines – il nord d’Europa; mentre quello di Grandpuits ne raffina la metà.

A Grandpuits, come specifica Adrien Cornet della CGT, i lavoratori hanno deciso per lo sciopero ad oltranza fino al 30 dicembre: «i lavoratori non hanno votato direttamente l’arresto della produzione, ma la non-spedizione dei prodotti finiti. Il fermo è dovuto al deficit di stock provocato dalla nostra azione».

Come ha spiegato Emmanuel Lépine, segretario dei chimici della CGT, è «la metà della capacità di produzione di carburante che si ferma» con le due raffinerie. L’altra metà è assicurata dai depositi portuali, che sono comunque in sciopero. Inoltre «I rimorchiatori di Fos-sur-Mer non connettono più le navi nel Porto Petroli. A Le Havre è la stessa cosa, i portuali sono in sciopero».

Mentre 7 raffinerie su 8 hanno scioperato durante le tre giornate di mobilitazione inter-professionale, sono 5 quelle che si astengono ad oltranza ed a parte queste citate per le altre si tratta di ridurre al minimo la produzione e di bloccare la consegna del carburante.

Alla bio-raffineria Total di La Méde, la produzione è ridotta al minimo dal 4 dicembre; in pratica 150 camion al giorno che non caricano.

Nel sito Total di Feyzin, la mobilitazione di tutta la forza lavoro è più complicata.

Bisogna ricordare che alla Total un’anzianità di lavoro dai 25 ai 38 anni dà diritto a 5 anni di pre-pensionamento, pagato il 75%. Nel sistema a punti proposto dal governo le pensioni verrebbero decurtate di qualche centinaio d’euro al mese.

Lépine è lineare: «Avevamo dato un ultimatum al governo, non l’ha capito, facciamo ciò che avevamo previsto».

Infatti, un documento co-firmato da quattro Federazioni della CGT (ferrovieri, trasporti, energia e chimici) domenica 15 dicembre era stato più che chiaro, dando una settima di tempo al governo per ritirare la riforma e concludendo: «Se il Primo Ministro si ostina ad affermare “il Paese è perturbato ma non bloccato”, i lavoratori del pubblico e del privato tireranno le conclusioni che devono raddoppiare le mobilitazioni, moltiplicare gli appelli allo sciopero in tutte le aziende ed implementare ulteriormente il livello delle manifestazioni, per essere compresi».

Una certa coerenza tra il “dire e il fare”, quindi.

Per i marittimi, la partita che si gioca è importante.

Il personale che lavora sui rimorchiatori a Le Havre è infatti in sciopero da martedì 17 dicembre contro l’ipotesi di riforma pensionistica.

Questo mestiere, che ha persino più feriti e incidenti sul lavoro dell’edilizia, ha un “regime speciale” che permette di andare in pensione a 55 anni di età e con 37,5 anni di contributi versati.

Giovedì 19 dicembre i marinai della CGT e della CFDT che lavorano sui rimorchiatori al Fos hanno depositato un avviso di sciopero di 5 giorni per la CGT, di 24 ore la CFDT.

Petroliere, gasiere e porta-container resteranno quindi “al largo” del bacino marsigliese.

L’azione non è limitata ai due porti, perché l’appello è stato lanciato dalla Federazione Nazionale dei Sindacati Marittimi e comprende i marinai-rimorchiatori di Dunkerque, Saint-Nazaire e La Rochelle, sull’onda degli scioperi effettuati già dai portuali in differenti scali e le giornate “porto morto”.

Il regime pensionistico dei “marittimi” – il primo ad essere stato istituito in Francia, circa 400 anni fa – non era mai stato toccato dalle varie riforme pensionistiche e se i colloqui con il governo – a cui chiedono il ritiro secco della proposta – non avranno buon esito, la risposta non potrà che essere la mobilitazione.

Anche all’inizio della settimana sono continuate le iniziative “a sorpresa”. Citiamone alcune.

Il presidio di fronte alla sede della RAPT a Parigi lunedì mattina per denunciare la repressione dei picchetti di sciopero nelle rimesse dei bus, sgomberati violentemente dalla polizia, si è trasformato in una manif sauvage che ha infine bloccato la linea automatizzata 1 della metropolitana e la Gare de Lyon della ferrovia, con l’occupazione dei binari di questa importante stazione parigina.

Nella notte tra lunedì e martedì, al sito di Amazon di Seine-Saint-Denis, che lavora 50.000 colli a notte con 800 autisti, è stata tagliata l’energia elettrica fino alle 7.30 del mattino, dalla CGT 93 che ha rivendicato l’azione, contro le condizioni di sfruttamento dei lavoratori – di cui una buona parte precari – e contro la riforma.

Sull’autostrada A36, a Fontaine, martedì c’è stata un’operazione di “pedaggio gratuito”; mentre a Rouen, lunedì, è stato bloccato un centro di smistamento delle poste.

*****

Il governo ha reso pubblico il calendario di incontri che svolgerà a cominciare dal 6 gennaio, nelle settimane che precedono la presentazione della riforma al Consiglio dei Ministri, il 22.

Stupisce l’arroganza dell’Esecutivo che, nelle riunioni con i partner sociali lo scorso mercoledì e giovedì, aveva escluso la SNES-FSU – il maggior sindacato nelle scuole medie inferiori e superiori – e le organizzazioni giovanili che sono parte integrante dell’Intersindacale che ha promosso le mobilitazioni.

Non soddisfatto, ha fatto sapere alla CGT dei prossimi incontri “a mezzo stampa”, senza convocare direttamente la Confederazione, come ha dichiarato Philippe Martinez.

Il 6 Edouard Philippe dovrà proporre un “metodo di lavoro” rispetto alla questione dell’equilibrio finanziario della riforma, e dunque dell’età pivot prevista a 64 anni, ipotesi che ha suscitato la contrarietà perfino della CFDT, che sarebbe “l’interlocutore naturale” del governo.

Il 13 gennaio, il Ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer incontrerà i sindacati degli insegnanti per le negoziazioni su una presunta ri-valorizzazione degli stipendi, in un clima di grande sfiducia del corpo insegnanti nel confronto del governo.

Il 7 diversi ministri saranno impegnati nelle discussioni sugli unici nodi su cui si è aperta la possibilità di modifica come il carattere usurante di alcune mansioni, ecc.

Il 9 gennaio ci sarà la quarta mobilitazione “inter-categoriale” ed “inter-professionale” in poco più di un mese.

*****

Gli inviti alla tregua avanzati da Macron dalla Costa d’Avorio, sabato 21 dicembre, sono rimasti lettera morta; così come gli ammiccamenti in questo senso alla CFDT – teoricamente favorevole alla riforma degli attuali regimi – e all’UNSA, smentendo le dichiarazioni del nuovo incaricato della riforma, Laurent Pietraszewski, che si augurava che la “disponibilità” delle direzioni di SNCF e RAPT potessero «permettere di riprendere il lavoro e assicurare il servizio pubblico indispensabile in questo periodo».

La contrapposizione, al di là degli ammiccamenti ad una parte dei sindacati “riformisti”, è frontale: da un lato l’Esecutivo in tutte le sue componenti ha ribadito che non metterà in discussione la soppressione dei 42 regimi speciali, dall’altra si chiede il ritiro della proposta.

Un anno di mobilitazione dei gilets gialli e le precedenti esperienze vittoriose sembrano avere insegnato che la durata, l’incisività ed il consenso attorno alle proprie battaglie sono l’unico modo per far fare marcia indietro al governo, nonostante il prezzo non proprio basso che si deve pagare.

Qualcuno l’ha definita palestra d’odio: per noi è un ottima ginnastica.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento