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20/12/2019

Retata antimafia in Calabria, decapitati tutti i partiti

Di solito, non ci occupiamo delle retate antimafia. Non disponendo di inviati, e non volendo ridurci al ruolo di megafoni degli inquirenti (magistratura, polizie varie, ecc.), preferiamo prendere atto e caso mai vedere se c’è qualche ricaduta delle indagini sulla politica. Con questa logica, per esempio, abbiamo seguito “Mafia Capitale” o l’omicidio del fascista-tifoso-spacciatore Piscitelli (i media mainstream si sono fermati alle due ultime “qualifiche”, guardandosi bene dall’accennare alla prima).

Ma l’inchiesta calabrese del 19 novembre ha una dimensione tale (334 arrestati, 416 indagati) che avrebbe ricadute politiche a prescindere dall’identità degli arrestati. È comunque un pezzo di mondo regionale, una delle aree del potere.

Andando poi a guardare alcuni dei nomi coinvolti nell’inchiesta Rinascita-Scott (anche il nome richiederà qualche precisazione) si vede a occhio nudo che è stata devastata tutta la “politica” regionale, senza distinzioni di partito.

A cominciare da quel Giancarlo Pittelli, avvocato di primo piano ed ex parlamentare di Forza Italia, nonché a lungo coordinatore regionale della maison Berlusconi, sostenitore di rango della candidata proposta alle regionali, Jole Santelli, confermata nel ruolo mentre uscivano i lanci di agenzia sulla retata.

L’accusa nei suoi confronti è circostanziata e piuttosto secca: avrebbe “condiviso la modalità di gestione della cosca (Mancuso di Limbadi, che domina la provincia di Vibo Valentia. Ndr), aderendo alla politica gestionale di Luigi Mancuso”. Anche lui arrestato mentre fuggiva in treno verso Milano.

Ma Pittelli non è (o era) soltanto questo, visto il ruolo di primo piano rivestito nelle logge massoniche: “in quella particolare frangia di collegamento con la società civile rappresentata dal limbo delle logge coperte”. Un vero boss, secondo l’accusa, della ‘ndrangheta-massona, che avrebbe messo a disposizione delle cosche “il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”.

Altro nome rilevante è quello di Gianluca Callipo, “cugino carnale” del re del tonno, individuato da Zingaretti come candidato presidente ideale del Pd alle ormai prossime elezioni regionali.

Agli arresti domiciliari, invece, ma non meno coinvolto, è Nicola Adamo, ex vicepresidente della giunta regionale Pd, marito di Enza Bruno Bossio, attualmente deputata dello stesso partito. Naturalmente al fianco dell’attuale governatore uscente piddino, Gerardo Oliverio.

Nelle peste anche Luigi Incarnato, commissario alla Sorical e coordinatore della campagna elettorale di Olverio. L’accusa nei suoi confronti è di aver ottenuto l’appoggio della cosca alle elezioni politiche del 2018, sempre per il Pd, finendo però egualmente battuto dal Cinque Stelle Massimo Misiti.

Poi una marea di professionisti, funzionari, due capi o ex capi della Polizia Locale, un colonnello dei Carabinieri ex comandante dei Ros (reparti speciali!) di Catanzaro, imprenditori... Insomma: uno spaccato della “classe dirigente”, senza alcuna distinzione di partito, professionalità, specializzazione. Non c’è alcuna differenza tra “destra” (in questo caso Forza Italia, ma due anni fa Pittelli era passato a Fratelli d’Italia accolto con un post entusiasta di Giorgia Meloni).

Interessante, comunque, anche la “dedica” che il pool del giudice Gratteri ha voluto fare – intitolandogli l’operazione Rinascita-Scott – al capo della Dea, agenzia antidroga degli Stati Uniti, Hacker Scott.

Così, tanto per ricordare chi comanda ancora in questo paese...

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