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31/12/2019

Ex Ilva - De profundis 2019

La vicenda dell'ex Ilva di Taranto è divenuta il requiem con cui si congeda il 2019

La cronaca redatta dal Corriere di Taranto [1] del Consiglio di fabbrica presso l’ex Ilva alla presenza del primo ministro Conte ne è, tra le altre cose, l'ennesima dimostrazione.

La sostanza però sta in quelle altre cose tra le quali merita evidenza quanto segue:

1) l'azione di Conte nei confronti dei fatti ad elevato impatto sull'opinione pubblica – non tanto e non solo per la sovraesposizione di cui possono godere sui media, ma per la vasta platea che fisicamente coinvolgono – è sempre più improntata a quella che sembra essere la nuova metamorfosi delle narrazione politica, che potremmo definire di populismo paternalistico;

2) quest'ultimo sembra essere la chiave narrativa più adatta per traghettare la conservazione dell'esistente negli anni '20 del nuovo millennio. [2]

Conte, infatti, nel caso specifico di Ilva ha sostenuto che il partner indispensabile per il progetto abbozzato dal suo governo resta ArcelorMittal. Si rassegnino dunque tutti coloro che si sarebbero attesi, quanto meno, la ricerca di una multinazionale meno speculativa (ma esistono?!?) cui affidare lo stabilimento tarantino, o peggio i sostenitori di un ritorno diretto dello Stato nell’economia attraverso la nazionalizzazione dell'impianto.

Conte afferma senza alcun fraintendimento che la politica non intende cercare alcuna alternativa alla soluzione di mercato. Il presidente del consiglio s’incarica quindi di esplicitare che la classe dirigente di questo paese ha fatto definitivamente propria l'ideologia ordoliberale del "più Stato per il mercato" senza alcun infingimento di sorta; [3]

3) Morselli, a.d. di ArcelorMittal, conferma l'assioma di Conte esplicitando agli operai presenti al Consiglio di fabbrica che loro sono roba di Mittal. Qui è evidente come la narrazione si sveste dei panni paternalistici per tornare ai più duri rapporti di forza cari ai padroni delle ferriere, in cui a essere contemplato è al massimo un approccio corporativista tra padrone e lavoratori – con i decreti repressione firmati Salvini/Minniti a fornire il recinto spinato del perimetro indicato dall’amministratrice della multinazionale dell’acciaio [4] –;

4) rapporti di forza che mostrano una fenomenologia operaia, del tutto abbandonata a se stessa, in cui la coscienza di classe è umiliata a tal punto da estinguere anche il mero sussulto di dignità all'interno di una situazione che si profila sempre più priva di vie d'uscita.

A dispetto di quanto sembra suggerire l'autore dell'articolo non crediamo che, onestà intellettuale alla mano, ciò possa essere imputato ai lavoratori stessi, rei di aver tratto interesse, seppur misero, dal “bengodi salariale” in voga anche mentre l’azienda andava economicamente a rotoli durante la gestione commissariale.

Tralasciando la deriva culturale per cui, di questi tempi, si fa passare per bengodi una normale remunerazione del lavoro adeguata alla sopravvivenza, l’orizzonte estremamente limitato della classe operaia tarantina e della città che vi ruota intorno è, semmai, conseguenza diretta dell’assenza pressoché totale di qualsiasi spinta propulsiva proveniente da sinistra.

Fatta eccezione per l’encomiabile mobilitazione promossa dal sindacato USB in questi anni, infatti, la crisi di Taranto mette a nudo l’assenza di propositività che caratterizza tutte le organizzazioni antagoniste sulla questione.

I lavoratori e i cittadini di Taranto ormai lo hanno capito alla perfezione: non è più sufficiente limitarsi a millantare riconversioni al terziario turistico [5] o chiedere la nazionalizzazione dell’impianto siderurgico – per tacere della follia di chi si riempie la bocca con la chiusura dell'impianto –.

Per come è andata deteriorandosi la situazione nel corso degli anni, lavoratori e città, hanno bisogno di conoscere non soltanto con quale parola d’ordine uscire dal proprio inferno, ma anche in quale modo, attraverso quale percorso farlo.

In questo specifico ambito il silenzio è assordante sia da parte delle istituzioni in teoria competenti, sia di coloro che dovrebbero indicare una via diversa e possibilmente antitetica allo stato di cose presenti.

Manca insomma una proposta organica sul che fare, che non si limiti a slogan che vanno benissimo in sede di mobilitazione o per i meme su Facebook, ma che mostrano gambe cortissime appena si passa alla critica e al rilancio dei piani provenienti da padroni e palazzi del potere.

C’è da augurarsi (e da lavorare) che gli anni ‘20 stimolino la consapevolezza per cui, senza idee e studi alle spalle capaci di rendere percorribile il raggiungimento di un obiettivo, anche la più genuina delle mobilitazioni – e già in questo paese ne abbiamo pochissime – è destinata a rifluire nella risacca dell’esistente.

Note:

[1] https://www.corriereditaranto.it/2019/12/28/ex-ilva-fenomenologia-operaia-e-lo-smarrimento-della-politica/

[2] Conte, infatti, ha annunciato di non voler lasciare la politica al termine del proprio mandato.
http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/12/29/conte-verso-la-verifica-il-primo-nodo-e-la-prescrizione_fdf9a677-1a3d-4c79-81b9-c2dc82dda629.html

[3] come si verificava ai tempi di Berlusconi e più in piccolo di Renzi, in cui le cordate di potere egemoni nel Bel Paese tentavano di volta in volta di trovare la quadra tra il vincolo esterno europeo e le esigenze di bottega di turno – Fininvest ai tempi del Cavaliere, massoneria cresciuta sulle rive dell’Arno ai tempi del guitto di Rignano –.

[4] http://contropiano.org/interventi/2019/12/30/la-lettera-di-due-studentesse-solidali-con-gli-operai-e-multate-per-blocco-stradale-a-prato-0122422

[5] su questo argomento specifico credo sia necessario sgomberare il campo da ogni illusione, anche del governatore Emiliano: il terziario a vocazione turistica traghetterebbe Taranto dalla padella dei problemi di Ilva alla brace del sottosviluppo della gig economy di AirBnB, Deliveroo e soci. La soluzione non è quella di trasformare la classe operaia tarantina in una prateria di cuochi, receptionist, camerieri, e pony express di cibo di strada.

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