“Salumi e formaggi tagliati a fettine sottili dello spessore massimo di due millimetri confezionate in fettine non sovrapposte… fettine di carne cotta sottili max 0,5 cm non panate… niente banane e arance… frutta secca solo sgusciata e confezionata ma solo noci nocciole e mandorle...”
Sono alcune delle tante prescrizioni in vigore nelle carceri italiane, in questo caso per chi vuol far avere cibo a detenuti che non possano mangiare quello fornito dallo stato.
Nicoletta Dosio ha 73 anni ed è vegetariana, dal 31 dicembre è reclusa alle Vallette di Torino e tra tutte le difficoltà e i problemi di un carcerato ha dovuto anche affrontare quello di come nutrirsi rispettando i propri principi e la propria salute. Nicoletta stessa sarebbe la prima a dire che c’è ben altro di cui discutere sulle carceri italiane, tuttavia a volte sono le privazioni più piccole che ci fanno capire quanto siano pesanti le più grandi.
In Italia ci sono 60.000 carcerati per 47.000 posti carcere, questo vuol dire che 13.000 reclusi non hanno luogo dove stare e devono occupare ed affollare spazi e servizi fondamentali di altri.
I detenuti negli ultimi due anni hanno ripreso a crescere, mentre i delitti più gravi sono tutti diminuiti, tranne gli omicidi sul lavoro, per i quali nessuno è in carcere oggi, e la violenza familiare sulle donne, che però non ha un corrispondente incremento di reclusioni. Questo vuol dire semplicemente che la “giustizia” è più dura con chi venne condannato, ma chi viene condannato? Soprattutto i poveri.
Tutto questo lo dicono le statistiche ufficiali, che aggiungono che un terzo dei detenuti sono migranti. Questo non vuol dire affatto che abbia ragione Salvini, ma al contrario che c’è una vasta persecuzione repressiva e giudiziaria per chi non sia tutelato dalla cittadinanza. Negli USA gli afroamericani affollano le carceri in misura ben maggiore di quanto compongano la popolazione libera; ma solo razzisti e reazionari affermano che sia colpa della maggiore propensione a delinquere di chi ha la pelle nera. Se una minoranza è sovra rappresentata in carcere, vuol dire che il sistema la perseguita e le leggi di Minniti e Salvini sono lì a spiegarlo.
Il carcere non dovrebbe essere una vendetta, ma una punizione scontata la quale si dovrebbe avere il diritto e le possibilità di tornare a pieno tutolo nella società. Invece sempre le statistiche ci dicono che il 97% di coloro che entrano in carcere ci sono già stati, cioè il carcere in Italia non ha educato e redento nessuno.
Il circuito del carcere è come la trappola della precarietà sul lavoro, se ci si entra è difficilissimo uscirne. Più di 1000 reclusi ogni anno cercano di uscire da questo circuito tentando il suicidio, più di 50 ci riescono. Oltre 10.000 recluse e reclusi, uno su sei, si infliggono ferite perché non reggono le condizioni delle nostre carceri.
La popolazione carceraria italiana è oggi fatta di poveri, emarginati, esclusi e di ribelli all’ordine esistente, come in una prigione del 1800. E anche le condizioni carcerarie sono sempre più quelle di un’altra epoca.
Qualche giovane ingenuo e generoso compagno, dopo l’arresto di Nicoletta Dosio mi ha chiesto quale indirizzo email e quali social avesse in carcere per scriverle. Siamo così abituati ad avere internet nelle nostre vite che non riusciamo a concepire più una relazione sociale senza di essa. In carcere internet in tutte le sue forme non è permesso e neppure telefonare si può. Si scrivono e si ricevono lettere di carta sottoposte a controllo.
Insomma il carcere è il carcere e quello italiano è al di sotto dei livelli di giustizia e civiltà che normalmente si proclamano. La civiltà di un paese si misura dalle sue carceri, disse per primo Voltaire, oggi possiamo dire che da noi il degrado del sistema pubblico e quello delle carceri vanno di pari passo.
Così come si distruggono servizi e diritti sociali, così la prigione torna ad essere il luogo ove la società cancella la questione sociale e la trasforma in ordine pubblico e detenzione.
“Non vorrete che si spendano soldi per le carceri quando non li abbiamo per gli ospedali”, urlano i reazionari.
“Noi vorremmo spendere più soldi per carceri ed ospedali ma i conti pubblici non lo permettono”, affermano i liberali.
E alla fine con entrambi in galera c’è sempre più gente, in condizioni sempre peggiori.
Nicoletta Dosio era consapevole di tutto questo quando ha deciso di rifiutare le misure alternative e di affrontare il carcere. Perché un sistema che condanna lei e altri undici NOTAV a complessivi diciotto anni di reclusione per aver tenuto 30 minuti le sbarre alzate dell’autostrada, facendo passare gratis gli automobilisti, un sistema, che con un danno complessivo accertato di 700 euro, commina un anno di pena ogni 37 euro di mancati incassi autostradali, è un sistema che sempre più scivola verso lo stato di polizia. E gli stati di polizia sono ingiusti e feroci non solo nelle condanne, ma anche nelle condizioni nelle quali i condannati devono espiarle.
Per questo Nicoletta Dosio ha detto no agli appelli, pur in ottima fede, affinché le sia concessa la grazia. Perché non considera il suo un caso individuale, ma la punta ed il risultato di un processo politico contro tutto il movimento NOTAV. E perché c’è troppa gente condannata per reati che in fondo sono solo un aspetto della questione sociale.
E infine perché tutto il sistema carcerario italiano oggi sta sprofondando nell’inciviltà. Mentre c’è già chi propone come soluzione conclusiva la privatizzazione delle carceri, come è già avvenuto per i servizi sociali e le autostrade; e come e già negli Stati Uniti.
Nicoletta ha invece proposto che ci si mobiliti per una amnistia sociale che liberi dalla reclusione chi è stato condannato per aver lottato o anche solo per aver reagito illegalmente a povertà ed emarginazione. Bisogna costruire una grande mobilitazione democratica, che chieda l’abrogazione dei decreti e delle leggi liberticide assieme alla ricostruzione di un sistema carcerario civile, corrispondente alla ricchezza reale del paese. Ma questa ricchezza è in poche mani si dirà, appunto, una ragione ed uno scopo in più per redistribuirla.
La lotta di libertà di Nicoletta Dosio va avanti in carcere.
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