Nessuno può conoscere davvero il carcere, se non chi lo vive. Nessuno può immaginare le storie degli ultimi, la desolazione delle esistenze recluse, le violenze subite nel tempo, che diventano colpa per chi si ribella, e prigione.
Nessuno immagina le vite senza nome costrette in questi momenti ad aspettare in catene l’epidemia che, nel silenzio e nell’indifferenza generale, si è già insinuata oltre le mura e tra poco farà strage.
In carcere tanti continuano ad entrare (anche malati, ai quali non vengono praticati controlli sanitari), e pochissimi escono. Il sovraffollamento delle prigioni – anche a Torino – è insostenibile, vergognosa violazione di qualsiasi diritto, di ogni principio minimamente umano.
Nelle sezioni c’è angoscia e richiesta di aiuto, volutamente ignorata da una classe politica cieca e sorda. Il recente decreto, che di per sé è pochissima cosa, non trova alcuna applicazione e si rivela per quello che è: uno specchietto per le allodole, la foglia di fico di un potere inetto e vendicativo.
I detenuti chiedono aiuto, giustizia, umanità, possibilità di mettersi in salvo, respirare aria libera, rivedere le persone care, prima che sia troppo tardi: è questo il messaggio che lasciano a chi esce.
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