03/09/2020
Philippe Daverio: il volto liberista della cultura
Ho incontrato Daverio a Napoli anni fa, durante una mostra e, nel corso del cocktail che ne seguì, ebbi modo di scambiarci due chiacchiere su temi, ovviamente, inerenti la cultura e l’arte.
Non pretendo, quindi, di averne conosciuto l’anima. Ma l’impressione che ne ricevetti, confermava l’immagine televisiva.
Quella di un signore affabile e senz’altro coltissimo. Ma decisamente arrogante, intellettualmente spocchioso, e subdolamente classista. Seppur, il tutto, condito di intelligentissima e tagliente ironia.
Soprattutto, un uomo dotato di un ego smisurato. Caratteristica, d’altronde, comune a molti critici. E, da seppur umile appartenente alla categoria, posso ben dirlo!
Per non parlare del suo altezzoso atteggiamento anti-meridionalista. Che ebbe modo di palesare in alcuni interventi televisivi, durante i quali non perdeva mai l’occasione di salire in cattedra per bacchettare il malcostume e la scarsa attitudine culturale di un Mezzogiorno di cui non mancava di evidenziare, altresì, problemi politici e sociali, nonché arretratezze amministrative.
Insomma, un tipico neoliberista elitario – fu assessore alla cultura di Milano, nella giunta del leghista Formentini – la cui postura ideologica si esprimeva a pieno nella sua concezione dell’arte come patrimonio dell’uomo economico.
La sua opera divulgativa, che ben si condensa nella trasmissione Passpartout – andata in onda, dal 2001 al 2010, su Rai3 – ancorché culturalmente meritoria sul piano dell’informazione, procedeva esattamente nella direzione dell’Arte quale vettore turistico e, dunque, segmento della valorizzazione del Capitale.
Insomma, né più né meno la cultura e l’arte come settori produttivi di Profitto.
Il suo atteggiamento nei confronti del nostro paese era quello tipico dell’intellettuale straniero illuminato, che viene ad insegnare, al volgo ignorante di una colonia arretrata, come relazionarsi al proprio territorio e al proprio patrimonio artistico.
Lungi da me beatificare la scarsa attitudine alla cultura degli italiani, specie negli ultimi anni. Ma ridursi al provincialismo di chi debba affidarsi al Principe mecenate di turno, è proprio quello di cui non si sente il bisogno alle nostre latitudini.
D’ altra parte, il Rinascimento è nato qui! E pure Giotto e Caravaggio, Bernini e Michelangelo, Leonardo Da Vinci e Galileo, Dante e Leopardi. Suvvia...
In uno dei suoi ultimi interventi televisivi, su La7, diede fondo a tutto il suo narcisismo intellettuale e al suo “pacato“ razzismo anti-meridionale.
Accusato, infatti, di aver ribaltato il voto popolare che aveva assegnato la vittoria al comune siciliano di Palazzolo Acreide, per la trasmissione il Borgo dei Borghi, in favore di quello piacentino di Bobbio, si difese affermando di aver ricevuto minacce di morte dalla Sicilia.
E giunse a paragonare la forma del cannolo siciliano a quella del fucile a canne mozze. Insomma, una bella caduta di stile – volendo usare un eufemismo – per un uomo di cultura.
Last but not least, vergognosamente nauseabonde, per una malcelata propensione alle categorie antropologiche tipiche del razzismo colonialista ed europeo, furono le sue dichiarazioni, rilasciate nel corso di un intervista a Lettera 43, in occasione della visita in Italia del presidente iraniano Hassan Rohani, avvenuta nel 2015, e a seguito della quale furono coperte le nudità di alcune statue capitoline.
Mentre anche gli stessi iraniani ironizzavano sulla gaffe compiuta dal nostro paese, Daverio affermava, senza pudore, che l’Iran è un paese di ex pecorai, e che «non è neanche corretto inserirlo nel nostro mondo civile, che non gli appartiene».
Non bisognava, quindi, far entrare Rohani in Campidoglio: «Aveva fatto molto meglio Berlusconi a ospitare Gheddafi facendogli costruire una tenda. Non c’entrano niente col nostro mondo, non sono mica civili. Sono degli assassini [...] era molto meglio metterlo in un garage con delle Ferrari o delle Maserati. Gli piacciono di più. L’unica cosa che possiamo fare con loro è comprare petrolio e vendere utilità autostradali e automobili».
Così, il sedicente storico dell’arte trattava l’antica civiltà iraniana. Proseguendo, poi, con una sequela di insulti razzisti che sortirono l’unico effetto di evidenziare la profonda ideologia sciovinista del critico di origini francesi.
Dimenticava Daverio, evidentemente accecato dalla sua presunta superiorità di intellettuale bianco, europeo e liberal-liberista, che la Persia – ovvero l’attuale Iran – è stata la culla della civiltà greca e romana. Dunque, di tutto l’Occidente. Pecorai un cazzo!
Perciò, riposi pure in pace Philippe. Noi certo non lo piangeremo!
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