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12/10/2020

La lotta all’UE nella strategia dei comunisti

Proponiamo di seguito un testo dei compagni de L'Ordine Nuovo condividendone  la necessità di aprire tra comunisti un dibattito in merito al che fare con la UE.
Detto questo a parere di chi scrive due sono le cose strettamente necessarie per far avanzare l'analisi e la presa di coscienza tra compagni e "blocco sociale" che si intenderebbe riorganizzare.

1) Il vocabolario. Quello novecentesco, che identifica il comunista nel proletario consapevole della propria condizione di classe e il suo riferimento nell'operaio è del tutto fuori dal contesto sociale degli ultimi 40 anni e risulta, agli occhi di quel contesto sociale, completamente incomprensibile.
Al giorno d'oggi nemmeno il precario più sfruttato può dirsi "proletario" perchè la società dei consumi gli impone comunque di possedere qualcosa (quantomeno uno smartphone e un mezzo di trasporto privato); al contempo non è più possibile identificare il proprio soggetto di riferimento nell'operaio quando viviamo da quasi tre decenni nella società post-fordista che ha frammentato così tanto la figura sociale dell'operaio massa da farne un soggetto del tutto minoritario nell'occidente capitalista.
Se si vuole intercettare il disagio sociale delle moderne classi subalterne è necessario trovare nuove parole per descriverle e indicarle, parole che tengano insieme sia il profondamente mutato contesto sociale, sia il peso che la singola sensibilità ha acquisito nel dibattito sociale generale. Parlare di "operai" a frotte di giovani e precari che si barcamenano tra un corso di specializzazione e un lavoretto a chiamata rigorosamente in nero per pagarsi la stanza in un appartamento in condivisione con altri propri simili risulterà incomprensibile a coloro a cui si vorrebbe parlare.
Un termine più attuale e neutro può essere "sfrutatti" ma è da considerarsi un timido inizio, per risultare credibili alle masse è necessario in prima battuta identificarle con parole che non soltanto ne dipingano il carattere sociale ma delineino anche la forza propulsiva che collettivamente possono mettere in campo.
"Operai" andava bene a fino ai tardi anni '70 del secolo scorso, non oggi.

2) L'analisi. La questione della UE tira necessariamente in ballo il rapporto tra comunisti e questione nazionale, chi scrive non pensa che i compagni sottostimino la questione, ma ci tiene a sottolineare come l'elaborazione di una tesi autonoma dei comunisti sulla questione nazionale non vada derubricata a fattore tattico cui approcciarsi a seconda della situazione momentanea, a seconda dei casi. Lo sforzo analitico che richiede è purtroppo molto più ampio, lo dimostra per altro la storia del movimento comunista che si è costantemente intrecciata alla questione nazionale e al tema della sovranità, nel cui merito, per cadere facili prede dello sciovinismo imperante, è utile porsi come stella polare quella della sovranità popolare, dove popolare è da intendersi come declinazione di masse sfruttate.

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L’Ordine Nuovo ha inaugurato alcune settimane fa sulle sue pagine una rubrica su l’Unione Europea. L’obiettivo dichiarato è favorire la discussione su una tematica complessa, le cui differenti visioni concorrono a dividere il movimento comunista a livello internazionale e all’interno dei vari Paesi. Questi contrasti, in alcuni casi, rispecchiano differenze profonde: valutazioni dissimili sulla natura delle istituzioni borghesi e nella concezione dello Stato, letture antitetiche dello scontro interimperialista. In altri casi, invece, il centro del dibattito non è tanto la natura dell’UE o la sua riformabilità, quanto differenti impostazioni tattiche che, complice l’arretratezza dello scontro di classe, finiscono per tradursi in un dibattito sulle intenzioni dai pochi risvolti reali, più utile a dividere che a fare i necessari passi in avanti nell’elaborazione.

Sul carattere irriformabile e reazionario dell’UE ci siamo soffermati già precedentemente[1], evidenziando come essa sia stata strumento per l’abbattimento delle condizioni di vita dei lavoratori e abbia favorito i processi di riduzione degli spazi democratici, sdoganando, attraverso l’attività di lobbying, le pressioni delle grandi aziende private sugli indirizzi politici ed economici dell’Unione. Continue conferme della correttezza di questa lettura arrivano dalla quotidianità delle politiche europee che seguiremo a trattare nei nostri articoli.

Qui vogliamo, piuttosto, parlare di quale sia il compito dei comunisti nella battaglia contro l’UE con quanti condividono con noi la convinzione che nessuna Europa dei popoli sia possibile in regime capitalistico, che l’Unione Europea sia un’alleanza imperialista attraverso la quale il capitale monopolistico europeo persegue i propri interessi e che, per questa loro natura, le istituzioni europee siano irriformabili ed intrinsecamente contrarie agli interessi dei popoli europei. Siamo consapevoli che l’argomento è complesso e la definizione di una posizione autonoma dei comunisti non si presta a facili semplificazioni ma deve scaturire da una riflessione articolata che permetta alle forze rivoluzionarie di attuare un’azione politica indipendente che non le ponga alla coda degli interessi di una parte della propria borghesia nazionale. Siamo convinti non si possa liquidare la faccenda con semplici slogan, magari aggiungendo il suffisso “per il socialismo” ad una campagna antieuropea indistinguibile da quella delle forze reazionarie, ma siamo altrettanto certi che non si possa eludere l’argomento e che la lotta per l’uscita dall’UE sia, in questa fase storica, un aspetto necessario della lotta per il socialismo. Date le finalità qui esposte, il lettore ci perdonerà, in alcuni passaggi, l’utilizzo di un linguaggio per “addetti ai lavori”.

Una tematica non eludibile

Per quanto negli ultimi anni sia cresciuta una generale sfiducia nei confronti delle istituzioni europee e si sia maggiormente diffusa la consapevolezza sull’irriformabilità dell’Unione all’interno delle formazioni comuniste, ad oggi non può dirsi che questo dato sia acquisito dalla gran parte dei lavoratori, neanche nella parte più cosciente. Anzi, una buona parte di essi, in particolare tra le nuove generazioni, ha ancora fiducia nell’UE e l’ipotesi di uscita dell’Italia è vista con paura dalla maggioranza della popolazione. [2]

La propaganda europeista ha fatto particolare breccia negli ambienti di sinistra grazie alla costruzione di una posticcia mitologia della fondazione in cui l’aspirazione alla fratellanza tra i popoli d’Europa nasconde le reali radici economiche e politiche che furono alla base di tutto il processo di aggregazione europea. A questo si è sommata negli anni la deleteria politica altreuropeista dei partiti della Sinistra Europea che, pur criticando “le politiche neoliberiste” promosse dalla commissione europea e ratificate dal consiglio e dal parlamento, ha nei fatti legittimato quelle istituzioni.

Non migliore è la situazione tra gli euroscettici. Spesso il malcontento nei confronti dell’UE è accompagnato dall’aspettativa che la soluzione possa arrivare dallo Stato nazionale, nell’errata convinzione che i problemi sociali possano automaticamente risolversi in un maggiore intervento statuale. In un contesto del genere è una leggerezza che non possiamo permetterci considerare secondaria l’azione e la propaganda contro l’Unione Europea e per la messa in discussione dei trattati. Il rischio è quello di sottrarsi al dibattito lasciando il campo libero a tutte le posizioni interclassiste che tentano di portare i lavoratori sotto la bandiera della borghesia, che sia essa filoeuropeista o sovranista.

Per costruire la nostra posizione autonoma è utile rivelare il filo diretto che lega le raccomandazioni della Commissione europea agli attacchi alle condizioni di vita dei lavoratori, alla riduzione del potere d’acquisto dei salari, alle strette alla spesa pubblica e al conseguente smantellamento dei servizi pubblici e dello stato sociale, ecc. Dal contesto materiale della lotta alle politiche promosse dall’UE può meglio scaturire tra i lavoratori la consapevolezza circa la natura antioperaia di questa istituzione.

Non è sufficiente, però, limitarsi alla denuncia degli indirizzi politici promossi dall’UE e alla battaglia economica, bisogna fare un passo ulteriore che metta in discussione le istituzioni europee in quanto tali. Non si può condurre la battaglia generale contro la borghesia senza scagliarsi contro gli apparati che materialmente concretizzano il suo dominio di classe e le istituzioni politiche non fanno eccezione. Come nella battaglia economica i lavoratori imparano ad estendere l’offensiva contro il singolo padrone e abbracciare la lotta più generale contro la classe padronale; travalicando la lotta alle specifiche politiche europee si giunge alla messa in discussione delle istituzioni stesse. Questo passaggio è essenziale nella presa di coscienza politica di una classe che si pone il problema della presa del potere e non scaturirà naturalmente dallo spontaneismo delle masse europee che anzi rischia di incanalarsi su binari reazionari se privo di un autorevole riferimento di classe.

La contrapposizione alle istituzioni europee deve sottolinearne la continuità rispetto a quelle nazionali e non alimentare l’equivoco che presenta un’UE oppressore degli Stati nazionali. L’UE è uno strumento del capitale europeo, che è complementare alle istituzioni statali nazionali, e ne rafforza la capacità di oppressione sulle classi subalterne.

Non esiste un furto di sovranità nei confronti delle nazioni ma la scelta consapevole delle élite economiche e politiche dei vari Stati di delegare ad un livello centralizzato europeo determinate funzioni politiche ed economiche in cambio di un’unità che permette la costruzione di un profittevole mercato interno e una forza maggiore nello scontro interimperialistico, nel confronto-scontro con lo storico alleato statunitense e con i nuovi paesi emergenti (Cina in primis, che è la prima esportatrice di merci in Europa)[3]. La continuità di queste istituzioni con quelle nazionali sta nella complementarità delle materie d’intervento e nella convergenza degli interessi difesi. In entrambi i casi si tratta di istituzioni borghesi, plasmate per servire gli interessi dei grandi monopoli e della borghesia.

Questo non esclude, ovviamente, che in Europa esista uno scontro, in alcuni casi anche aspro, tra le borghesie nazionali dei diversi paesi e che questi confitti possano riflettersi anche all’interno dell’UE, ma ciò non basta a contraddire il ruolo complessivo svolto dall’Unione Europea che rafforza la tendenza imperialista dei singoli Stati. Nel processo di costruzione europeo alcune nazioni, quelle economicamente più forti, sono state avvantaggiate più di altre ma, nel complesso, la borghesia europea ha potuto godere di un libero mercato interno, di una forza maggiore nei confronti dei produttori esteri e di un generale abbattimento del costo del lavoro e delle tutele ad esso legate.

La visione di un’UE costruita per favorire i paesi del nord Europa a discapito dei PIGS è sbagliata e forviante poiché alimenta una lettura di scontro tra nazioni e mette in secondo piano i rapporti di classe.

Sconfiggere le ipotesi sovraniste

La battaglia contro le ipotesi nazionaliste non può essere condotta rinunciando a declinare una propria battaglia politica alle istituzioni europee, rifugiandosi dietro la pur necessaria lotta economica e rivendicativa. Puntare sulla ripresa del conflitto di classe in Europa non esaurisce i compiti di un’avanguardia rivoluzionaria perché, oltre ad essere un concetto fin troppo generico, non risolve il problema di collegare le battaglie rivendicative nei vari Paesi (con condizioni di conflitto sociale altamente ineguali) a una lotta politica comune. Dell’aspetto di coordinamento internazionale della questione ne parleremo più avanti, qui ci interessa sgombrare il campo da possibili fraintendimenti di chi vorrebbe far coincidere qualsiasi ipotesi di uscita dall’UE con le proposte nazionaliste.

Da quanto esposto fin ora è evidente che la nostra posizione nulla ha a che vedere con quella delle forze sovraniste dalle quali ci dividono in maniera inconciliabile l’analisi sulla natura dell’UE, le motivazioni materiali (di classe) della nostra contrapposizione e i fini. Come abbiamo analizzato in precedenti articoli [4] in Europa non esistono paesi colonia o semi-colonia ed anzi l’Italia è un paese centrale e pienamente imperialista. Per questo motivo non esiste nessun riscatto nazionale per cui lottare. La nostra opposizione non nasce da rivendicazioni nazionali ma dall’insanabile contrapposizione del proletariato con l’apparato borghese e le istituzioni che perpetuano il suo dominio di classe.

Al contrario la natura della contrapposizione delle forze sovraniste è tutta interna al sistema capitalistico ed è il riflesso della naturale tendenza alla concentrazione e alla centralizzazione del sistema economico che produce uno scontro verticale tra la piccola e media borghesia e i grandi gruppi nazionali e internazionali del capitale finanziario che sono in ultima analisi i massimi beneficiari dell’attuale sistema Europa.

Le proposte del campo sovranista vanno tutte nella direzione contraria a quella del progresso storico, chiedono uno Stato ipertrofico che intervenga per permettere alla piccola e media proprietà di sopravvivere nella giungla del libero mercato e salvare i piccoli e medi proprietari in quanto proprietari. Ma nessuna manovra protezionista può invertire i processi di concentrazione propri del capitalismo e contrastare la globalizzazione del mercato mondiale.

Per noi la lotta per l’uscita dall’UE è una componente fondamentale della lotta contro il sistema capitalistico e per la presa del potere da parte dei lavoratori e non può essere scissa da questo, ha come fine il superamento dell’UE e non la restaurazione di una condizione precedente. La campagna contro l’UE deve essere strettamente legata alla consapevolezza che solo attraverso la costituzione di un altro tipo di istituzioni, nazionali e internazionali, sarà possibile invertire completamente l’indirizzo delle politiche antipopolari. Questo significa che non può considerarsi attuabile nessuna alleanza, neanche temporanea, con le forze borghesi con l’obiettivo di un disimpegno dell’Italia dall’UE all’interno del regime capitalistico. Tale considerazione è tanto più vera nel contesto italiano in cui il movimento operaio è estremamente debole e non è in grado di sviluppare una propria proposta organica. Chi si illude che ci possa essere un terreno comune di lotta con le forze sovraniste travisa completamente quella che è la battaglia dei comunisti contro l’UE e presta il fianco ad operazioni che sono tutt’altro che favorevoli ai lavoratori, risultando complice del dilagare di posizioni nazionaliste e reazionarie.

Ogni ipotesi di alleanza sociale ha come presupposto sine qua non la presenza di un movimento operaio che sia in grado di tradurre le proprie necessità di classe in proposte politiche e riesca ad aggregare intorno ad esse anche gli scontenti delle classi intermedie. Per noi oggi non si tratta di attirare queste classi intermedie quanto di costruire un effettivo movimento dei lavoratori che declini a livello di classe la propria contrarietà all’UE.

La rottura in senso capitalista

Come dovrebbero, dunque, porsi i comunisti di fronte alla possibilità di un’uscita del proprio Paese dall’UE egemonizzata dalle forze borghesi e per gli interessi di una parte della borghesia nazionale? I comunisti dovrebbero appoggiare questa soluzione?

Il quesito è spinoso e non permette risposte assolute né in un senso né nell’altro. Bisogna premettere che, per quanto la tensione tra i Paesi europei sia cresciuta negli ultimi anni non è ancora arrivata al punto di controbilanciare gli interessi comuni e la grande borghesia italiana ha tutto l’interesse a mantenere in piedi l’impianto europeo.

Il malcontento antieuropeista in senso sovranista, così come possibili consultazioni referendarie sull’ipotesi di uscita dell’Italia, in questa fase, hanno l’unico e ricercato effetto di fungere da spauracchio da agitare in sede di contrattazione con gli altri Paesi dell’UE per strappare condizioni migliori all’interno del quadro europeo, come ad esempio condizionalità meno stringenti o maggiori finanziamenti. In questo contesto i comunisti hanno il dovere di denunciare la situazione e non diventarne complici.

Non è astrattamente impossibile, però, che ci si ritrovi di fronte ad uno scenario in cui una parte della borghesia italiana spinga per un reale uscita dell’Italia. In questo caso, una forza comunista non potrebbe tacere gli interessi delle diverse fazioni della borghesia che si celano dietro questa operazione senza alimentare aspettative errate da parte dei lavoratori (come fatto, giustamente, da molti partiti comunisti in Europa nel caso della Brexit). Un’uscita in senso capitalista, infatti, non cambierebbe il carattere borghese e antipopolare delle politiche nazionali tutt’al più produrrebbe un riallineamento dell’Italia nel panorama delle alleanze internazionali.

La valutazione definitiva deve essere presa con estrema laicità analizzando con massima attenzione la condizione reale che ha prodotto un’ipotesi del genere e tutti i possibili risultati e contraccolpi delle opzioni messe in campo. In questo caso gli effetti immediati per il proletariato non sono gli unici parametri da prendere in considerazione ma devono essere bilanciati con le prospettive future, con le condizioni future di sviluppo della lotta di classe in Italia e in Europa, con gli effetti generali sul quadro di alleanze europeo. Insomma, non ha molto senso perdersi in speculazioni premature. Più utile è domandarsi come lavorare nel contesto attuale.

Una battaglia internazionalista

Se il nostro obiettivo è ricostruire o almeno muoverci attivamente per la ricostruzione di un movimento di classe in Italia, è nostro compito svelare i legami che uniscono le istituzioni borghesi, le loro politiche e gli attacchi al mondo del lavoro e alle condizioni di vita delle classi popolari. Le lotte economiche e politiche devono essere integrate nella prospettiva di rottura con l’Unione Europea e con il capitale nella direzione della conquista del potere operaio. La lotta all’UE va declinata in diretta continuità a quella al potere borghese sotto ogni sua forma, anche nazionale per non alimentare false illusioni. Ma è essenziale che questa battaglia diventi parte integrante del movimento dei lavoratori, sviluppandosi in maniera autonoma e in contrapposizione alle proposte euroscettiche.

Il dibattito intorno all’UE e alla presenza dell’Italia in essa non è determinato dalle forze politiche ma è il prodotto delle contraddizioni generate dal sistema capitalistico e non può essere eluso. Evitare l’argomento per paura di generare confusione tra i lavoratori è il modo migliore per consegnare senza combattere larghe fasce del proletariato all’influenza dei differenti settori della borghesia in lotta.

Al contrario la contrapposizione all’UE, declinata da una prospettiva di classe, è una grande palestra per le lotte operaie. Le istituzioni europee rendono largamente visibile la natura antidemocratica della dittatura del capitale, l’influenza diretta degli interessi delle grandi imprese monopolistiche sulle decisioni dei legislatori, l’inconciliabile opposizione di interessi tra le masse popolari e i grandi gruppi finanziari. Sono l’evidenza più chiara di come le istituzioni borghesi siano per natura in opposizione agli interessi dei lavoratori e per questo motivo vadano sostituite con il potere operaio.

Dove, come in Grecia, esiste un partito comunista riconosciuto, che ha saputo declinare in senso di classe la parola d’ordine dell’uscita dall’UE, la battaglia contro di essa ha assunto un carattere fortemente popolare e i lavoratori più difficilmente cadono vittima degli inganni nazionalisti. I compagni greci dimostrano come si possa coerentemente avanzare la necessità della rottura con l’UE e con qualsiasi unione capitalista quale parte della lotta per il rovesciamento del potere dei monopoli.

Non è possibile che in ogni paese d’Europa maturi contemporaneamente la consapevolezza della necessità di tale rottura, a causa dello sviluppo ineguale del movimento dei lavoratori, ma la lotta proletaria più avanzata può essere d’esempio ai lavoratori di tutto il continente. Per questo motivo la sostituzione della parola d’ordine dell’uscita dall’UE con una più generica contrarietà alle istituzioni europee porta a indebolire la lotta reale contro l’Unione Europea, finendo per relegare nell’immobilismo le forze di classe. Non si tratta di una lotta nazionale, ma di una lotta che congiuntamente il proletariato deve condurre in ogni nazione, in base alle specifiche condizioni esistenti in ogni singolo Stato, e che deve vedere il coordinamento delle forze comuniste europee.

Redazione politica de L’Ordine Nuovo

Note:

[1] https://www.lordinenuovo.it/2020/08/08/collocazione-uscita-ue-nella-strategia-socialismo/

[2] https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/05/08/news/crolla-la-fiducia-degli-italiani-nell-europa-ma-i-giovani-non-vogliono-arrendersi-1.348255

[3] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Extra_EU-27_trade_in_goods_by_main_trading_partners,_EU-27,_2009_and_2019_FP2020.png

[4] https://www.lordinenuovo.it/2020/06/03/italia-paese-centrale-e-imperialista/

Fonte

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