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14/12/2020

Le stalle di Natale

Stop and go, continuo. Dopo aver trasformato quasi tutta l’Italia in “zona gialla”, per rispondere alle sollecitazioni delle categorie commerciali (quelle industriali hanno sempre avuto campo totalmente libero) e dei presidenti di Regione, ora il governo progetta di imitare Angela Merkel, ritrasformando tutta Italia in “zona rossa” per le sole feste di Natale.

Siccome sono dei vili, la scelta viene imputata all’“irresponsabilità della gente”, che si è precipitata a fare acquisti in vista delle feste, dopo aver varato un meccanismo premiale – il cashback – per quanti pagheranno la merce con bancomat o carta di credito.

È lo stesso meccanismo folle adottato all’inizio dell’estate – il “bonus vacanze”, per “salvare il settore turistico” – salvo poi additare chi s’era mosso in base a quell’incentivo, affollando le località balneari et similia.

La schizofrenia di governo e opposizione, che cambiano posizione a orario alterno, ha una spiegazione strategica e motivazioni opportunistiche.

Il dato sistemico è noto: le strutture sanitarie pubbliche, colpite da decenni di feroci tagli, vanno in affanno o collassano davanti al crescere dei contagiati sintomatici. Pronto soccorso, reparti Covid e terapie intensive hanno una capacità di intervento limitata (è relativamente semplice mettere dei letti in più, quasi impossibile trovare altri medici e infermieri specificamente preparati) proprio “grazie” ai tagli di spesa.

Dunque l’unico parametro effettivamente tenuto d’occhio dal governo e dai complici del Cts è il rischio di saturazione dei reparti, a partire dalle terapie intensive.

Per il resto, “contagiatevi pure fin quando la situazione non diventa grave”. Tanto, la colpa è “nostra”.

È lo stesso meccanismo bastardo adottato per mostrarsi green. Da un lato c’è un’offerta mostruosa di merci imballate con plastiche di ogni tipo (fino alle “mono-porzioni per single” vendute in tutti i supermercati), dall’altra si colpevolizzano i “singoli individui” per l’incapacità del sistema di smaltire – poi – in modo efficace quelle montagne di inquinanti messi in circolazione.

È chiaro che chi non fa raccolta differenziata, o scarica per strada rifiuti ingombranti, aumenta in qualche misura questa incapacità sistemica. Così come è chiaro che quanti si muovono a branco, magari senza mascherina né igienizzanti, aumentano la frequenza delle possibilità di contagio da Covid.

Ma questi “eccessi” non sono la causa fondamentale, né dell’inquinamento né dei contagi. Se tutti fossimo assolutamente irreprensibili, avremmo forse un 5-20% di disastri in meno, in entrambi i campi. Ma non avremmo risolto il problema. Se i mezzi pubblici sono pieni (perché pochi), se i luoghi di lavoro anche, c’è poco da “stare attenti ognun per sé”...

Un governo lo sa. O comunque dovrebbe saperlo.

Fin dai primi giorni andiamo dicendo – inascoltati, certo... – che l’unico modo di debellare il virus è fare contemporaneamente un lockdown vero, stile “cinese”, e uno screening di massa, con tamponi molecolari, su tutta la popolazione.

Sappiamo benissimo che la prima cosa non è mai stata fatta per soddisfare i diktat di Confindustria (a marzo, in Val Seriana e altrove, una marea di aziende cambiava il proprio “codice Ateco” per autodichiararsi “produzione essenziale”, anche se magari fabbrica armi o tubi per trivellazioni petrolifere in Alaska).

E sappiamo anche benissimo che uno screening su tutta la popolazione richiede una preparazione logistica colossale, da tempi di guerra, per reperire il materiale e il personale necessario.

Ma vediamo, come tutti, che non è stato fatta né una cosa né l’altra. Qualche chiusura, un po’ di tamponi e poi speraindio...

Per dire. A Qingbao, Cina, per una decina di positivi scoperti in ospedale, hanno bloccato la città e fatto tamponi a tutti – 9 milioni di abitanti! – in tre giorni. Tre giorni chiusi, poi si torna alla normalità... Idem nell’area di Kashgar, ai confini del deserto del Takamaklan. Qui, quando si esagera, poco più di 200.000 al giorno. Si vede che non interessa più di tanto...

Insomma, la situazione attuale, dopo 10 mesi, è il risultato di una scelta criminale: convivere con il virus. Questa scelta ha prodotto quasi due milioni di contagiati, oltre 65mila morti, centinaia di migliaia di “feriti” nei polmoni, una crisi economica molto più vasta di quella che si voleva evitare. E altri ne produrrà nei prossimi mesi.

Si dice: “ma adesso arrivano i vaccini”. Ne siamo ovviamente contenti, non si scherza sulla salute pubblica. Ma chiunque ne sappia qualcosa – ogni giorno, governo compreso – ci spiega che “ci vorrà tempo”, almeno altri nove mesi (più o meno quelli trascorsi finora...).

Non basta. Non sappiamo – non lo sanno nemmeno i ricercatori che li hanno prodotti – se quei vaccini, oltre a proteggere il singolo, impediscono anche la diffusione del contagio verso i non vaccinati. Né la durata della “copertura”.

In ogni caso, insomma, dovremo tutti circolare seguendo le stesse regole d’attenzione seguite in questo momento (mascherine, lavaggio mani, distanza, numeri limitati, ecc).

Dunque la “zona rossa natalizia” sarebbe una cosa sacrosanta, e anche “intelligente” (il periodo festivo prolungato riduce il danno economico complessivo delle chiusure, tranne ovviamente che per il commercio-ristorazione), se venisse anche accompagnata dall’organizzazione di uno screeening di massa.

Cosa di cui non si parla affatto. Anzi, come per tutti i festivi e prefestivi, si prevedono decine di migliaia di tamponi in meno.

Dunque la previsione è facile e tragica. Anche se dovessimo restare tutti effettivamente chiusi in casa fino alla Befana, subito dopo – con l’ennesima “riapertura” – ci ritroveremo nel giro di pochi giorni esattamente nella stessa situazione, ad affrontare la terza ondata.

Solo molto più incazzati, impoveriti, stufi di fare dentro e fuori dalle stalle, come bestie in mano a un allevatore avido ma cretino; e alla fine indisponibili a seguire le raccomandazioni, anche quelle più logiche e salvavita.

Un bel risultato, non c’è che dire. E di cui dovremo ringraziare non solo i Conte, Salvini, Speranza, Fontana, Zaia (a proposito: funziona il tuo “modello”, vero?), Di Maio, Bonomi, Rocca family & altri “imprenditori”. Ma anche quegli scienziati che si sono prostituiti “mediando” tra conoscenza scientifica ed “esigenze produttive”.

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