Il “fascino” di Draghi appare irresistibile in ogni ambito, anche in quelli apparentemente più impensabili.
Non è un mistero che le battaglie No Euro e contro i diktat di Bruxelles, nelle file del M5S, siano ormai uno sfumatissimo ricordo del pur recente passato. Dall’euroscetticismo dichiarato si è passati all’europeismo e all’euroatlantismo conclamato da Di Maio, ministri, sottosegretari e segretari dei sottosegretari pentastellati. Qui il consenso al governo Draghi, come già raccontato sul nostro giornale, sembra incontrare limitate recalcitranze tra deputati e senatori.
Ha sorpreso un po’ di più (ma sempre relativamente) il peana verso Draghi di un No Euro di antica data, come il professore e deputato Alberto Bagnai, cresciuto a sinistra ma in forza alla Lega. In una intervista a La Stampa Bagnai, per creare una connessione sentimentale con il futuro premier, si affida più al suo curriculum professionale che alle posizioni politiche.
“In Europa dialoghiamo con tutti e siamo abituati a cercare soluzioni concrete, confrontandoci sui problemi concreti. L’unico imbarazzo in certe sedi lo provo nel confrontarmi con i dilettanti. Io sono economista come Draghi, lui con un’esperienza istituzionale e di mercato infinitamente più elevata, ma veniamo dalla stessa scuola e abbiamo una lingua comune” – afferma Bagnai – “È imbarazzante trovarsi a parlare con persone che parlano in termini di fede o di sogno. Sinceramente, non sono Freud: il ‘sogno europeo’ non so interpretarlo. Quindi nessun imbarazzo, Draghi saprà come gestire i soldi del Recovery Fund“.
E poi aggiunge una apertura di credito politico che allinea, forse, il più brillante degli euroscettici della Lega, alle crescenti disponibilità leghiste a essere della partita nel governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi.
“Con Draghi è possibile dialogare – sottolinea Bagnai – continuo a pensare che nel 2018 fosse improprio da parte sua sollevare allarmi sulla tenuta del sistema bancario italiano, tanto più che questo era sotto la sua vigilanza. Ma sulle sue scelte e soprattutto sulle sue analisi di politica economica, a partire dal famoso discorso di Jackson Hole nel 2014, non ho mai trovato nulla da obiettare“.
Ancora più allineato appare Claudio Borghi l’altro economista No Euro della Lega. “Draghi? È un fuoriclasse”, ha commentato il deputato leghista sul presidente del Consiglio incaricato: “Voterò la posizione che indicherà il mio partito”.
Più complicato appare il ragionamento di Stefano Fassina che in questi anni – in solitudine dentro Sinistra Italiana – è stato un po’ il rappresentante del “sovranismo di sinistra” dentro e fuori il Parlamento. Fassina, anche se con cautela, apre sui consensi al governo Draghi: “È un grave errore politico puntare a un “Governo Ursula”, ossia fare del Governo del Presidente, affidato ad una personalità super partes come Mario Draghi, un governo di una parte. L’obiettivo deve essere, come richiede la natura del mandato, un governo di tutti, compresa Lega e, se fosse possibile, anche FdI” ha detto al Tg2.
E sulla eventuale fiducia, Fassina in un’altra intervista precisa che l’eventuale si a Draghi dovrebbe avere una condizione: “Senza una scadenza elettorale definita, per quanto mi riguarda, non ci sono le condizioni per votare la fiducia al governo Draghi. A tal proposito, auspico che il Movimento Cinque Stelle si ricordi del suo mandato elettorale”.
Fassina è anche tra i pochi a spezzare una lancia a favore del dimissionato governo Conte: “con tutti i limiti di questo governo, bisogna riconoscere che aveva posto attenzione alle fasce deboli come mai era accaduto nell’ultimo periodo. Per carità: Conte non è Che Guevara” – precisa Fassina – “né ha fatto la rivoluzione, ma nessuno può negare la forza di alcuni provvedimenti adottati”.
Ma sulla questione politica di fondo, se cioè il governo del “commissario Draghi” sia o no l’ennesima ipoteca del vincolo esterno europeo sulle sorti del nostro paese, è vero che i giornalisti a Fassina non hanno posto neanche la domanda, è anche vero che su questo tema nelle sue argomentazioni non compare neanche una parola.
Appare paradossale che dopo anni di dibattiti infuocati e polemiche furiose sull’eventuale uscita dall’euro e dalla Ue, il sovranismo di destra e di sinistra sembra diventato totalmente subordinato o silente di fronte alla nomina dall’alto di un commissario europeo alla guida del paese. La cosa però non dovrebbe sorprendere.
Era il febbraio 2019 quando Draghi, in occasione della laurea ad honorem all’università di Bologna (con tanto di contestazioni da parte degli studenti, ndr), prese di petto proprio il sovranismo per riaffermare la centralità della moneta unica e della centralizzazione europea: “Porsi al di fuori dell’Ue può sì condurre a maggior indipendenza nelle politiche economiche, ma non necessariamente a una maggiore sovranità. Lo stesso argomento vale per l’appartenenza alla moneta unica“, affermò Draghi nella sua lectio magistralis a Bologna “la maggior parte dei paesi, da soli, non potrebbero beneficiare della fatturazione delle loro importazioni nella loro valuta nazionale, il che esaspererebbe gli effetti inflazionistici nel caso di svalutazioni“.
Infine, secondo Draghi “Questa tensione tra i benefici dell’integrazione e i costi associati con la perdita di sovranità nazionale – aveva proseguito l’allora presidente della Bce – è per molti aspetti e specialmente nel caso dei paesi europei, solo apparente. In realtà in molte aree l’Unione europea restituisce ai suoi paesi la sovranità nazionale che avrebbero oggi altrimenti perso“.
Inutile chiedere a Draghi esempi di questo secondo scenario, mentre la vicissitudini della Grecia e degli altri paesi Pigs smentiscono in modo contundente le sue affermazioni. Così come dalle sue argomentazioni – e da quelle dei sovranisti di destra – mancano sistematicamente ogni riferimento alle conseguenze prodotte dai processi di centralizzazione europea sul lavoro, i lavoratori, i salari e il welfare.
In questi anni abbiamo denunciato spesso come quella tra europeisti liberali e sovranisti di destra fosse una contrapposizione del tutto ingannevole, erano e restano due facce del partito unico degli affari e del capitalismo.
Con Draghi al governo la quadratura di questo cerchio e la falsità di tale contrapposizione diventa palese agli occhi di tutti.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento