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05/02/2021

“In India la Storia è in marcia”

Le nostre menti stanno ancora correndo avanti e indietro, desiderando un ritorno alla “normalità”, cercando di ricucire il futuro al passato e rifiutando di accogliere la rottura. Ma la rottura esiste. E nel mezzo di questa terribile disperazione, ci offre la possibilità di ripensare alla macchina del destino che abbiamo costruito per noi stessi.

Niente può essere peggio di un ritorno alla normalità. Storicamente, le pandemie hanno forzato l’umanità a rompere col passato e immaginare il suo mondo di nuovo. Questa non è diversa.

È un portale, un cancello fra un mondo e il prossimo.

Possiamo decidere di passarci attraverso, portando con noi la carcassa dei nostri pregiudizi e del nostro odio, la nostra avarizia, i nostri dati bancari e le nostre idee morte, i nostri fiumi morti e i cieli inquinati. O possiamo attraversarlo leggermente, con un piccolo bagaglio, pronti ad immaginare un nuovo mondo. E pronti a lottare per questo!

La Pandemia è un portale, non si torna alla “normalità”

Arundhati Roy

L’india ha quasi un miliardo e quattrocento milioni di abitanti (come la Cina), un sesto della popolazione mondiale ed è una delle maggiori economie globali.

È uno Stato, o meglio un’Unione di Stati, dove poco più di un centinaio di famiglie controlla l’economia ed in cui la polarizzazione sociale è progredita durante la pandemia. Una tendenza a livello mondiale ben fotografata dal rapporto Oxfam intitolato “Il virus della diseguaglianza”.

Mentre centinaia di milioni di persone hanno perso il lavoro durante il lockdown, i miliardari indiani hanno accresciuto la loro ricchezza del 35%. I cento più ricchi della corporate class hanno guadagnato abbastanza da distribuire, se volessero, circa 100.000 rupie – 1.340 euro – ad ognuno dei 138 milioni di indiani più poveri!

L’India esce con le ossa rotte dalla sfida pandemica che ne ha mostrato le fragilità, ogni paragone con il “vicino” cinese è impietoso a riguardo: più di 150 mila decessi contro meno di 5 mila della Repubblica Popolare.

La politica neo-liberista che i dirigenti politici indiani hanno sviluppato negli ultimi trent’anni ha portato ad una simbiosi mortale tra il privilegio di casta, il dominio politico e la supremazia economica. O, come dice Arundhati Roy, nell’intervento che qui abbiamo tradotto: “Casta e capitalismo si sono fusi per creare un tutt’uno particolarmente letale e peculiarmente indiano”.

Un progetto politico, quello delle élite indiane, che ha coniugato il neo-liberismo, il nazionalismo indù ed una sempre più marcata involuzione autoritaria dello Stato, verso una forma di fascismo indiano promosso dal suo capitale monopolistico con il consenso dell’Occidente.

Il trattamento ricevuto, negli accampamenti ai bordi della capitale, dai circa 250 mila contadini che da fine novembre la stanno pacificamente “assediando”, e che lottano contro un pacchetto legislativo teso a distruggere gli elementi di regolamentazione statale della produzione e distribuzione agricola, per spianare definitivamente la strada all’agrobusiness, dà la cifra di come quella che si vanta essere “la più grande democrazia al mondo” stia da tempo scivolando nell’abisso.

Solo sul piano della censura, il governo ha reiterato l’ordine a Twitter di sospendere l’accesso in India a circa duecento account collegati alla lotta degli agricoltori – dopo una prima sospensione avvenuta questo lunedì ed un successivo sblocco – minacciando ritorsioni penali e monetarie previste dalla legge indiana Under Section 69A.

Ma la censura mediatica è solo un aspetto della lotta contro i contadini mobilitati, fatta di repressione poliziesca, agenti provocatori, squadracce, militarizzazione.

“È come osservare un’automobile che viene smontata pezzo per pezzo, a cui viene distrutto il motore, rimosse le ruote, strappati i rivestimenti, vandalizzato lo scheletro lasciato al bordo della strada, mentre le altre macchine (...) sfrecciano lontano”, afferma Roy, che descrive quest’ennesima tappa dell’accumulazione attraverso l’espropriazione praticata ai danni dei contadini, cioè circa la metà della popolazione.

E proprio nei giorni successivi alla storica marcia del 26 gennaio scorso, la situazione è andata peggiorando, facendo assumere a questo conflitto sociale il profilo di una vera e propria guerra contro una porzione importante della popolazione. La quale viene trattata alla stregua di nemico interno, perpetrando il modus operandi contro chi si è mobilitato, negli anni scorsi, in opposizione ad una legge discriminatoria come il Citizenship Amendment Act (CAA), ora applicato all’intera popolazione del Kashmir da un anno e mezzo circa.

La stigmatizzazione negativa a tutto tondo dei propri oppositori è la tecnica collaudata dei media in mano ai grandi interessi economici: i contadini che protestano oggi – di cui una buona parte Sikh – sono stati dipinti come tutti “separatisti” del movimento Khalistan, così come “tutto ciò che ha a che fare con i mussulmani è di default “jihadismo” (usato incorrettamente come eufemismo di terrorismo) e tutto ciò che contraddice questo sono solo dettagli”, afferma la Roy.

Uno degli strumenti del dominio di classe è la supremazia razziale che esclude una buona parte della popolazione che prende la forma della discriminazione religiosa: “Il rapido diminuire di Hindu ha contribuito all’ansia della casta privilegiata, preoccupata per la demografia e galvanizzata dalle politiche di ciò che oggi è chiamato Hindutva. Oggi, tuttavia, con il potere delle RSS, le cose si sono invertite.”

L’estrema destra induista – le RSS – è da tempo uno strumento in mano alle élites al potere, che ne ha di fatto sposato la Weltanschauung e che attinge dalle sue squadracce per pogrom ed assalti anti-popolari, in piena impunità con la complicità delle forze dell’ordine.

Un nemico di classe che non vuole perdere la propria rendita di posizione, disposto ad usare tutto l’armamentario necessario, è quello che stanno affrontando le organizzazioni sindacali dei contadini indiani e le forze comuniste che le sostengono, in una battaglia decisiva in un Paese che è uno dei perni della strategia di contenimento della Cina da parte di USA ed UE.

Abbiamo quindi ritenuto utile offrire un quadro generale attraverso l’intervento che l’attivista e scrittrice indiana ha fatto durante l’Elgar Parishad di quest’anno.

Questo è un importante appuntamento tenutosi la scorsa domenica, organizzato per la prima volta nel 2018 da una coalizione di circa 250 gruppi “anti-casta” ed organizzazioni che si battono per i diritti umani, quest’anno oggettodedicato alla militarizzazione e alla repressione.

La scrittrice e attivista indiana, nel finale della sua esposizione, ha ricordato Rohit Vermula, studente universitario suicidatosi nel gennaio 2016, a causa delle discriminazioni subite come membro di una casta “inferiore”, che accese le proteste studentesche, un “punto di svolta” nell’India di Modi.

Le parole della Roy sono tutt’altro che un lamento vittimistico ma un invito alla lotta: “contro il Brahamanismo, contro il Capitalismo, contro l’Islamofobia e contro il Patriarcato. Il Patriarcato, il fondamento di tutto questo – perché se gli uomini non controllano o non possono controllare le donne, allora non controllano più nulla”.

Buona Lettura.

*****

Arundhati Roy: “la battaglia per l’amore deve essere intrapresa in modo militante e sarà meravigliosamente vinta”

Ringrazio gli organizzatori dell’Elgar Parishad 2021 per avermi invitato a parlare in questo incontro per ricordare quello che sarebbe stato il trentaduesimo compleanno di Rohith Vemula e l’anniversario della vittoria nella battaglia di Bhima Koregaon nel 1818. Non lontano da qui, le truppe mahar combattendo nell’esercito britannico sconfiggevano il re Peshwa Bajirao II sotto cui i mahar e altre caste dalit furono perseguitate e ritualmente degradate in modi indescrivibili.

Attraverso questa piattaforma lasciatemi ricollegarmi agli altri oratori nell’esprimere la mia solidarietà con la protesta degli agricoltori che chiede l’immediata abrogazione delle tre leggi sull’agricoltura che sono calate sulla testa di milioni di agricoltori e lavoratori delle campagne e li ha fatti scendere in piazza. Siamo qui per esprimere il nostro dolore e la nostra rabbia per tutti quelli che sono morti durante le proteste.

La situazione ai confini di Delhi dove i contadini si sono pacificamente accampati per due mesi sta diventando tesa e pericolosa. Ogni possibile tafferuglio e provocazione è stato usato per dividere e gettare discredito sul movimento. Ora, più che mai, dobbiamo sostenere gli agricoltori.

Noi siamo qui anche per chiedere la liberazione di dozzine di prigionieri politici, inclusi coloro che sono conosciuti come i sedici di Bhima Koregaon – imprigionati con accuse ridicole grazie a draconiane misure anti-terroristiche.

Molti di loro non sono solo compagni ma amici, con i quali ho riso, camminato e condiviso il pane. Nessuno, neppure i loro aguzzini, credono probabilmente che loro abbiano commesso i crimini farsa di cui sono stati accusati, come pianificare l’assassinio del Primo Ministro o di progettare omicidi.

Tutti sanno che sono in prigione per la loro onestà intellettuale e il loro coraggio morale – cose che sono viste da questo regime come minacce reali. Per fingere delle prove inesistenti, i documenti dell’accusa contro alcuni di loro contengono decine di migliaia di pagine. Ci vorrebbero molti anni perché un giudice potesse anche solo leggerli tutti, senza contare il fatto di decidere su quegli atti.

È difficile difendersi da accuse false come lo è svegliare una persona che finge di dormire. In India abbiamo imparato che fare affidamento sulle soluzioni legali è un proposito rischioso. In ogni caso dove e quando le Corti hanno messo i bastoni fra le ruote al fascismo?

Nel nostro Paese le leggi sono selettivamente applicate a seconda della tua classe sociale, della tua casta, etnia, religione, genere e credo politico. Così mentre poeti e preti, studenti, attivisti, insegnanti e avvocati sono in prigione, assassini di massa, serial killer, folle di linciatori alla luce del sole, giudici disonorevoli, velenosi presentatori tv sono ricompensati ampiamente e possono aspirare a posizioni elevate. Addirittura quelle più elevate.

Nessuno dotato della minima intelligenza può non scorgere lo schema di come il congresso Bhima Koregaon nel 2018, le proteste del 2020 contro la CAA e ora le proteste dei contadini sono sottoposte a discredito e sabotate da agenti provocatori nello stesso esatto modo. L’immunità di cui godono parla chiaro circa il supporto che gli riserva l’attuale regime.

Potrei mostrarvi uno schema che si ripete da decenni e porta queste persone al potere. Mentre si avvicinano le elezioni statali, noi aspettiamo con terrore cosa è tenuto in serbo per le persone del Bengala occidentale.

Durante gli ultimi due anni l’Elgar Parishad sia come evento sia come organizzazione è stata diffamata e demonizzata senza sosta dai media. Elgar Parishad: a troppe persone normali queste due parole evocano una oscura cabala di terroristi radicali, jihadisti, naxaliti urbani, pantere dalit, che congiurano per distruggere l’India.

In questo clima di insulti, minacce, terrore e ansia, anche solo l’aver organizzato questo incontro è in se stesso un atto di coraggio e sfida che merita di essere onorato. È necessario che le persone fra noi qui sul palco parlino il più sinceramente possibile.

All’incirca tre settimane fa, il 6 gennaio, mentre guardavamo una folla stravagante assaltare il Campidoglio degli USA con bandiere confederate, armi, forche e crocifissi, indossando pellicce e corna – il pensiero che mi ha attraversato la mente è stato “Mamma mia, nel nostro Paese noi siamo già governati dall’equivalente indiano di queste persone. Hanno preso il nostro parlamento. Loro hanno vinto”.

Le nostre istituzioni sono governate da loro. I nostri leader si mostrano a noi con un diverso completo di pelliccia e corna ogni giorno. Il nostro elisir preferito è l’urina di vacca. Loro sono ben messi nella loro missione di distruggere ogni istituzione democratica di questo Paese.

Gli USA possono essere riusciti ad aggrapparsi sull’orlo del baratro a qualcosa simile a una normalità imperialista. Ma noi in India siamo trascinati indietro di secoli, in un passato da cui avevamo provato così tanto a scappare.

Non siamo noi, non è questo incontro dell’Elgar Parished che è radicale o estremo. Non siamo noi che agiamo illegalmente o incostituzionalmente, non siamo noi che abbiamo guardato dall’altra parte o incoraggiato apertamente dei massacri in cui i mussulmani vengono sterminati in migliaia. Non siamo noi che guardiamo benignamente mentre i dalit vengono fustigati nelle strade delle città. Non siamo noi che mettiamo le persone le une contro le altre, governando con odio e separatismo.

Questo è fatto da coloro che noi abbiamo eletto come nostri governanti grazie alla loro macchina della propaganda che sono i media.

Sono passati duecento anni dalla battaglia di Bhima Koregaon, gli inglesi se ne sono andati, ma una forma di colonialismo, che veniva prima di loro, permane. I peshwas sono finiti, ma il brahmanismo peshwai no. Non devo specificarlo per questa platea, ma lo faccio per coloro che potrebbero non saperlo – è il termine usato storicamente dal movimento anticaste per i jaati-vyavastha.

Il sistema delle caste. Non si riferisce solo ai bramini. Il brahmanismo è stato ristrutturato ed è riemerso con un vocabolario che suona democratico e moderno e un manuale per un sistema di gestione delle caste e un programma (non nuovo, ma revisionato) che ha creato una minaccia esistenziale ai partiti diretti dai dalit-bahujan che una volta davano qualche speranza.

Ora il mezzo scelto dai bramini del ventunesimo secolo è l’estrema destra, RSS controllate dai bramini, che dopo un secolo di lavoro ininterrotto hanno attraverso il loro membro più noto, Narendra Modi, preso il potere a Dehli.

La casta dei miliardari

In molti, incluso Karl Marx stesso, credevano che il capitalismo moderno avrebbe cancellato o almeno superato le caste in India. Lo ha fatto? Nel mondo il capitalismo ha assicurato che la ricchezza sia concentrata sempre di più nelle mani di poche persone. In India le 63 persone più ricche posseggono denaro che supera il bilancio indiano per il 2018-2019 per un miliardo e trecento milioni di persone.

Un recente studio della Oxfam ha rilevato che in India durante la pandemia da coronavirus, mentre centinaia di milioni di persone hanno perso il lavoro durante il lockdown – 170 mila persone hanno perso il lavoro ogni ora da aprile 2020 – i miliardari indiani hanno accresciuto la loro ricchezza del 35%. I cento più ricchi fra loro – chiamiamola la classe delle società – ha guadagnato abbastanza da distribuire, se volessero, circa 100.000 rupie (circa 1340 euro, NdC) ad ognuno dei 138 milioni di indiani più poveri.

Un giornale mainstream ha sottolineato la notizia così: “il covid ha approfondito le inuguaglianze: ricchezza, educazione, genere”. La parola mancante nell’articolo e nel report è, ovviamente, casta.

La domanda è questa: questa classe di imprese, che possiede porti, miniere, impianti per l’estrazione di gas, raffinerie, telecomunicazioni, traffico dati ad alta velocità e reti telefoniche, università, impianti petrolchimici, hotel, ospedali, supermercati e canali televisivi via cavo, questa classe che virtualmente possiede e controlla l’India, ha una casta?

Per la maggior parte sì. Molte delle più grandi imprese indiane sono di proprietà di una famiglia. Per nominarne alcune delle più grandi: Reliance Industries Ltd (Mukesh Ambani), Adani Group (Gautam Adani), Arcelor Mittal (Lakshmi Mittal), O.P.Jindal Group (Savitri Devi Jindal), Birla Group (K.M. Birla). Chiamano loro stessi vaishyas, la classe dei commercianti. Stanno solo facendo ciò che gli è ordinato di fare da dio: soldi.

Studi empirici sulla proprietà delle società di comunicazione e la casta degli editorialisti, dei colonnisti e giornalisti anziani rivela la morsa delle caste privilegiate, la maggior parte bramini e bania, nel definire e diffondere le notizie, sia reali sia fake. I dalit, gli adivasis e sempre di più i mussulmani sono del tutto assenti da questo panorama.

La situazione non è diversa nel settore giudiziario, il comparto più alto dei funzionari della pubblica amministrazione, i servizi esteri, il mondo dei commercialisti, i posti migliori nell’educazione, nella sanità, nell’editoria o in ogni sfera del governo. Fra di loro la popolazione di bramini e vaishyas è probabilmente meno del dieci percento della popolazione. Casta e capitalismo si sono fusi per creare un tutt’uno particolarmente letale e peculiarmente indiano.

Il primo ministro Modi, così instancabile nei suoi attacchi alle politiche dinastiche del partito del Congresso, si dedica completamente a supportare e arricchire queste dinastie societarie. La portantina in cui è esposto, bene o male, è portata sulle spalle di società di comunicazione di proprietà di famiglie di dinastia vaishya e bramina. Per citarne solo alcuni: Times of India, Hindustan Times, Indian Express, The Hindu, India Today, Dainik Bhaskar, Dainik Jagran.

Reliance Industries ha una quota azionaria che le permette di controllare 27 canali televisivi. Ho usato il verbo “esposto” perché Modi non ha mai parlato con la stampa in quasi sette anni da primo ministro. Mai una volta.

Mentre i nostri dati sono rubati e le nostre iridi scansionate, è stato messo su un sistema opaco che consente al mondo delle società di ripagare l’inflessibile lealtà che è stata mostrata loro. Nel 2018 è stato introdotto uno schema di vincoli elettorali che permette donazioni anonime ai partiti politici. Quindi noi ora abbiamo, un vero e propria conduttura, istituzionalizzata, chiusa ermeticamente, che fa circolare denaro e potere fra le società e l’élite della politica. Non ci sono dubbi che il BJP è il partito più ricco al mondo.

Nessun dubbio quindi se nel frattempo questa piccola élite di casta e classe consolida i suoi possedimenti nel paese nel nome del popolo, mentre nel nome del nazionalismo indù, si è iniziato a minacciare le persone, inclusi i loro elettori, come forze nemiche, di essere controllate, manipolate, prese alla sprovvista, attaccate da invisibili e comandate con il pugno di ferro. Noi siamo diventati una nazione di annunci di lockdown e ordinanze illegali.

La demonetizzazione ha rotto la schiena all’economia, durante la notte.

L’abrogazione dell’art. 370 nel Jammu e in Kashmir ha portato sette milioni di persone ad essere messe in lockdown improvvisamente per mesi sotto un assedio militare e digitale – un crimine contro l’umanità perpetrato nel nostro nome – e messo in scena per dimostrarlo al mondo. Un anno dopo, un insolente e testardo popolo continua la sua lotta per la liberà anche se ogni struttura collettiva del Kashmir è stata spezzata, decreto ufficiale per decreto ufficiale.

Il Citizenship Amendment Act palesemente anti-mussulmano e il National Register of Citizens hanno portato a mesi di proteste guidate dalle donne mussulmane. È finita con un massacro anti-mussumano nel nord est di Delhi, incendiato dai vigilantes e supervisionato dalla polizia, per il quale sono ritenuti responsabili i mussulmani. Centinaia di giovani mussulmani, studenti e attivisti sono in prigione, inclusi Umer Khalid, Khalid Saifi, Sharjeel Imam, Meran Haider, Natasha Narwal e Devangana Kalita.

Le proteste sono dipinte come un complotto jihadista islamista. Le donne che hanno guidato l’iconico sit-in Shaheen Bagh, la spina dorsale dei sollevamenti in tutto il paese, sono, ci hanno raccontato, usate come “copertura di genere”, e il pubblico che invocava la Costituzione, cosa successa ad ogni protesta, è stato relegato a “copertura secolare”.

L’interferenza è che tutto ciò che ha a che fare con i mussulmani è di default “jihadismo” (usato incorrettamente come eufemismo di terrorismo) e tutto ciò che contraddice questo sono solo dettagli. Il poliziotto che ha obbligato dei mussulmani gravemente feriti a cantare l’inno nazionale, anche se giacevano ammucchiati l’uno all’altro per la strada, non è stato identificato, e lasciato senza accuse. Uno dei feriti successivamente è morto perché un patriottico manganello della polizia è stato schiacciato sulla sua gola. Questo mese il ministro degli interni ha ringraziato la polizia di Delhi per come ha gestito le “rivolte”.

Oggi, un anno dopo il massacro, mentre una comunità perseguitata si risolleva, il Bajrang Dal e il VHP annunciano il Rath Yatras e parate motociclistiche come raccolta fondi per Ram Mandir presso Ayodhia, in quegli stessi posti dove ebbe luogo il pogrom.

Inoltre, abbiamo avuto il lockdown improvviso per un miliardo e trecento milioni di persone in isolamento con un preavviso di quattro giorni. Milioni di lavoratori delle città costretti a camminare per migliaia di chilometri per tornare a casa, mentre venivano puniti e colpiti come criminali.

Quando la pandemia raggiungeva il suo picco, in risposta ai cambiamenti sullo statuto dello Stato di Jammu-Kashmire, la Cina occupò diverse zone di territorio indiano a Ladakh.

Il nostro sfortunato governo è stato costretto a far finta che non fosse accaduto. Che ci sia o no una guerra, la nostra crescita economica negativa sosterrà un’emorragia di denaro per mantenere migliaia di truppe equipaggiate e sempre pronte al conflitto. A quelle temperature glaciali, molti soldati moriranno solo per il clima.

In cima alla lista delle atrocità commesse ora abbiamo tre contratti della filiera Agricola che lasceranno l’agricoltura indiana nelle mani delle Corporazioni e rifiuterà vistosamente i ricorsi degli agricoltori, fregandosene dei loro diritti costituzionali.

È come osservare un’automobile che viene smontata pezzo per pezzo, a cui viene distrutto il motore, rimosse le ruote, strappati i rivestimenti, vandalizzato lo scheletro lasciato al bordo della strada, mentre le altre macchine, guidate da persone che non indossano pellicce e corna, sfrecciano lontano.

Rabbia e rivolte

Ecco perché abbiamo disperatamente bisogno di questo appuntamento che è un’espressione collettiva, coordinata, sconvolgente della nostra rabbia contro il Brahamanismo, contro il Capitalismo, contro l’Islamofobia e contro il Patriarcato. Il Patriarcato, il fondamento di tutto questo, perché se gli uomini non controllano o non possono controllare le donne, allora non controllano più nulla.

Mentre la pandemia ci colpisce, mentre gli agricoltori sono per strada, gli Stati, governati da BJP ricorrono a ordinanze contro le conversioni di religione. Voglio soffermarmi su questo punto, perché si tratta di un compendio di informazioni utili a comprendere le ansie del regime riguardo alla casta, la mascolinità, riguardo a Musulmani e Cristiani, riguardo all’amore, le donne, la demografia e la storia.

La proibizione dell’UP nota come Proibizione sulla Conversione Illegale – ordinanza del 2020 – chiamata dai più ordinanza contro la “Love Jehad”, è in vigore da poco più di un mese.

Eppure abbiamo già visto matrimoni annullati, famiglie che devono ora difendersi dalle cause legali, decine di giovani musulmani in prigione. Ora, oltre a essere linciati per della carne che non avevano mangiato, per delle vacche che non avevano ucciso, crimini che non avevano commesso, oltre a essere incarcerati per battute che non avevano fatto (penso al caso del giovane attore Munawer Faruqui), i musulmani possono ora essere imprigionati per essersi innamorati e poi sposati.

Nella lettura di questa ordinanza, vorrei porre alcune domande fondamentali, anzitutto come definite la “religione”? Davvero chi ha persuaso un uomo di fede a diventare ateo può essere perseguibile per legge?

L’ordinanza UP del 2020 interviene “per proibire conversioni illegali da una religione all’altra altra verso una falsa rappresentazione, la forza, la manipolazione, la coercizione, la fascinazione, o qualsiasi altro mezzo fraudolento o attraverso il matrimonio...”.

La definizione di fascinazione include doni, gratificazioni, l’educazione libera nelle scuole e la promessa di uno stile di vita migliore (cosa che descrive duramente le compravendite abituali in quasi ogni matrimonio in India).

L’imputato (la persona che ha indotto la conversione) va incontro a pene detentive da uno a cinque anni. E gli effetti di questo reato possono estendersi a qualsiasi membro della famiglia, anche i parenti più lontani. L’onere delle prove è a carico dell’accusato. La “vittima” può essere risarcita sino a 500,000 rupie (quasi 5.700 euro, NdC) secondo il giudizio della Corte, a spese dell’imputato. Potete solo immaginare le infinite possibilità di estorsione e ricatto che ne possono derivare.

E ora passiamo alla parte migliore: se la persona convertita è un minore o una donna o appartiene a una casta che gode dello statuto di “Scheduled Caste” o “Scheduled Tribe”, la punizione per il “convertitore” è doppia: dai due ai dieci anni di carcere. In altre parole questa ordinanza accorda alle donne, agli Adivasis, ai Dalits lo stesso statuto dei minori. Questo ci rende pari a dei bambini: non siamo considerate adulte responsabili delle nostre azioni. Agli occhi del governo UP, solo la casta privilegiata dei maschi Hindu è davvero valida.

Non ci stupiamo allora se il presidente del collegio di giustizia indiano si chiede perché le donne (che sono molto più che la colonna vertebrale dell’agricoltura indiana) siano state “portate” alle proteste degli agricoltori.

E il governo di Madhya Pradesh in quest’ottica ha proposto che le donne lavoratrici che non vivono con le loro famiglie siano registrate dalla polizia e monitorate per la loro sicurezza.

Se Madre Teresa fosse viva, sarebbe sicuramente in prigione a causa di questa Ordinanza. Penso che le darebbero dieci anni e un’intera vita di debiti per tutte le persone che ha convertito al cristianesimo. Questa potrebbe essere la sorte di ogni prete cristiano in India.

Ancora, cosa potremo dire alla persona che disse:

“Poiché abbiamo la sfortuna di chiamarci Hindu siamo trattati così. Se fossimo membri di un’altra fede, nessuno oserebbe trattarci in questo modo. Scegliete qualsiasi religione vi dia uguaglianza di trattamento e condizione. Dovremmo trovare una soluzione a tutti i nostri errori, ora”.

Queste erano le parole, molti di voi lo sapranno, di Babashaeb Ambedkar. Una chiara chiamata alla conversione di massa che prometterebbe condizioni di vita migliori. Sotto questa ordinanza, in cui una conversione di massa è definita tale quando “due o più persone si convertono”, trasformerebbe Ambedkar in un pericolosissimo criminale. Mahatma Phule, anche lui, verrebbe probabilmente perseguito a causa delle sue parole:

“I mussulmani, distruggendo le immagini di pietra intagliata di Arya Bhats, hanno reso i Shudras e gli Ati-Shudras musulmani, includendoli nella religione mussulmana. Non solo, ma essi hanno organizzato matrimoni misti con loro e stabilito che avessero uguali diritti”.

I milioni di sikh, musulmani, cristiani e buddisti che sono parte della popolazione del subcontinente sono testimoni di un cambiamento storico e di conversione di massa. Il rapido diminuire di Hindu ha contribuito all’ansia della casta privilegiata, preoccupata per la demografia e galvanizzata dalle politiche di ciò che oggi è chiamato Hindutva.

Oggi, tuttavia, con il potere delle RSS, le cose si sono invertite. Le uniche conversione di massa sono quelle condotte da Vishwa Prashad – il processo conosciuto anche come “Ghar Wapsi” “(ritorno a casa”) cominciato con i Gruppi Riformisti Hindu alla fine del diciannovesimo secolo. Ghar Wapsi consiste anche nel “ritorno” all’induismo delle tribù che abitano le foreste. Ma non prima di una cerimonia Shuddi (purificazione) per eliminare la corruzione del periodo in cui sono stati lontani da casa.

Ma, allora, come è possibile far conciliare queste pratiche con l’ordinanza dell’UP, che logicamente, dovrebbe condannarle? L’ordinanza include una clausola che dice “A condizione che una persona si converta a una religione di cui era precedentemente fedele, allora essa non sarà considerata una conversione illegale sotto questa ordinanza”.

Facendo questo, l’ordinanza legittima il mito dell’induismo come antica religione autoctona che sussume le religioni di milioni di tribù indigene, Dalit e Dravidiani del subcontinente. Cosa assolutamente priva di fondamenti storici.

In India, è così che la mitologia si trasforma in storia e la storia in mitologia. La narrazione della casta privilegiata non vede alcun contraddizione nell’affermare di essere a un tempo discendenti dei conquistatori ariani e insieme discendenti degli antichi indigeni.

All’inizio della sua carriera in Sud Africa, mentre conduceva una battaglia per una entrata separata dell’India al Durban Post Office, in modo da non dover condividere l’entrata con I Black Africans, che spesso chiamavano “Kaffirs” e “Selvaggi”, Gandhi sosteneva che inglesi e indiani provenivano da radici comuni, dagli ”indo-ariani”. Egli cercò di distinguere la casta privilegiata “Passenger Indians” dalle altre classi oppresse e costrette a lavori forzati. Era il 1893, ma la giostra non si è ancora fermata.

Elgar, l'inizio della battaglia

Il numero di persone che sono intervenute oggi mostra l’abilità intellettuale di Elgar Parishad di osservare l’attacco condotto contro di noi a ogni livello. Niente rende più felice questo regime di vederci chiuderci in piccoli acquari in cui annaspiamo rabbiosamente, ciascuno arrabbiato per quello che gli è capitato o per la sua comunità – senza mai vedere il quadro d’insieme e spesso muovendo la nostra rabbia contro noi stessi. Dobbiamo rompere le barriere e uscire dal nostro acquario, per trasformarci in fiume. E scorrere come una corrente implacabile.

Per fare questo dobbiamo prendere coraggio e osare sognare come fece Rohit Vermula. Lui è qui con noi oggi, tra noi, ispirazione per i giovani anche da morto, perché è morto con degli ideali. È morto insistendo sul diritto di poter accrescere la sua umanità, la sua curiosità e la sua ambizione.

Non si è ritirato, ha rifiutato i compromessi, di entrare nello stampino pronto per lui. Ha rifiutato le etichette che il mondo voleva assegnargli. Sapeva di non esser fatto di niente di meno che polvere di stelle. E lui, lui è diventato polvere di stelle.

Dobbiamo stare in guardia dalle trappole che ci limitano e ci minimizzano. Nessuno di noi è solo un’accozzaglia di identità. Siamo molto, ma molto di più. Mentre stiamo vigili contro i nostri nemici, dobbiamo essere in grado di riconoscere i nostri amici.

Dobbiamo cercare altri alleati, perché nessuno di noi può condurre questa battaglia da solo. Le coraggiose proteste contro il CAA e le mobilitazioni degli agricoltori di oggi ce lo hanno dimostrato. Le organizzazioni di agricoltori che si sono riunite comprendono credi differenti e differenti storie.

Ci sono grandi contraddizioni tra grandi e piccoli agricoltori, tra proprietari terrieri e lavoratori senza terra, tra Jat Sikhs e Mazhabi Sikhs, tra Sindacati di Sinistra e Centristi. Ci sono contraddizioni di casta e altrettanto orrende violenze di casta, come Bant Singh, a cui son state tranciate braccia e gambe nel 2006, come vi ho raccontato oggi.

Queste differenze non sono state seppellite. Ne abbiamo parlato – come ha raccontato Randeep Maddoke, che avrebbe dovuto essere qui con coi oggi, con il suo coraggioso documentario Landless. E tuttavia, queste differenze sono ora chiamate a unirsi per confrontarsi contro questo Stato, sappiamo che questa è la battaglia fondamentale.

Forse, in questa città in cui Ambedkar ha subito il ricatto della firma del Poona Pact, e in cui Jotiba e Savitribai Phule hanno condotto la loro attività rivoluzionaria, forse è proprio qui che possiamo dare un nome alla nostra battaglia. E, forse, potrebbe essere Satya Shodhak Resistance, SSR contro RSS.

La battaglia dell’Amore contro l’Odio. Una battaglia per l’Amore. Sarà una battaglia intrapresa con determinazione e vinta grandiosamente.

Grazie.

Fonte

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