È da sette mesi che informo sul mio profilo sulla performance dell’economia italiana nel 2021: come export, come produzione industriale, come servizi (almeno nell’estate), come record di esportazioni italiane in Cina, che coprono quasi il 45% della crescita dell’export rispetto al 2019.
E poi, ho informato della posizione finanziaria netta estera, positiva per 87 miliardi ad ottobre (il dato di novembre uscirà il 20 dicembre su Banca d’Italia). I miei post sono stati pubblicati da Contropiano e da Lantidiplomatico.
Dunque non mi meraviglia il giudizio del The Economist. Piuttosto, mi puzza. Questa testata è stata rilevata dagli Agnelli, è dunque una celebrazione del potere (loro hanno ricevuto dallo Stato 6 miliardi).
A Crotone, ma non solo, si dice: loro se la cantano e loro se la suonano. E suona come beffa che questa “benedizione” arrivi nel giorno dello sciopero generale, proclamato dalla Cgil dopo ben sette anni tragici per i lavoratori italiani.
Tutta questa ricchezza, tutta questa crescita, dovuta ad enormi deficit fiscali in tutto il mondo e alla diminuzione del tasso di risparmio cresciuto a dismisura durante il lockdown, che Draghi si è trovato apparecchiato, non ha coinvolto affatto la classe lavoratrice, che anzi perde salario, né tanto meno la fascia dei poveri che aumenta a dismisura.
È una crescita squilibrata, fatta anche a debito, che pagheremo noi sotto forma di tagli dei servizi pubblici, cosa che sta già avvenendo.
Suona come una beffa lo slogan del potere: “crescita inclusiva e sostenibile“. Se c’è un forte tasso di disuguaglianza e di bassi salari è proprio nel nostro Paese.
Era così negli anni Sessanta, poi esplose l’Autunno caldo. Cicli storici, ma al momento non si vede nulla del genere.
Il “paese dell’anno”, come afferma The Economist, ha alla base la rassegnazione disperata di 23 milioni di salariati, donne e uomini.
Parliamo di loro, lasciamo perdere il potere che si autocelebra sui “giornali di famiglia” (The Economist, La Stampa, Repubblica, ecc.).
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