Fra i vari luoghi in cui si ambienta l’azione scenica della serie tv di fantascienza distopica e post-apocalittica The 100 (2014-2020) c’è la “Città della Luce”. Si tratta però di uno spazio virtuale creato da un computer in cui gli abitanti di una Terra devastata da una guerra atomica e attraversata da sanguinosi conflitti fra bande rivali si rifugiano inghiottendo una sorta di microchip. Nella “Città della Luce” non c’è più la guerra e vengono cancellati tutti i dolori e i dispiaceri ma anche tutti i ricordi fino ad arrivare ad un vero e proprio annientamento della personalità. In un mondo devastato e da ricostruire, gli adepti si aggirano calmi e pacati in strade pulite e luminose, fra avveniristici palazzi stile Dubai, nella loro dimensione parallela e virtuale. Se la pillola di Matrix faceva entrare nel mondo reale, il chip di The 100 fa invece abbandonare la realtà per entrare in un universo virtuale.
Qualcosa di simile all’entrata nella “Città della Luce” sta avvenendo in questi giorni con il Festival di Sanremo in televisione. Tantissimi spettatori (nei vari telegiornali si afferma che era dagli anni Novanta che Sanremo non aveva un pubblico televisivo così vasto) abbandonano il mondo reale per immergersi nel mondo virtuale del Festival, davanti ai loro televisori di ultimissima generazione. Lo spazio lucido e perfetto dell’Ariston si configura come una dimensione estremamente lontana dalla realtà, una dimensione in cui tutti i problemi reali vengono edulcorati o completamente sottaciuti. I conduttori e gli ospiti si presentano estremamente politically correct, del tutto allineati con la visione del governo e di qualsiasi potere dominante. Milioni di telespettatori, in questi giorni, si immergono ogni sera in un universo virtuale in cui contano soltanto abiti, moda, look di conduttori e cantanti in gara, acconciature, siparietti più o meno comici, battute, buonismi, lacrimucce e finta serietà. È un mondo felice e beato in cui, grazie a qualche “canzonetta” e a qualche battuta pronunciata di fronte a un pubblico in sala che probabilmente ha sborsato anche più di mille euro per un biglietto, si dimentica per qualche giorno il mondo reale che sta fuori dal televisore e dal salotto di casa. Però, quel mondo continua ad aspettarci là fuori, fatto di contraddizioni, di precarietà, di ingiustizie, di prevaricazioni quotidiane, in cui si muore di lavoro e di alternanza scuola-lavoro, in cui se si è migranti si può pure morire in mare o in qualche lager in terre di nessuno: in parole povere, un mondo in cui vige la spietata logica capitalistica.
Ma, in fin dei conti, il Festival di Sanremo ha sempre rappresentato uno scenario, come scrisse Pier Paolo Pasolini, di “povere idiozie”. L’autore ‘corsaro’, sul “Tempo”, il 15 febbraio 1969, così scriveva: Tra tutti questi lutti, è cominciato ed è finito il Festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società. Quest’anno, poi, le cose sono andate ancora peggio del solito: perché c’è stata una contestazione, seppur appena accennata, al Festival. Ciò che si contesta sono infatti i prezzi dei biglietti per ascoltare quelle povere creature che cantano quelle povere idiozie: e si protesta moralisticamente contro il privilegio di chi può pagare il prezzo di quei biglietti. Non ci si rende conto che tutti i sessanta milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad assistere in carne e ossa allo spettacolo di Sanremo.
E quest’anno sembra che gli italiani siano passati dall’universo virtuale e spettacolare dell’elezione del presidente della Repubblica al Festival di Sanremo quasi senza soluzione di continuità. Da Montecitorio all’Ariston il passo è breve: è solo uno spettacolo, tra l’altro trito e ritrito, una dimensione virtuale che non porta nessuna novità vera e reale, giusto due passi nella “Città della Luce”, fra strade perfette e palazzi sempre uguali, ripetendo perennemente le stesse azioni e gli stessi gesti che non hanno niente a che vedere con la realtà.
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