“Il privato funziona meglio del pubblico”. Con questa motivazione, da oltre 30 anni, si va smantellando il patrimonio pubblico (industrie, servizi, infrastrutture, sanità, pensioni, acqua, ecc.).
Nessuno, bisogna dire seriamente, si è mai accorto di un benché minimo miglioramento nel funzionamento degli asset privatizzati. Solo chi ne controlla i bilanci, probabilmente, può misurare in che cosa consista questa strombazzata “superiorità”: più soldi per manager e azionisti, il resto chissenefrega.
Quando crollò il ponte Morandi, a Genova, nell’agosto del 2018, in molti sospettarono che forse – forse! – c’era stata qualche carenza di manutenzione. Quei tondini arrugginiti, quelle lesioni nel cemento armato, gridavano al cielo la verità.
Ma dai vertici del gruppo Benetton (la famiglia controllava Autostrade attraverso Atlantia) non venne mai alcuna ammissione. Semmai qualche smorfia sdegnata perché si osava ledere la maestà degli ex leader dei maglioncini. Così fighetti e smart che persino gli “innovatori” delle Sardine trovarono normale farsi vedere alla loro corte...
Dalla classe politica tutta venne prima una mezza critica, poi (da singoli) una minaccia di ritiro della concessione, poi più nulla. Anzi, quando alla fine si decise che era comunque meglio che lo Stato riprendesse in mano la gestione di Autostrade per l’Italia (che controlla gran pare della rete autostradale, ma non tutta) si provvide anche a riempire generosamente le tasche dei Benetton, regalando loro altri 9,3 miliardi di euro.
Per la ricostruzione del ponte i Benetton pagarono soltanto 580 milioni. La differenza si è scaricata poi sui pedaggi che tutti noi paghiamo.
Solo ora, cinque anni dopo il crollo e la morte di 43 persone che lo stavano attraversando, abbiamo potuto sapere come venivano gestiti – sia il ponte che l’intera rete autostradale – dalla viva voce di Gianni Mion, uomo di fiducia della famiglia Benetton, ex amministratore delegato di Edizione (holding della dinastia veneta), ex consigliere di amministrazione di Autostrade per l’Italia e della sua ex controllante Atlantia.
Sarà il caso di leggere attentamente e lentamente ogni parola: “Il ponte aveva un difetto originario di progettazione, era a rischio crollo”.
E per questo venne convocata una riunione tecnica dei massimi dirigenti del gruppo, nel 2010: “C’erano Castellucci (amministratore delegato di Atlantia, ndr) e Mollo (direttore generale di Aspi, imputato, ndr). A quella riunione c’era anche Gilberto Benetton, sapeva anche lui che c’era quel problema”.
Mettiamoci per un attimo nel panni dei responsabili di un’infrastruttura di quella importanza e pericolosità, attraversata da decine di migliaia di auto e tir ogni giorno. Veniamo a conoscenza di un “difetto di progettazione” e conseguente “rischio crollo”. Cosa facciamo?
Se l’opera è stata progettata male non è colpa nostra, ma se crolla sì (la stiamo gestendo noi). Perché sappiamo che può succedere da un momento all’altro, magari tra venti anni.
Se siamo responsabili, comunichiamo immediatamente la situazione al governo – il vero proprietario, perché Benetton gestiva in regime di “concessione” – e concordiamo le misure da prendere: blocco del traffico o sua forte limitazione (escludendo per esempio i mezzi pesanti), lavori di messa in sicurezza o meglio ancora avvio dei lavori di un ponte parallelo, più sicuro (tipo quello poi progettato da Renzo Piano).
Nessuno si fa male, tranne i bilanci del gruppo Benetton. Perché se blocchi il traffico sul ponte Morandi costringi i flussi a spostarsi su altre direttrici, e quindi non incassi i soldi dei pedaggi.
Ma se sei stato almeno onesto e responsabile, e conoscendo bene la grande “disponibilità” dei governi italiani nei confronti delle imprese, un “conguaglio” adeguato non sarebbe certamente mancato.
Insomma, si poteva fare molto senza neanche perdere granché come profitti finali.
E invece, dice Mion: “Io, che pure non sono un tecnico, chiesi: ‘C’è una certificazione di un agente esterno sulla percorribilità del ponte?’, perché c’erano dubbi espliciti che il viadotto sul Polcevera potesse stare su”.
La risposta venne dal direttore generale Mollo: “Autocertifichiamo”. Parola che “terrorizza” persino Mion, perché “Cosa vuol dire autocertificarsi? È una contraddizione”.
Peggio, rivela una situazione pazzesca: “C’era un collasso del sistema di controllo interno ed esterno, del ministero non c’era traccia. La mia opinione è che nessuno controllasse nulla”.
Mettiamoci ora, con qualche ribrezzo, anche nei panni di Mion. Siamo venuti a sapere che quel ponte prima o poi verrà giù, e che nessuno – tanto meno i governi “che non disturbano le imprese” – controlla se e quando questo potrà accadere.
Che fai? Un essere umano minimamente consapevole, oltretutto con il ruolo e il potere di un amministratore delegato, apre bocca, prende posizione e, se non riesce a far passare la sua “perplessità” tra i soci-colleghi, avvisa la pubblica autorità e la magistratura sulla bomba che può esplodere in qualsiasi momento in piena Genova.
E invece.
“Dopo quella riunione avrei dovuto fare casino, ma non l’ho fatto. Forse perché tenevo al mio posto di lavoro”.
Il “posto di lavoro” di Mion non era di quelli per cui si fa fatica ad arrivare a fine mese. Anche se l’ira dei Benetton l’avesse buttato fuori da Autostrade, tra stipendi e buonuscita, avrebbe avuto comunque qualche milione sul conto corrente. Un gesto di responsabilità, insomma, poteva pure permetterselo. Non sarebbe morto in povertà...
Ricapitolando. Tutti i vertici del gruppo Benetton sapevano. Tutti sono stati zitti e hanno fatto finta di nulla per timore di “perdere il posto di lavoro”.
Meno i Benetton stessi, che avevano invece paura di perdere un po’ di soldi per la chiusura di una tratta molto redditizia (ma, come detto, qualche “compensazione” sarebbe stata certamente trovata davanti a un gesto di “responsabilità sociale”...).
I governi italiani, quelli prima e quelli successivi, portano la responsabilità di:
a) aver dato in concessione la rete autostradale a dei “privati”;
b) non aver mai esercitato alcun controllo sullo stato della rete;
c) aver dato 9,3 miliardi ai Benetton per riprendere il controllo di un bene di propria proprietà pesantemente danneggiato dall’incuria nella manutenzione.
Quarantatrè persone sono morte per colpa di tutta questa marmaglia, equamente divisa tra criminali che hanno atteso senza batter ciglio (né spendere una lira...) che il ponte crollasse, complici che hanno chiuso entrambi gli occhi, traditori del “bene pubblico” che li hanno pure ricompensati!
Quando diciamo che il capitalismo è un crimine; quando diciamo che produce e genera morte; quando diciamo che guadagna anche sulla morte che esso stesso produce... di certo non stiamo facendo ideologia.
Ci sarebbe quasi da ringraziare i Benetton e i Mion per avercelo dimostrato fisicamente.
Ma questo “ringraziamento” va accompagnato, secondo giustizia anche “borghese”, dalla normale pena prevista per STRAGE. Una strage VERA, non come quella addebitata ad Alfredo Cospito.
Ma siccome siamo coerenti, non chiederemmo neanche il 41bis neanche per i Benetton...
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