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20/05/2023

In venti anni spesi solo un quarto dei fondi per il dissesto idrogeologico

Un rapporto della Corte dei Conti di alcuni mesi fa, rilevava come, per prevenire le calamità in 7mila comuni a “rischio idrogeologico”, fossero necessari almeno 26 miliardi di euro. Ma in 20 anni – tra il 1999 e il 2019 (e con 14 governi diversi) ne sono stati usati solo sette, un quarto del necessario.

Il dato della Corte dei Conti, è stato rilevato da Il Fatto leggendo l’ultima relazione annuale della magistratura contabile relativa alle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico”.

Il documento risale al luglio 2022, ma i dati venivano già segnalati in diversi rapporti dell’Ispra (vedi il Rapporto ReNdis 2020) che hanno ricostruito finanziamenti e interventi realizzati, appunto, dal 1999 al 2019.

Il rapporto della Corte dei Conti rileva come oltre il 16,6 per cento del territorio nazionale sia classificato a “maggiore pericolosità”, con 7.275 Comuni interessati dal fenomeno. L’Italia, inoltre risulta essere il Paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi, con circa i 2/3 delle frane censite in Europa.

Eppure in 20 anni sono stati finanziati solo 6mila progetti per 7 miliardi “mentre – recita la relazione dei magistrati contabili – l’importo complessivo di richieste pervenute nel medesimo periodo, che si può considerare una stima del costo teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale, risulta pari a 26 miliardi di euro”.

A strozzare l’afflusso di risorse e la consegna delle opere – secondo la Corte dei Conti – è la tempistica degli interventi, che hanno una durata media di 4,2 anni, oltre la metà dei quali (57%) usati per la fase di progettazione, e poi quella della amministrativa necessaria al percorso attuativo.

A febbraio del 2022 la giunta dell’Emilia aveva approvato la graduatoria di 13 progetti di intervento per 17 milioni (impianti sollevamento, ripristino funzionalità idraulica, sicurezza rete scolante, casse di espansione) tra Modena, Ferrara, Fidenza, Rimini, Sala Bolognese: tempi medi di consegna erano previsti in 13-32 mesi.

Viene poi segnalato il problema delle sovrapposizioni tra Dipartimento della Protezione Civile e del Ministero dell’Ambiente, con il risultato (ma anche il prevalere di una logica) che gli interventi per l’emergenza hanno avuto precedenza su quelli destinati alla prevenzione.

Su questo aspetto la Corte dei Conti auspica un cambio di passo col PNRR. Ma anche qui gli stanziamenti per “prevenire e contrastare gli effetti del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio” sono minimi – 2,4 miliardi di euro – rispetto ad un fabbisogno, come abbiamo visto, stimato dieci volte superiore.

I fondi nel PNRR per le misure di intervento sul dissesto idrogeologico sono divisi in 1,287 miliardi per l’attività ordinaria di investimento e promozione delle riforme in materia di rischio idrogeologico, di competenza del Ministero dell’Ambiente e con risorse già nel sul bilancio; gli altri 1,2 miliardi (comprensivi di 800 milioni di euro di risorse aggiuntive) vengono invece assegnati al Dipartimento della Protezione civile per la gestione delle emergenze.

Il PNRR prevede anche una riforma finalizzata alla semplificazione ed accelerazione degli interventi di contrasto al rischio idrogeologico, al fine di superare le criticità di natura procedurale, legate alla debolezza e all’assenza di un efficace sistema di governance nelle azioni di contrasto al dissesto idrogeologico.

L’inchiesta del Fatto Quotidiano rileva che per il conseguimento dell’obiettivo di riforma indicato dal PNRR (Milestone M2Cd-1) negli ultimi due anni sono stati emanati ben 10 provvedimenti tra articoli di legge e decreti veri e propri.

Molti però sono rimasti sulla carta. Ad esempio la legge 233/2021 del governo Draghi: prevedeva (all’art. 16, comma 3) “l’individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico nelle regioni del centro-nord”.

Non è stato ancora adottato il decreto attuativo della legge che converte la 186/2022 del governo Meloni, quella che stanziava 2,5 milioni per formare e reclutare personale a tempo indeterminato al fine di “potenziare le attività finalizzate a mitigare il rischio idrogeologico e rafforzare il contingente dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale”.

La lezione che si ricava da questi dati è che sul dissesto del territorio e le conseguenze dei cambiamenti climatici, i governi degli ultimi venti anni abbiano proceduto come sulla sanità. In questa si è privilegiata la chirurgia e le “eccellenze” piuttosto che la prevenzione e la medicina territoriale.

Nella gestione del territorio si è preferito finanziare – ed oliare – gli apparati di gestione delle emergenze piuttosto che la prevenzione con interventi strutturali sul territorio. Nella prima come nella seconda i devastanti risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Interessante sarebbe anche il monitoraggio su chi si sia arricchito con questo prevalere della logica dell’emergenza piuttosto che quella della prevenzione.

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