Hanno avuto grande risonanza le parole di Gianni Mion durante la sua testimonianza al processo per il crollo del ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 uccise 43 persone. Quel viadotto avrebbe avuto bisogno di importanti manutenzioni, di essere chiuso e forse anche di essere abbattuto, e la dirigenza di Autostrade per l’Italia sapeva tutto da anni.
Mion all’epoca era consigliere di amministrazione di Atlantia, holding finanziaria della famiglia Benetton che controllava Aspi; già nel 2010 il cda era stato informato del rischio di crollo in una riunione in cui erano presenti i massimi dirigenti aziendali. Ben otto anni in cui non è stato fatto nulla, nel completo disinteresse e silenzio da parte della dirigenza che, sempre secondo le parole di Mion, decise di autocertificare la sicurezza del ponte.
I limiti strutturali del viadotto, quindi, erano ben conosciuti dall’azienda e dai suoi manager che, colpevolmente, decisero di non intervenire ed in definitiva di speculare sulle vite di chi transitava sul ponte. Se il manager avesse parlato, dice, avrebbe potuto avere ripercussioni, fino alla perdita del posto di lavoro milionario e della posizione di potere all’interno della holding.
Un atteggiamento che rivela, se ce ne fosse ancora bisogno, l’approccio della classe imprenditoriale del nostro Paese sempre pronta a passare sui cadaveri, si tratti di quelli di lavoratori privi di tutele e sistemi di protezione o di cittadini ignari, per continuare ad incassare profitti da capogiro.
USB e Rete Iside da tempo, forti di un solido rapporto formalizzato in un protocollo d’intesa su salute e sicurezza, portano avanti la campagna per l’introduzione del reato di omicidio e lesioni gravi sul lavoro. Una campagna che, lo scorso 19 maggio, ha portato al deposito in Cassazione di una proposta di legge di iniziativa popolare. In questo modo, finalmente, si andrebbe a disporre di un forte strumento di deterrenza contro chi continua a tagliare sulla sicurezza, speculando sulle nostre vite.
Unione Sindacale di Base
Rete Iside Onlus
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