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25/05/2023

Sul ruolo pubblico degli scienziati

di Francesco Sylos Labini

“Parlo mai di astrofisica io? Parlo mai di biologia? … io non parlo di cose che non conosco”
Come dice Nanni Moretti “io non parlo di cose che non conosco” e su questo siamo tutti d’accordo, ma questo non significa che “i fisici devono parlare solo di fisica” o “gli scienziati solo di scienza” come ha recentemente sostenuto Umberto Galimberti, che sembra aver perso la bussola del ragionamento razionale, proprio in riferimento al “caso Rovelli”. I fisici e gli scienziati sono degli intellettuali e come ha scritto Noam Chomsky
“gli intellettuali sono dei privilegiati; il privilegio porta delle opportunità e le opportunità a loro volta implicano delle responsabilità. È a quel punto che un individuo deve scegliere. ... Tornando alle due categorie di intellettuali, è quasi un assioma storico che gli intellettuali conformisti, ossia coloro che appoggiano la linea ufficiale e trascurano o giustificano i crimini dell’autorità godano di prestigio e privilegi all’interno della loro società, e che al contrario gli intellettuali guidati dai valori siano penalizzati in un modo o nell’altro.”
Prendere una posizione contro corrente è sempre difficile, sia nella scienza che nella società ma c’è una differenza fondamentale che bisogna sottolineare. Prediamo due casi recenti. Negli ultimi giorni due diversi episodi che riguardano il ruolo pubblico degli scienziati sono stati all’attenzione dell’opinione pubblica: l’intervento sulla guerra del fisico Carlo Rovelli al concerto del Primo Maggio, e la polemica tra il geologo Alberto Prestininzi e Chloé Bertini di Ultima Generazione, un gruppo di attivisti sul problema dei cambiamenti climatici, nel programma di Corrado Formigli Piazza Pulita. C’è una differenza sostanziale tra questi due interventi.

Prestininzi fa parte di uno sparuto gruppo di accademici che nega l’impatto umano sul riscaldamento climatico e rifiuta le proposte di annullamento delle emissioni di gas serra entro il 2050. È noto per essere un “negazionista climatico” e per questo è stato contrapposto a Chloé Bertini. L’idea era quella di stimolare il famoso “contraddittorio”: idea sbagliata poiché Prestininzi e i suoi colleghi, che non sono climatologi, hanno una tesi che nella letteratura scientifica non trova riscontri. Un recente studio di 88.125 articoli scientifici relativi al clima ha mostrato che il 99,9% di questi concorda sul fatto che i cambiamenti climatici sono principalmente causati dall’uomo. Complessivamente, la ricerca ha prodotto 28 articoli implicitamente o esplicitamente scettici, tutti pubblicati su riviste minori. Questo risultato migliora quello del 2013 secondo il quale il consenso era del 97%. Nonostante questi risultati, i sondaggi dell’opinione pubblica e le opinioni di politici e rappresentanti pubblici evidenziano l’errata convinzione che tra gli scienziati esista ancora un dibattito significativo sulla vera causa del cambiamento climatico.

Questo è l’effetto di trasmissioni come quella di Formigli: il grande pubblico non ha gli strumenti per comprendere la discussione scientifica che non avviene in tivvù ma nella letteratura scientifica in cui gli articoli sono revisionati dai pari. Se un articolo viene pubblicato non significa che sia necessariamente corretto, ma la revisione agisce da filtro per eliminare tesi assurde. Spesso, quando si ha una tesi innovativa, è difficile pubblicare un articolo scientifico e chi propone una nuova idea deve faticare ad affermarla: ma lo deve fare nella letteratura scientifica. Chi si rivolge al di fuori di essa, si pone automaticamente al di fuori della dinamica della ricerca scientifica, ed è questo il problema dei negazionisti climatici.

Due posizioni contrapposte caratterizzano anche il dibattito sulla guerra in Ucraina ma la delega agli esperti, se esistono, è molto più problematica. In questo caso nei media la posizione maggioritaria è rappresentata da chi pensa che “se vuoi la pace vinci la guerra” e dunque è favorevole all’invio di armi all’Ucraina. Secondo Carlo Rovelli “i guerrafondai traggono vantaggio economico o politico dalla prosecuzione della guerra, vogliono vincere tutto fino in fondo, continuare la guerra, umiliare il nemico. Questo a mio parere è sbagliato, sia dal punto vista morale, perché crea altro dolore, sia dal punto di vista razionale. Perché cercare la vittoria totale è andare verso la Terza guerra mondiale”. In questo caso non si tratta di un dibattito nella letteratura scientifica: di fronte all’opinione pubblica ci si presenta con la forza delle proprie idee supportate dalla propria credibilità, ed è questo il ruolo di un intellettuale.

Il ministro Crosetto, chiamato in causa da Rovelli per il suo conflitto d’interessi per essere stato consulente di Leonardo, una delle più grandi aziende produttrici di armi al mondo, ha liquidato la critica di Rovelli dicendo “pensi a fare il fisico”: si occupi delle sue astruse teorie dei buchi bianchi e lasci stare il resto. Si capisce che Crosetto preferisca il fisico Roberto Cingolani, che proprio il suo governo ha nominato amministratore delegato di Leonardo. Cingolani è diventato l’emblema dello scienziato di regime collezionando una lunga serie di cariche assegnate dalla politica: nominato dal governo Berlusconi direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, tra i fondatori di Human Technopole (governo Renzi), voluto da Grillo al ministero della transizione ecologica nel governo Draghi, consigliere per l’energia del Governo Meloni.

Rovelli è invece diventato noto al grande pubblico per i suoi libri divulgativi e nel campo della fisica era già molto noto per i suoi importanti lavori sulla gravità quantistica, un campo di ricerca in cui si cerca di unificare due teorie che sembrano agli antipodi la meccanica quantistica con la teoria della relatività generale che è usata per interpretare i fenomeni astrofisici. Ultimamente è diventato uno dei riferimenti sulla guerra e pur sostenendo una tesi controcorrente è riuscito a non essere travolto ed emarginato dalla propaganda proprio grazie alla sua statura intellettuale. Un grande fisico del secolo scorso, Isidor Rabi, diceva “penso che i fisici siano i Peter Pan della razza umana. Non crescono mai e mantengono la loro curiosità”. Chi meglio di Carlo Rovelli ha la capacità di dirci che il re è nudo?

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