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28/05/2023

Bolivia - Tre punti di vista per comprendere le divergenze interne al MAS

Interviste a Hugo Moldiz, Nelson Cox e José Pimentel.

Nel gennaio 2020, pochi mesi dopo il colpo di Stato e le sue dimissioni, l’ex presidente Evo Morales ha annunciato dal suo esilio a Buenos Aires che “il candidato alla presidenza [dello Stato Plurinazionale di Bolivia] per il Movimiento Al Socialismo – Strumento Politico per la Sovranità dei Popoli (MAS-IPSP) è Luis Arce Catacora (...), candidato alla carica di Vice Presidente, tenendo conto della proposta del Patto di Unità, voglio informarvi che è il fratello David Choquehuanca”.

La militanza, i sostenitori e anche qualche “pititas” pentito hanno optato disciplinatamente per la suddetta coppia, che alle elezioni del 18 ottobre 2020 ha vinto con oltre il 50% dei voti. Ma, poco dopo l’avvio del Governo, le fratture interne hanno cominciato ad affiorare e ad essere amplificate da una stampa di opposizione che ha dedicato vaste prime pagine al conflitto interno al MAS.

Non è stato necessario, da parte dei media, continuare a puntare il dito su un possibile distanziamento tra masisti, visto che lo stesso presidente del MAS, Evo Morales, ha pubblicato da diversi mesi sui suoi account Twitter, Facebook e altri social, denunce e attacchi all’Esecutivo, rafforzato dai suoi più stretti collaboratori.

Persone legate al MAS, così come parte della sua militanza e numerosi aderenti si sentono sconcertati e sconcertate dai problemi nella leadership. Cosa sta realmente accadendo e cosa dovremmo sapere di quella situazione? C’è un’ala chiamata “evista” e un’altra “arcista” in flagrante disputa? È possibile concertare l’unità a questo punto? In che modo questo processo di rottura è simile a quello sperimentato nel secolo scorso dal Movimiento Nacionalista Revolucionario (MNR), il partito che guidò la cosiddetta Rivoluzione del 1952?

Insomma, tante le domande e poche le risposte. Alla loro ricerca, abbiamo intervistato tre voci chiave perché ci diano il loro parere e la loro analisi sulla crisi che sta attraversando il MAS. Dall'”ala arcista” (rinnovatrice) ha risposto l’ex ministro del Governo, Hugo Moldiz; dall’“ala evista” (radicale) l’avvocato per i Diritti Umani, Nelson Cox; e una voce di esperienza che vede l’impasse con preoccupazione, l’ex titolare delle Miniere, José Pimentel.

Quale sarebbe l’origine del conflitto tra “rinnovatori” e “radicali”?

Hugo Moldiz (HM) – Ha a che fare con l’assenza di uno spazio per risolvere le contraddizioni e le tensioni che sarebbero sorte perché, per la prima volta dal 2005, ci sarebbe stato uno scollamento tra la leadership politico-istituzionale o statale e quella politica. Evo Morales aveva concentrato entrambe da gennaio 2006 fino a novembre 2019.

Quella leadership concentrata è cambiata dalla stessa campagna elettorale, come si può dedurre, ed è anche un dato di fatto che non ci sia stato alcun tipo di accordo dalla designazione del binomio. Si è partiti dal presupposto che si aveva un binomio meramente strumentale, il che, certamente, non presupponeva che, dopo il colpo di Stato e il recupero della democrazia, si sarebbe presentata una nuova configurazione politica.

Nelson Cox (NC) – Nasce da certe posizioni assunte. Coloro che circondavano Luis Arce – Hugo Moldiz e i ministri Lima, Del Castillo, María Nela Prada, Montaño e Novillo – gli hanno fatto credere di essere il nuovo punto di riferimento per la Bolivia e il paladino del MAS, che ha strutturato le basi del Processo di Cambiamento e che il suo legame con Evo Morales gli avrebbe recato danno.

Ovviamente loro hanno molta affinità con la destra e quella determinazione interna ha permesso loro di commettere atti di tradimento, non solo con i processi di Senkata e Huayllani, ma anche in relazione alla propria agenda che ha lasciando da parte il colpo di Stato e il governo de facto, ad esempio, il perseguimento di alte autorità come gli ex ministri di Jeanine Áñez, Tuto Quiroga, Carlos Mesa, Samuel Doria Medina e Waldo Albarracín.

Allontanandosi da tutto questo, si è commesso un atto di tradimento contro l’ideologia del MAS, stabilendo alleanze con l’asse della destra: Jhonny Fernández, Manfred Reyes Villa e Arias.

José Pimentel (JP) – Non ci sono tendenze, sono simpatie e interessi. Il MAS-IPSP è uno strumento delle organizzazioni sociali, di per sé non è un partito. Ecco perché la leadership non è un fatto elettivo, ma piuttosto una conseguenza della lotta che i dirigenti e i leader hanno sviluppato all’interno e nel servizio delle organizzazioni sociali.

Questi dirigenti, formati nella resistenza contro le dittature militari e il neoliberismo, hanno ricoperto incarichi nell’Esecutivo, nell’Assemblea Costituente (AC), nel Parlamento e nei governi subnazionali. L’esigenza di una gestione accelerata ed efficiente ha lasciato il posto alla loro sostituzione con professionisti, mentre i settori sociali sono diventati beneficiari, relegando la loro funzione dirigenziale. La gestione del governo è stata accompagnata dalle organizzazioni sociali, ma non il suo orientamento e la sua direzione. Questa mancanza di riflessione-pratica non ha permesso al cambiamento di radicarsi o di prevenire errori.

La passività delle masse, che può essere interpretata come soddisfazione o tranquillità per aver ottenuto risposte ai propri interessi e bisogni, non dà spazio al protagonismo degli attori sociali, né all’emergere di nuovi leader. In questo senso la conduzione dell’apparato statale assume la titolarità della leadership e la conduzione politica è condizionata dagli spazi che si ottengano nel Governo; Ecco perché la promozione delle “tendenze” è un anticipo di spazi nelle future elezioni.

Su cosa si basano i disaccordi? Ci sono differenze strategiche?

HM – Lo Strumento Politico nasce nel 1995 come sintesi del pluralismo politico nel quadro dell’antimperialismo, dell’anticolonialismo e dell’anticapitalismo, sebbene con un approccio piuttosto complesso dall’indianismo, al katarismo, al socialismo non marxista, al socialismo marxista e anche alla socialdemocrazia.

Anche se è vero che non c’è mai stato un dibattito mediamente approfondito sulla natura del Processo di Cambiamento e sul suo orizzonte storico, è chiaro che ci sono disaccordi su come concepire, costruire e gestire la politica; sulla definizione del soggetto storico della Rivoluzione; sul tipo di rapporto tra il “capo” e il popolo e altri aspetti che, tra l’altro, non sono sufficienti per marciare in direzioni diverse.

NC – Si basano su quell’ignobile atto di slealtà, di attacco costante, sistematico e offensivo contro Evo Morales. Avrebbero dovuto avere la chiarezza di non attaccarlo, ma l’anno scorso hanno fatto un “Plan Negro”, con l’obiettivo di smantellare l’ideologia che si è tenuta di lui in termini di leadership storica e politica.

Ci sono differenze strategiche, il MAS e il nostro presidente Evo Morales sono antimperialisti e anticapitalisti, noi non ci alleeremo mai né stringeremo la mano alla destra. D’altra parte, i “rinnovatori” non sono d’accordo con le determinazioni del MAS, si discostano dalla sua struttura e non ascoltano i suggerimenti di Evo Morales, ignorano le raccomandazioni di rimuovere ministri nefasti come Del Castillo, Lima e altri.

JP – Questi interessi particolari nascondono l’acuto confronto ideologico che la gente del popolo ha con i settori retrogradi. Problemi come la concentrazione della terra, la fuga di valuta estera, lo sfruttamento illegale dell’oro, il cambiamento della Giustizia, l’applicazione della sanità universale e dell’educazione interculturale, la lotta contro la corruzione e l’arricchimento illecito, sono questioni che il Governo si pone e cerca di risolvere al di fuori della conoscenza e del sentire delle masse. Pertanto, la lotta ideologica è sostituita da un confronto tra la forza del governo e la mobilitazione dell’opposizione.

La riaffermazione dei nostri principi si può fare solo affrontando il nemico, che non è scomparso ed è in agguato. Il futuro del processo sta nella definizione di questa disputa ideologica e nella costruzione del potere popolare; un altro [problema] è trascurare la retroguardia, e riceveremo una pugnalata alle spalle.

Con l’avvicinarsi degli scenari elettorali, quali direzioni prevede che possa prendere questa disputa? Ci sono maggiori possibilità di unità o di rottura?

HM – Nulla giustifica la rottura, e meno ancora una logica elettorale. Va notato che la tattica e la strategia sono l’unità, poiché senza di essa l’avanzamento dei processi politici è molto più difficile e talvolta addirittura impossibile.

Tuttavia, se non cambia il modo di vedere le attuali contraddizioni, la rottura sarà inevitabile. Stiamo per raggiungere, se non è già stato fatto, un punto di non ritorno, con le conseguenze negative che questo comporterà. Dalla soggettività, mantengo l’ottimismo che la rottura possa essere evitata.

NC – C’è una maggiore probabilità di unità nella lealtà, nella convinzione e nei postulati per poter continuare sulla strada della Rivoluzione Democratica e Culturale, una rivoluzione nella Rivoluzione, con la guida del nostro Presidente Evo Morales, unico e indiscusso leader, Comandante. Ovviamente noi non vediamo che questo sia in sintonia e tono quando c’è il desiderio di mettere fuori legge il MAS ed essere utilitaristi nel voto.

Il Governo non è più del MAS, se ne è allontanato, c’è una rottura ideologica e programmatica rispetto alla continuità del Processo di Cambiamento, che è in pausa. Il Presidente, il Vice Presidente e la Ministra Prada si riempiono la bocca in modo ipocrita e a parole, ma con gli atti non sono coerenti o coincidenti con il “Piano di Governo” che tutti noi abbiamo votato. C’è un punto di vista sul Bicentenario e una “Agenda Patriottica” in 13 punti che loro nemmeno osservano. Non vedono cosa ha fatto il governo di Evo Morales, né riconoscono la nazionalizzazione. Sono davvero amnesici per convenienza.

JP – Il processo elettorale è ancora lontano, la riaffermazione dei nostri principi e l’unità si possono ottenere solo affrontando il nemico. Questo sa mettere alla discussione problemi insignificanti per farci dimenticare l’essenza della disputa del potere: l’appropriazione del surplus economico. È su questo piano che vanno proposte azioni per superare la nostra situazione di Paese fornitore di materie prime, con la partecipazione dei settori sociali, per trovare tutti insieme le soluzioni. Socializzazione non è convincere, è costruire una volontà collettiva.

Cosa pensa che sarebbe necessario fare per costruire un percorso unitario? Quali condizioni dovrebbero essere soddisfatte per questo?

HM – Si spera che presto, visto che il tempo politico sta per scadere, ci sia un processo di “defeticizzazione” del potere da parte di coloro che hanno guidato lo Stato dal 2014 e che oggi sono fuori da ogni tipo di conduzione istituzionale.

La possibilità di recuperare il Processo di Cambiamento, di correggere gli errori commessi, di rinsaldare quanto è stato ben fatto e di articolarlo con i risultati positivi della gestione del Presidente Arce, nonostante il contesto internazionale avverso e le difficoltà interne, dipenderà dal concepire la politica in modo “non borghese”.

NC – La costruzione dell’unità passa attraverso la volontà di Luis Arce di smettere di ascoltare quel ronzio di mosche che gli girano attorno per continuare a vivere di prebende e di opportunismo, per tornare nell’alveo del Processo di Cambiamento, per ascoltare il suo Presidente e compagno che ha guidato per 14 anni la Bolivia.

Passa anche attraverso il ritorno alle basi sociali con sincerità, rispettando il MAS e le disposizioni in caso di espulsione di deputati; ascoltando quando gli si propone di cambiare dei ministri. La visione ostinata di Luis Arce lo allontana non solo dalla verità, ma anche dalla base sociale, che ne è offesa.

JP – L’unità è una necessità per la lotta. Solo la lotta ci unirà. La battaglia contro la destra è adesso. I risultati delle elezioni dipendono da questo: se oggi difendiamo il Processo di Cambiamento, approfondendolo, mobilitandoci coesi e mettendo in ordine i nostri ranghi; altrimenti arriveremo divisi e sfiniti. L’altro è il marketing elettorale. La nostra visione è sviluppare la lotta sociale.

Quale pensi sia stato il costo di questa disputa per la gestione del governo e dei movimenti sociali? Ci saranno vincitori e vinti?

HM – Il fatto che la fazione “conservatrice” [“radicale”] stia dispiegando una tattica simile a quella della sinistra prima del governo di Siles Suazo tra il 1982-1985 non solo è sbagliato, ma mette anche a rischio un’accumulazione storica acquisita dal popolo per decenni. Se questo aumenta, si perde di vista il principale nemico – che è l’imperialismo – la destabilizzazione del governo di Luis Arce sarà la costante e crescerà il rischio di un accorciamento del suo mandato, cosa alla quale sembrano puntare alcuni membri di tale fazione.

Se ciò dovesse accadere, il popolo avrà perso e l’unica vincitrice sarà la destra, che osserva in ansiosa attesa che si dissangui il Processo di Cambiamento. Questo perché, nel 1971, dopo il governo militare patriottico di Juan José Torres, si insediò una dittatura militare di Hugo Banzer; e nel 1985, dopo Siles Suazo, non si insediò un governo popolare, ma due decenni di neoliberismo.

NC – Mi dispiace che l’errata determinazione di Luis Arce e David Choquehuanca abbia generato queste crepe, che hanno giovato solo all’entourage di Luis Arce e che stanno provocando la sconfitta del MAS, perché lo colpisce e lo scredita; colpisce le prebende dei dirigenti che stanno cercando una rottura con queste divisioni.

Lo sguardo lineare dei movimenti sociali sta soffrendo di queste divisioni interne; Non possiamo negare che esiste un divisionismo motivato da David Choquehuanca, che è l’operatore di Luis Arce e cerca di creare, attraverso la Ministra delle Culture, della Ministra Prada e il Vice Ministro Vilca, un parallelismo nelle nostre organizzazioni.

C’è un movimento a favore delle prebende promosso dal Governo, che sta guadagnando molto; mentre la grande sconfitta è la struttura univoca e uniforme del MAS, che sta subendo una battuta d’arresto tracciata da nefasti interessi esterni.

JP – Il costo è enorme, la politica è azione in un momento preciso: non si è approfittato della forza del trionfo elettorale per recuperare quanto era stato rinviato nella prima fase di governo, il socialismo di comunità e il disarmo dei golpisti. Le lotte tra fazioni ci allontanano ancora di più da questo obiettivo, quando la più grande lezione che ci ha dato il colpo di Stato del 2019 è che se un processo non fa passi avanti, retrocede.

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