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20/05/2023

Dramma Emilia-Romagna: dove ha colpa Bonaccini

di Tomaso Montanari

“Stupidità e maleducazione”. Così l’ineffabile presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, bollava sui social i ragazzi di Ultima Generazione rei d’aver “imbrattato” la facciata del Senato della Repubblica con un po’ di vernice lavabile.

Una battuta che è il simbolo di una classe dirigente radicalmente inadeguata, innanzitutto sul piano culturale e cognitivo. Un ceto politico che non solo non sa mettere in gerarchia il dito della protesta e la luna dell’emergenza climatica, ma che coopera, più o meno consapevolmente, ad aggravare quest’ultima, e a renderne l’impatto ancora più drammatico, come si vede in queste ore proprio nella Romagna di Bonaccini.

Perché se accusiamo gli attivisti del clima di stupidità e maleducazione, che cosa dovremmo dire del governo dell’Emilia-Romagna?

Come ha ricordato Paolo Pileri su Altreconomia, “tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. In pochi anni – e con questi governanti – la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%. E tutti sappiamo perfettamente che sull’asfalto l’acqua non si infiltra e scorre veloce accumulandosi in quantità ed energia, ovvero provocando danni e vittime”.

I dati dell’ispra citati da Pileri non lasciamo molti dubbi sulle responsabilità del governo locale. Del resto, nonostante la pandemia, proprio Ravenna ha visto, tra 2020 e 2021, un consumo di suolo pro capite spaventoso: quasi tre metri per abitante all’anno, che le assicurano il secondo posto in Italia, dopo Roma.

Nel 2017, un gruppo di urbanisti, territorialisti, giuristi, storici denunciò in un libro dal titolo esplicito (Consumo di luogo. Regresso neoliberista nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, scaricabile liberamente in rete) che il governo regionale guidato da Bonaccini aveva presentato “una legge definita, in perfetta neolingua stile 1984, ‘contro il consumo di suolo’. Una legge farlocca, truffaldina, il cui scopo reale era permettere la cementificazione” (così scrive il collettivo Wu Ming).

Nella prefazione a quel libro, scrivevo che “di fronte all’enormità della posta in gioco – la nostra sopravvivenza fisica in territori devastati dal cemento, e la sopravvivenza della nostra democrazia – si potrà ritenere che la parola sia una difesa trascurabile. Si sbaglierebbe: perché questo libro dice la verità, e lo fa in modo documentato e autorevole”.

Naturalmente, quella documentatissima denuncia non è riuscita a salvare le almeno quattordici vittime di questa ennesima alluvione annunciata: ma oggi almeno permette di non parlare (solo) di maltempo, bensì anche di malgoverno, respingendo le lacrime di coccodrillo di chi dovrebbe ora solo chiedere scusa.

Parlare apertamente di malgoverno del territorio dell’Emilia-Romagna è oggi particolarmente urgente, perché l’autonomia differenziata così fortemente voluta proprio da Bonaccini (le cui richieste di autonomia, scrive Gianfranco Viesti, hanno “messo le ali ai piedi alle richieste lombardo-venete”) prevede per la sua regione una totale autonomia, tra l’altro, in materia di “tutela dell’ambiente, rifiuti, bonifiche, caccia, difesa del suolo, governo del territorio, infrastrutture stradali e ferroviarie, rischio sismico, servizio idrico” (così si evince dal documentato esame delle carte disponibili condotto da Francesco Pallante).

Vi immaginate un’Italia in cui 20 regioni godano di questa autonomia, ispirandosi alla regione che l’ha così ben usata da essere oggi costretta a contare i morti?

Di fronte al disastro di queste ore, spetta innanzitutto al PD (guidato ora da Elly Schlein, che con Bonaccini ha condiviso il governo della regione dal febbraio del 2020 all’ottobre scorso...) una chiara e forte ammissione di responsabilità, insieme al fattivo proposito di cambiare strada.

Il PD, non solo in Emilia-Romagna, è stato indistinguibile da Lega o Forza Italia nel presentarsi come il partito del cemento e delle Grandi Opere. E nel suo scellerato sostegno al governo Draghi si iscrive anche la responsabilità di un PNRR che invece di finanziare la rimessa in sesto del territorio, continua a cementificare il Paese.

Ma la responsabilità è ancora più profonda: ed è quella di aver visto nel cemento l’unico sviluppo, e nella semplificazione (cioè nel liberarsi dalle regole che permettono di tutelare il territorio) l’unica riforma.

Ciò che oggi occorre è un profondo cambio di mentalità, anzi una pubblica conversione: quella che a livello globale dovrebbe servirci a invertire la rotta della crisi climatica, e a livello locale a mitigarne, o almeno a non esasperarne, gli effetti.

Non è questione di strategie, o posizionamenti: è una questione di vita o di morte.

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