La conta provvisoria dei danni della tremenda alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna parla di 14 morti, 15mila evacuati, decine di fiumi esondati, centinaia di smottamenti e danni per miliardi. Numeri, purtroppo, destinati a crescere.
La priorità rimane quella di salvare le vite umane e far rientrare le persone nelle proprie abitazioni in sicurezza, ma possiamo già provare ad immaginare le ricadute sull’economia.
Diversi i settori in ginocchio, dall’agricoltura all’industria passando per il turismo, con ingenti danni alle strutture balneari mentre la stagione turistica è alle porte, con miliardi di euro di PIL compromessi a causa di un evento meteorologico estremo.
Dobbiamo abituarci al cambiamento di scenario climatico con l’Italia vittima di un processo di tropicalizzazione e non servivano certo i ministri del governo Meloni a spiegarci quanto urgenti e non rinviabili siano le contromisure da prendere: bastava leggere i rapporti oramai decennali delle maggiori agenzie internazionali, della comunità scientifica e degli attivisti per il clima che denunciano da anni l’immobilismo delle istituzioni.
La tropicalizzazione è un fenomeno che va avanti da tempo: a settembre l’Agenzia europea per l’ambiente aveva pubblicato l’ennesimo report sui danni derivanti da fenomeni climatici estremi. Negli ultimi 40 anni sono costati 90 miliardi, la metà causati da danni derivanti dal dissesto idrogeologico, e quasi 20mila morti.
Ogni anno dal 2011 nel nostro Paese si conta almeno 1 miliardo di danni da eventi climatici, con una strage in termini di vite umane e gravissime ripercussioni sull’economia nazionale. L’Italia è il paese dell’Europa più colpito con circa il 17% del totale degli eventi estremi avvenuti nel continente e il primo per danni derivanti dal rischio idrogeologico (51 miliardi).
Questi dati ci raccontano non più un’emergenza bensì un processo di lungo periodo che trova il nostro Paese ancora impreparato, con colpevoli responsabilità della politica, sia locale che nazionale.
Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici dal 2018 non è stato ancora approvato, come ferma è la legge contro il consumo il suolo, mentre non si arresta la crescita della cementificazione, direttamente collegata alla moltiplicazione dei danni economici e umani degli eventi alluvionali.
L’ISPRA nel rapporto 2022 sul consumo di suolo stima che ogni giorno 19 ettari di suolo nazionale vengano ricoperti artificialmente, registrando la crescita maggiore negli ultimi 10 anni. Per il consumo di suolo nelle aree ad alta pericolosità idraulica, è proprio l’Emilia Romagna la prima in Italia per cementificazione delle aree alluvionali: +78,6 ettari nelle aree ad elevata pericolosità e +501,9 ettari in quella a media pericolosità.
Il 5,4% del territorio nazionale è considerato a pericolosità idraulica elevata, con 2,5 milioni di persone che vivono in aree ad alto rischio alluvionale e circa 7 milioni in aree a medio rischio. Ad esempio, nelle province di Rimini e Ferrara, un abitante su quattro vive in aree ad alto rischio.
Sempre secondo l’ISPRA, il costo che l’Italia dovrà sostenere entro il 2030 a causa della perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo, sarà compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro.
Nel 2018 l’USB aveva elaborato una proposta per la costituzione di Agenzie Regionali per la manutenzione delle foreste e del territorio, ripresentata nuovamente nel 2020 quando tutti si interrogavano sull’utilizzo dei fondi del PNRR destinati al clima, prima che i Governi e il mondo imprenditoriale dimostrassero la loro inadeguatezza dirottandoli ciecamente verso le imprese anziché in politiche pubbliche di cura del territorio.
Prendersi cura del territorio è una scelta di civiltà: la prevenzione è infatti sempre l'opzione che si rivela meno costosa.
Bisogna mettere una volta per tutte la parola fine allo stato emergenziale in cui si trova l’Italia da decenni per alluvioni, incendi, frane, slavine e terremoti. Tanto più che la prevenzione costituisce anche una importante opportunità di rilancio economico ed occupazionale per i territori, in particolare per le fasce sociali più deboli e per le aree interne.
Non mancheremo di gridarlo a gran voce, ancora una volta, durante lo sciopero generale nazionale proclamato da USB per venerdì 26 maggio.
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