Lunedì 29 maggio, Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, ha deciso lo scioglimento del Parlamento e la convocazione di elezioni politiche anticipate per il 23 luglio.
La decisione è stata annunciata in una conferenza stampa all’indomani delle elezioni municipali e regionali che hanno visto l’affermazione del Partido Popular e la sconfitta dei socialisti del PSOE anche in alcuni dei suoi bastioni storici.
I popolari si affermano in 9 regioni (comunidades autónomas) e in 31 capoluoghi di provincia.
Mentre la destra neo-falangista di VOX raddoppia i suoi voti, le formazioni alla sinistra dei socialisti a parte le formazioni “autonomiste” – in particolare Unidas Podemos (UP) – scompaiono di fatto dal quadro politico.
UP marca una presenza solo “a macchia di leopardo” nella penisola iberica. Lì dove era “virtualmente” nata, a Madrid nel 2011, non supera il quorum del 5% e rimane fuori dalle istanze rappresentative locali.
Come ha dichiarato Sanchez nella citata conferenza stampa: “anche se le elezioni avevano una portata municipale e regionale, il senso del voto reca in sé un messaggio che va più lontano, e come Presidente del governo e segretario generale del Partito socialista mi prendo la responsabilità dei risultati”.
Si tratta di un atteggiamento coerente con il valore che il leader socialista aveva voluto dare a queste elezioni, impegnandosi particolarmente nella campagna, per farne una sorta di plebiscito a favore o contro l’attuale gestione del potere, che vede un governo di minoranza composto dal PSOE e Unidas Podemos.
Dal lato opposto dello scacchiere politico la destra tutta – dal PP di Alberto Núñez Feijóo a Vox di Santiago Abascal – ha fatto propria la battaglia contro il “sanchismo” e si appresta a trattative per governare insieme lì dove i popolari non hanno, nonostante il successo, i numeri per farlo (in sei regioni e differenti ayuntamientos), preparando il terreno per una possibile futura coalizione governativa, ma lasciando ai singoli notabili locali del PP le contrattazioni.
Vox è propenso a tale ipotesi e chiama il PP alla possibilità di costruire dalle istanze governative locali in alternativa ad un esecutivo di “socialisti, comunisti, separatisti e terroristi”, come detto da Abascal, che ha ricordato che la sua formazione è “un partito nazionale, per cui la sua posizione sarà nazionale e, per tanto, centralizzata”.
Il leader dei popolari aveva fino ad ora escluso un accordo a livello nazionale con l’estrema destra di Abascal, ma è chiaro che le elezioni anticipate in parte cambiano lo scenario.
Da canto suo Feijóo ha ribadito lunedì che “la Spagna ha compiuto ieri un primo passo per aprire un nuovo ciclo politico”.
Vediamo sommariamente i risultati.
Il PP ha riassorbito quasi totalmente i voti indirizzati ai populisti di destra di Ciudadanos, praticamente scomparsi dalla geografia politica spagnola.
Ha ottenuto il 31% complessivo dei suffragi, con un + 8,88% rispetto al 2019, crescendo di circa 2 milioni di voti, superando il PSOE di quasi 800mila voti.
Il Partito socialista perde certamente voti, ma la sua non è una vera e propria emorragia, anche se il suo declino nelle preferenze ha un peso rilevante a livello di effetti politici.
Il PSOE ha ottenuto in realtà il 28% dei voti (-1,27 punti percentuali), perdendo 400mila elettori, senza quindi che ci fosse un travaso di preferenze in questa direzione da parte degli ex elettori di UP.
Un’oscillazione che però gli fa perdere l’Estremadura, l’Aragona, la regione di Valencia, le Baleari e la Rioja, e ben 11 dei 22 capoluoghi di provincia che governava.
Il PP recupera Valencia e governerà in Andalusia (in 7 capoluoghi di provincia su 8), storica riserva di voti socialista.
Mentre la “sinistra radicale” di UP, perde, l’estrema destra di Vox, guadagna.
Unidas Podemos ottiene complessivamente il 3,2%, e non avrà rappresentanti nei parlamenti regionali di Madrid e di Valencia, ed in alcuni contesti – come alle Baleari e nella Regione di Valencia – i suoi scarsi risultati impediscono al PSOE di formare alleanze per governare a livello locale.
Vox ottiene invece il 7,18% dei votanti totali. Raccoglie il risentimento contro il “sanchismo” – accusato di appoggiarsi, per governare, alle formazioni autonomiste basche e catalane (EH Bildu ed ERC) – da quando, dopo le elezioni dell’autunno del 2019, ha iniziato a governare con UP, spostando a sinistra l’asse centrista dei precedenti esecutivi socialisti.
La vice-presidente del Parlamento è l’attuale ministra del lavoro, Yolanda Diaz, la creatrice di “Sumar”, succeduta nella carica di vice al co-fondatore di Podemos Pablo Iglesias, che si era dimesso a sorpresa per candidarsi senza successo alla carica di sindaco di Madrid.
Nonostante ci stesse lavorando da un anno, ed il 2 aprile avesse annunciato la sua candidatura accanto alla sindaca uscente Ada Colau (capofila del partito catalano En Comun Podem), insieme ad altre figure di spicco, la sua candidatura “ricompositiva” non ha visto però la presenza di Podemos.
I rapporti tra la Diaz e la segretaria generale di Podemos, nonché Ministra dei diritto sociali, Ione Bellara, così come la numero due del partito, Irene Montero, nonché ministra dell’uguaglianza, sono tesi.
Iglesias aveva avvertito del pericolo della direzione che stava prendendo la Diaz quando nel novembre del 2022, aveva avvisato che sarebbe stato “stupido” pensare che “una candidatura di sinistra possa avere un buon risultato alle elezioni legislative se Podemos ottiene un cattivo risultato alle municipali e alle regionali”.
Ed infatti sembrano piuttosto lontani i tempi in cui, alle legislative di 8 anni fa, nel 2015, Podemos ottenne il 20% delle preferenze con più di 5 milioni di consensi, tallonando il PSOE di Sanchez che pure aveva scartato la possibilità di formare una coalizione governativa insieme ad Iglesias.
La mossa di Sanchez ora costringe a trovare un accordo per formare una coalizione “a sinistra” in dieci giorni – questi sono i tempi legali – e lo spauracchio di un possibile governo PP-VOX sembra possa sedare la litigiosità finora dominante ed accelerare in tal senso, per continuare nell’opera intrapresa dall’esecutivo in 4 anni.
Dal suo canale televisivo su YouTube Canal Red è stato Iglesias a lanciare una proposta di coalizione con Sanchez come leader. “La destra andrà divisa tra PP e Vox e Pedro Sánchez potrà collocarsi come candidato di un amplio fronte popolar-progressista”, ha detto.
All’attuale esecutivo va senz’altro riconosciuta un’azione legislativa tesa ad alleviare la precarietà lavorativa e l’impoverimento crescente dei ceti subalterni, un’attenzione particolare all’allargamento della sfera dei diritti individuali ed un atteggiamento meno vendicativo nei confronti di alcuni leader “autonomisti” protagonisti della mobilitazione legata al referendum sull’indipendenza catalana.
Un esperimento che però non ha mai messo in discussione la collocazione euro-atlantica del Paese, il suo regime monarchico ed il suo assetto istituzionale.
E se il contenimento della destra era un obiettivo di questa “strategia” – alla luce delle elezioni di domenica, ma non solo – può considerarsi di fatto fallito.
Le elezioni anticipate di luglio vedranno probabilmente da una parte un ampio schieramento democratico e progressista che ha perso notevoli consensi e peso politico nella sua componente più “radical-riformista”, ed uno schieramento conservatore con un baricentro fortemente spostato a destra a causa del peso che stanno esercitando i neo-falangisti di Vox, prima imponendo le proprie tematiche nel dibattito politico, poi conquistando sempre più consensi fino a poter divenire l’ago della bilancia per far tornare il Partido Popular al governo.
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