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25/05/2023

Il G7 deve accettare di non poter governare il mondo

Il passaggio da un determinato ordine mondiale ad un altro è sempre complicato. Specie per chi sta perdendo l’antica egemonia si tratta di una eventualità – e di un evento – scioccante. Non è mai avvenuto senza traumi, nella Storia, ma stavolta la diffusione delle armi nucleari è tale da sconsigliare drasticamente di fare scommesse azzardate solo per cercare di mantenere il vecchio ordine e le antiche gerarchie.

Questo tipo di atteggiamento ancora non si è fatto abbastanza spazio nelle teste dei “potenti” dell’Occidente neoliberista, che invece insistono nel portare avanti una politica aggressiva verso il resto del mondo. Che non li ha mai sopportati, neanche quando erano così deboli da non potersi permettere obiezioni serie.

Ma oggi, che i pesi specifici nell’economia mondiale sono fortemente cambiati a favore del “resto del mondo”, quel malumore si trasforma in atti e fatti politici, cambiamenti di alleanze, indipendenza politica e strategica. Anche perché, nel resto del mondo, ci sono ormai giganti di potenza equivalente. Anche sul piano nucleare, che è poi quello che conta davvero quando si fa la faccia feroce a livello internazionale.

Giganti che oltretutto intessono rapporti con i paesi più deboli basati su altri presupposti, tipo la “non ingerenza negli affari interni” altrui, ben diversa da quella disposizione a promuovere golpe, “rivoluzioni colorate” eterodirette, guerre locali, bombardamenti mirati, ecc., che costituiscono per tutti le vere caratteristiche del “regno della libertà” propagandato dall’imperialismo euro-atlantico.

Di fronte a questo cambiamento ormai evidente, però, cominciano a farsi spazio le analisi, le considerazioni, i suggerimenti più razionali di chi – pur condividendo pienamente la visione del mondo euro-atlantica – vede chiaramente il bivio che si è aperto davanti alle “potenze un tempo egemoni”.

Un vecchio saggio come Martin Wolf lo sintetizza così: “Né la cooperazione globale né il dominio occidentale sembrano realizzabili. Cosa potrebbe seguire? Ahimè, la “divisione” potrebbe essere una risposta e l'”anarchia” un’altra”. In ogni caso guerra, o solo economica oppure “totale”.

Seguono quindi gli inevitabili suggerimenti ad usare la testa, anziché l’ideologia (“i valori dell’Occidente”, “democrazie contro autocrazie”, e altre trovate da propaganda di guerra), per mettersi infine serenamente a un tavolo in cui contrattare un “nuovo ordine” tenendo conto degli interessi di tutti e non solo, come nel recente passato, dei propri.

È notevole che una riflessione del genere – accompagnata da robuste iniezioni di realismo economico – figuri come editoriale del Financial Times, certo non sospettabile d‘essere “putiniano” o “filo-cinese”.

Come recita quel proverbio inglese, “i fatti hanno la testa dura”. E la testa conviene usarla, anziché rischiare di perderla.

Buona lettura.

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“Addio G7, ciao G20”. Così titolava un articolo dell’Economist sul primo vertice del Gruppo dei 20 a Washington nel 2008, sostenendo che questo rappresentava “un cambiamento decisivo nel vecchio ordine”. Oggi, le speranze di un ordine economico globale cooperativo, che hanno raggiunto l’apice al vertice del G20 di Londra dell’aprile 2009, sono svanite. Tuttavia, non si tratta di un caso di “addio G20, ciao G7“.

Il mondo precedente del dominio del G7 è ancora più lontano di quello della cooperazione del G20. Né la cooperazione globale né il dominio occidentale sembrano realizzabili. Cosa potrebbe seguire? Ahimè, la “divisione” potrebbe essere una risposta e l'”anarchia” un’altra.

Non è quello che suggerisce il comunicato della riunione dei capi di governo del G7 a Hiroshima. È incredibilmente completo. Riguarda: Ucraina; disarmo e non proliferazione; regione indo-pacifica; economia globale; cambiamenti climatici; ambiente; energia, compresa l’energia pulita; resilienza e sicurezza economica; commercio; sicurezza alimentare; salute; lavoro; istruzione; digitale; scienza e tecnologia; genere; diritti umani, rifugiati, migrazione e democrazia; terrorismo, estremismo violento e criminalità organizzata transnazionale; relazioni con Cina, Afghanistan e Iran (tra gli altri Paesi).

Il G7 si sta rivolgendo anche ad altri: alla riunione in Giappone erano presenti India, Brasile, Indonesia, Vietnam, Australia e Corea del Sud. Ma sembra che 19 Paesi abbiano chiesto di entrare a far parte dei Brics, che già comprendono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Quando Jim O’Neill inventò l’idea dei Brics nel 2001, pensava che si sarebbe trattato di una categoria economicamente rilevante. Io pensavo che i Brics avrebbero riguardato solo Cina e India. Dal punto di vista economico, era giusto. Ma ora i Brics sembrano essere sulla strada per diventare un gruppo mondiale rilevante.

Chiaramente, ciò che unisce i suoi membri è il desiderio di non dipendere dai capricci degli Stati Uniti e dei loro stretti alleati, che hanno dominato il mondo negli ultimi due secoli. Per quanto tempo, del resto, il G7, con il 10% della popolazione mondiale, potrà (o, se vogliamo, dovrà) continuare a farlo?

A volte bisogna semplicemente adattarsi alla realtà. Lasciando da parte per il momento gli obiettivi politici dei membri del G7, che giustamente includono la necessità di preservare la democrazia in patria e di difendere le proprie frontiere – oggi, soprattutto, in Ucraina.

Questa è infatti la battaglia dell’Occidente. Ma difficilmente sarà mai quella del mondo, la maggior parte del quale ha altri problemi e preoccupazioni più urgenti. È stato positivo che il Presidente Volodymyr Zelenskyy abbia partecipato al vertice. Ma sarà solo l’Occidente a determinare la sopravvivenza dell’Ucraina.

Se passiamo all’economia, è anche un bene che il concetto di decoupling, un’assurdità dannosa, si sia trasformato in quello di “de-risking”. Se quest’ultimo può essere trasformato in una politica mirata e razionale, sarebbe ancora meglio. Ma sarà molto più difficile farlo di quanto molti sembrano immaginare.

È sensato diversificare le forniture di energia e di materie prime e componenti vitali. Ma, per fare un esempio significativo, sarà davvero difficile diversificare la fornitura di chip avanzati da Taiwan.

Un problema ancora più grande è la gestione dell’economia globale. Il FMI e la Banca Mondiale devono essere i baluardi del potere del G7 in un mondo sempre più diviso? Se sì, come e quando otterranno le nuove risorse necessarie per affrontare le sfide di oggi? E come si coordineranno con le organizzazioni che la Cina e i suoi alleati stanno creando? Non sarebbe meglio ammettere la realtà e adeguare le quote e le azioni, per riconoscere gli enormi spostamenti di potere economico nel mondo?

La Cina non scomparirà. Perché non dovremmo permetterle di avere più voce in capitolo in cambio di una piena partecipazione ai negoziati sul debito? Allo stesso modo, perché non dovremmo ridare vita all’Organizzazione Mondiale del Commercio, in cambio del riconoscimento da parte della Cina che non può più aspettarsi di essere trattata come un Paese in via di sviluppo?

Al di là di tutto questo, dobbiamo riconoscere che qualsiasi discorso sul “de-risking” che non si concentri sulle due maggiori minacce che dobbiamo affrontare – quelle della guerra e del clima – è come se si cercasse di inghiottire moscerini, ingoiando cammelli.

Sì, il G7 deve difendere i suoi valori e i suoi interessi. Ma non può gestire il mondo, anche se il destino del mondo sarà anche quello dei suoi membri. È necessario trovare un percorso di cooperazione, ancora una volta.

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